E’ gravissimo cosa sta avvenendo, per l’ennesima volta, nel Mediterraneo.
Il punto, però, non credo sia solamente Salvini e la sua ignoranza e arroganza, il suo razzismo e neofascismo. Non è neanche “solamente” il ricorso respinto dalla corte europea dei diritti dell’uomo. Il centro della questione è la necropolitica in sé, ossia l’amministrazione del politico volta a dare la morte, e non a governare la vita. Basti pensare, ad esempio, che chi è all’opposizione, ossia il PD, ha appena proposto un documento irricivibile che vorrebbe stringere accordi con la Libia per la gestione dei flussi.
Detto questo, il Mediterraneo è un inferno da decenni, da almeno trent’anni. Credo sia importante, quindi, valutare questa situazione nel suo insieme e con un respiro più ampio, ossia il sistema confinario sui margini esterni dell’Europa e internamente allo spazio comunitario.
Adottando questo sguardo, si scopre che la mobilità è profondamente legata alla povertà. E, parafrasando Fanon, non si è negri se non si è poveri. Partendo da questo punto, il confine è un dispositivo per estrarre ricchezza dai corpi, per costruire un territorio – fisico, geografico e di relazioni sociali – in cui il centro mette a valore le periferie attraverso molteplici forme di sfruttamento.
Trovare delle motivazioni per differenziare le storie di chi sfugge dal giogo della miseria è parte della narrazione egemone e, al tempo stesso, una stupidaggine immensa: non ci sono motivazioni positive o negative – chi è fuggito dalla guerra, cioè, non ha più diritto di restare o di arrivare in Europa di chi, ad esempio, ha lasciato un contesto di teorica pace, come in Tunisia – perché, in questo modo, si punta su di un elemento, il perché del viaggio, per moltiplicare le forme di subordinazione. I ‘migranti economici’, ad esempio, sono l’ennesia invenzione di un soggetto muto e subalterno al bianco, anche quando quest’ultimo si professa solidale nei confronti e attento alle esigenze dei ‘migranti’.
La questione, quindi, è ancora una volta la povertà. I confini esistono solamente per chi non ha soldi, per chi non ha possibilità. E funzionano nel riprodurre spazi e luoghi in cui si è esclusi o inclusi in maniera differenziale. Rompere questa geografia e geometria del potere è possibile attraverso la struttura del campo, sia che lo si intenda come luogo di aggregazione informale dei solidali sia come insieme di relazioni nel tempo e nello spazio. Per questo, alla logica del muro che vuole la Sea Watch 3 alla deriva nel Mediterraneo, opponiamo quella di reti solidali che, dal nord al sud, vogliono un mondo fatto da rapporti di uguaglianza sostanziale tra tutte le differenze.