Quattro chiacchiere con Cécile Kyenge, la donna più strumentalizzata del paese

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Kyenge è una donna forte, una lottatrice, una abituata a portare avanti le sue battaglie di civiltà̀ con determinazione. E non arretra davanti agli attacchi che da più parti le vengono rivolti, perché́ è un simbolo, e come lei stessa dice: “Bisogna dare un senso forte al messaggio che si vuol dare
Lei è stata la prima donna nera nella storia della Repubblica italiana a diventare prima Ministro e poi europarlamentare. Si sente fortunata?
Non si può̀ parlare di fortuna, è una scelta fatta su una persona , e la cosa più importante è come quella persona riesce ad interpretare quel ruolo, e riuscire a dare un senso a quella scelta. È una questione di grande responsabilità̀, perché́ tutte le volte che si diventa un “ simbolo” , bisogna dare un senso forte a quella figura e a quel messaggio che si vuole dare. Per me è molto importante perché́ le scelte si fanno in base alle competenze. Ed è chiaro che questa è una scelta fatta per rompere con la tradizione, per rendere visibili le diversità̀. Vengo da un lungo percorso d’impegno su questi temi, l’Italia è cambiata ed è pronta a riconoscersi come società multiculturale, l’Italia era pronta, merito del Presidente del Consiglio Enrico Letta e del Presidente Giorgio Napolitano averlo riconosciuto. In questo senso non parlare di fortuna.
L’Italia è diventato un paese razzista ?
Scriverei a caratteri cubitali che l’Italia non è un paese razzista, ma ciò non vuol dire che il razzismo non esiste. Bisogna fare attenzione, perché́ dire che l’Italia non è razzista, non esclude la presenza del razzismo sul territorio. Purtroppo gli episodi ci sono e continuano ad aumentare, da una parte per una mancanza della cultura nell’educazione , di come educare i nostri giovani e rafforzare i loro anticorpi e le loro conoscenze di cosa significa razzismo. Quando mancano gli anticorpi, subentra la disinformazione, e la responsabilità̀ di molti leader politici che sottovalutano l’impatto che può̀ avere questa piaga sul territorio , e anzi, strumentalizzano alcuni fenomeni come quello dei flussi migratori , o anche il fatto che l’Europa non sia riuscita a dare una risposta alla crisi economica, indicando nell’immigrazione e nell’immigrato il capro espiatorio dei mali e del malessere della nostra società che hanno ben altre cause. E questo può̀ creare fenomeni di razzismo. L’Italia, così come tutta l’Europa, sta attraversando un periodo di trasformazione, e questo richiede grandi capacità di risposta politica a tutto tondo, come per esempio rendere visibile il valore le diversità̀, l’essere consapevoli che l’accoglienza e l’integrazione sono complesse, lavorare perché le diversità siano riconosciute come valore ed accolte, in un periodo così delicato dove c’è chi gioca a fare associazioni sbagliate che fomentano il razzismo.
Che misure sta studiando il governo italiano per l’integrazione dei richiedenti asilo nel nostro paese?
Per prima cosa bisogna dire che le norme per i richiedenti asilo sono misure i cui principi sono fissati a livello europeo e in sede nazionale vengono applicate, anche se in modo troppo difforme. Quindi, a monte dei processi d’integrazione, bisogna agire a livello europeo, e lo sta facendo il Governo, come lo stiamo facendo in Parlamento, per rivedere l’intero impianto del sistema d’asilo europeo. Va ripensato il sistema generato dal Regolamento di Dublino che obbliga i richiedenti asilo a rimanere nello stato di primo approdo, e crea distorsioni terribili che minano alla base i processi d’integrazione ed accoglienza, perché spingono all’illegalità. Il Regolamento di Dublino va rivisto, e mi sto battendo per questo, andando verso un sistema centralizzato di accoglienza dei richiedenti asilo, attuando finalmente il principio di equa ripartizione delle responsabilità nell’accoglienza fra tutti gli Stati membri. Se ciascuno Stato fa la propria parte, l’accoglienza diventa sostenibile e pure l’integrazione è accelerata. Questo guardando all’Europa. Allo stesso modo, e ci si sta lavorando, serve equa ripartizione delle responsabilità a livello nazionale: se ciascuna livello, se ciascuna comunità locale, si prende un pezzo di responsabilità nell’accoglienza, all’interno di un sistema nazionale che funzioni meglio, è possibile arrivare ad un sistema di accoglienza diffusa per piccoli gruppi, che favorisce enormemente l’integrazione. Su questa architettura nazionale di accoglienza diffusa, va poi innestato un Piano nazionale per l’Integrazione, imperniato sulla scuola e sulla formazione. Avevo cominciato a lavorarci da Ministro, un progetto che dovrebbe essere ripreso. Da questo punto di vista strategico, la soppressione del Ministero dell’Integrazione è stato un errore. L’occasione può essere offerta, ancora una volta, dall’Europa, dal Piano d’azione europeo per l’integrazione lanciato a maggio dal Commissario Avramopoulos, a seguito dell’approvazione del mio Rapporto per una nuova politica europea dell’immigrazione e dell’asilo, approvato dal Parlamento europeo nell’aprile scorso. In quel Rapporto ho scritto tutte le chiavi di soluzione della crisi migratoria e dei rifugiati, ed uno dei capisaldi è proprio l’integrazione.
Non crede che in Italia, più̀ che in altri paesi, cresca l’odio verso lo “straniero”, perché́ la politica non sa dare risposte sui temi di occupazione, carenti misure su temi sociali e contrasto alla povertà̀ crescente?
Sono d’accordo. Quello che prevale oggi è l’approccio elettoralistico. Siamo in un paese politicamente instabile . Qualcuno ha capito che mettendo gli uni contro gli altri su problemi sociali che hanno bisogno di risposte che non sono certo quelle di fomentare l’odio, si guadagnano voti. E’ una vecchia storia, è già accaduto in passato, in Italia e in Europa, con esiti tragici. Questo approccio non ci ruba solo il presente, ma anche il futuro, perché accorcia il respiro del confronto politico sull’istante presente, alimentando il conflitto, e mina la possibilità di costruire politicamente una visione lungimirante di società che sappia gestire e governare i potenziali conflitti , e se riesci a gestire i conflitti governi anche meglio tutti i problemi legati al territorio, come il governo del fenomeno migratorio sul territorio, dove deve avvenire l’integrazione. Se riusciamo a governare bene questo rapporto immigrazione – territorio, l’immigrazione può̀ diventare risorsa. Ci sono dei territori che, pur nelle difficoltà e nelle complessità del fenomeno migratorio, ne hanno tratto una spinta per rinascere, e non ci sono riusciti mettendosi gli uni contro gli altri, ci sono riusciti mettendosi insieme, non contro le persone nuove arrivate, ma insieme e con quelle persone contro le vere cause dell’impoverimento delle nostre società e comunità locali. Il nemico non è mai la persona, il nemico è la vera causa del malessere della società. Un politico che attacca le persone che hanno un colore della pelle diversa e non le vere cause del malessere della società, come la disoccupazione, fa del male non solo a quelle persone, ma a tutta la società.
In Italia abbiamo leggi contro i fascismi, contro chi fomenta l’odio . Com’è possibile che proprio nelle istituzioni ci siano persone che non le rispettino? Non si possono punire queste persone?
Lei tocca un argomento che per me è molto importante, quasi un cavallo di battaglia dal momento in cui sono diventata mio malgrado la vittima, perché́ dal momento in cui uno diventa un simbolo diventa anche vittima per eccellenza, perché́ in quella persona viene identificato il bene e il male, e si riversano sulla quella persona l’odio che a qualcuno conviene fomentare ed indirizzare su una persona per il suo colore della pelle, per non parlare dei problemi veri della società. Si chiama istigazione all’odio razziale. Le leggi esistono e bisogna applicarle: esiste in primo luogo la legge Mancino. Purtroppo è poco conosciuta. Non c’è la cultura civile di combattere il razzismo avvalendosi di strumenti giuridici con i quali una società si difende da chi vuole iniettare odio nelle vene della società, e la si avvelena con parole d’odio che lasciano sempre un segno. Non c’è neppure la cultura politica della giusta battaglia contro razzismo, perché́ in un altro Stato, i politici che proferissero certe dichiarazioni sarebbero costrette politicamente a dimettersi. Chi fa politica deve essere responsabile, deve essere consapevole che non è lì solo per cercare il proprio tornaconto di consenso in termini elettorali, fine per il quale tutto sarebbe permesso, compreso avvelenare la società con parole d’odio razziale, ma si sta in politica innanzitutto per servire il popolo, non sé stessi, e lo si serve innanzitutto assumendosi la responsabilità di non fare deliberatamente ed irresponsabilmente male alla società per ragioni di lucro elettorale, come fa chi fomenta l’odio razziale. Questo dovrebbe stare a monte di ogni forza ed impegno politico, poi vengono le legittime divisioni. Quindi, in termini di cultura politica, la politica deve accompagnare il popolo con scelte di fondo che prescindono dalle legittime e giuste divisioni fra destra e sinistra, e il ripudio del razzismo come strumento di lotta politica deve stare fra queste scelte politiche di fondo. Purtroppo quello che vediamo oggi è una diffusa violazione di tutta l’etica della responsabilità politica, che deve ritornare al centro, manca la responsabilità̀, non si da valore al peso delle parole. Questa mancanza di cultura è trasversale in tutti i partiti: in termini di sottovalutazione del peso e degli effetti dei discorsi d’odio razziale faccio fatica a dire che se ne salvi qualcuno. Per questo mi batto, e non faccio sconti nemmeno al mio partito. Per questo non ho paura a dire che ci sono forze politiche che fomentano l’odio razziale, e le chiamo per nome. Ed è per questo che questa battaglia la conduco trasversalmente, con tutte le persone che hanno capito e con la società̀ civile che in questo è molto più avanti rispetto alla politica.
C’è un altro reato odioso di cui voglio parlare con lei: il reato di clandestinità̀. Novità̀ a riguardo?
Siamo all’ultima fase. È passato in una legge delega al Governo, quindi ci sono i presupposti per la sua abolizione, anche se il Governo a fatto cadere la delega, impegnandosi ad attuarla con altri strumenti e veicoli legislativi. Il Governo deve mantenere l’impegno. È un reato privo di senso e deve essere abolito assolutamente. È uno strumento di intimidazione, senza alcuna efficacia preventiva e dissuasiva: nessuna persona, spinta ad immigrare da ragioni cogenti, rinuncia ad immigrare irregolarmente perché in Italia c’è questo reato. Ma quella persona, una volta macchiatosi di questo reato assurdo, è spinto a rimanere nell’illegalità, e questo è un danno per la società italiana. È un controsenso assurdo: noi abbiamo creato Mare Nostrum, abbiamo fatto capire all’Europa l’importanza di salvare le persone e poi cosa diciamo? Tu arrivi sul nostro territorio, ti salvo e ti porto in prigione ? E’ una questione di etica e di visione della società, che non può criminalizzare l’immigrazione, ma deve promuovere la legalità. Poi c’è un’altra questione. I casi arrivano nei tribunali, dove non si fa altro che aprire e chiudere i fascicoli. Anche perché́ dopo che uno è riuscito a sopravvivere al barcone e ha già̀ pagato tutto quello che aveva per affrontare il viaggio, lo Stato non si può̀ permettere di mettersi allo stesso livello dei sfruttatori e chiedere 10 mila euro. Nel momento in cui si appura che uno è clandestino, gli si sta comunque dicendo che per lo stato non esiste. E come si fa a chiedere dei soldi se non esiste? È un controsenso. Poi c’è una questione di “percezione”, con questo reato diamo la percezione che stanno aumentando i criminali. Stiamo criminalizzando l’immigrazione che è un fenomeno naturale di tutti i tempi, pensiamo ai venti milioni di italiani che sono emigrati in ogni angolo del mondo, e ai sessanta milioni di italiani nel mondo discendenti di quei nostri immigrati. Se ci sono delinquenti tra gli immigrati, vanno arrestati e puniti, come tutti gli altri, ma immigrare irregolarmente non è un crimine e non può essere reato.
Lei ha Sognato una strada, mi riferisco al suo libro. Che strada ha sognato?

Alla fine del libro scrivo che quella è l’eredità che vorrei lasciare ai giovani che quotidianamente incontro, che mi invitano e che continuerò ad incontrare. Dobbiamo crescere i nostri giovani con una visione lungimirante, con una visione aperta alle diversità̀ che possono convivere , in un paese dove effettivamente quando guardi l’altro non vedi un nemico, ma vedi una persona, con le sue competenze, capacità e talenti. Noi oggi dobbiamo cercare di dare in mano ai giovani le chiavi di questo paese, perché́ stiamo chiudendo loro le porte, stiamo rischiando di scivolare verso una società che si chiude all’altro, che nutre una visione cupa del futuro, e quindi una società in cui crescono giovani che non hanno speranza nel futuro. Noi dobbiamo aprirle queste porte, aprire le porte del futuro ai giovani.
Cosa possiamo fare nel nostro piccolo per cambiare la mentalità̀ delle persone?
Ognuno di noi ha un compito, ognuno di noi nel suo piccolo può̀ far qualcosa, anzi tantissimo. I cambiamenti positivi della mentalità passano dall’interazione fra nativi e nuovi arrivati a livello del territorio e delle comunità. Quindi molto di quanto si può e di deve fare passa dall’investimento su questa interazione, primo passo per la migliore integrazione. Fin dai primi passi dell’arrivo e dell’accoglienza, non dobbiamo consentire che si creino dei ghetti o dei grandi gruppi isolati. Per questo parlo di constante interazione, in tutte dimensioni della vita della persona immigrata: scuola, sport, associazionismo,…A monte di tutto questo serve un solido ancoraggio ai valori, a partire dal primato del valore della persona, qualunque sia la sua religione o provenienza, sancito dalla nostra Costituzione e, per chi ha fede, dal Cristianesimo. Penso che tutto questo sia abbracciato dalle parole del Papa: “Andiamo verso la cultura dell’inclusione e dell’accoglienza , l’interazione e il contatto con le persone”

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