Ci insegnano fin da piccoli che la vita di una persona ha un valore incalcolabile. Io allora oggi mi chiedo quanto valga la vita di Martina Rossi.
Martina il 3 agosto 2011 precipita da un balcone al sesto piano di un hotel di Palma di Maiorca (Spagna) cercando di scappare via dalle mani di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi che tentano di stuprarla.
Martina ha vent’anni ed è in vacanza con due amiche in Spagna, dove insieme conoscono quattro ragazzi di Arezzo. Le amiche le fanno capire di voler rimanere da sole con due dei ragazzi appena conosciuti e così lei decide di aggregarsi a Albertoni e Vanneschi nella loro stanza per non rovinare la serata alle altre. Dopo venti minuti il corpo di Martina è a terra senza vita, caduto dal sesto piano dell’hotel.
Ha tentato la fuga e l’unico punto che per lei potesse considerarsi una speranza di salvezza, data la porta chiusa a chiave, era il muretto sul balcone che separava la stanza dei due ragazzi dalla camera accanto. Era spaventata però e questo, più il fatto di non avere con sé gli occhiali da vista pur essendo miope, le fanno perdere l’equilibrio e la fanno cadere nel vuoto.
Il suo omicidio è stato presentato dalla difesa come un caso di suicidio, non sono state prese in considerazione le sue urla, non è stato considerato il fatto che le mancassero i pantaloncini quando è caduta, sono stati sminuiti i graffi sul collo di Albertoni che aveva ammesso fossero stati procurati dalla ragazza e la sua è stata definita una caduta accidentale causata dal fumo di uno spinello nonostante l’autopsia delle autorità spagnole smentisse l’assunzione di droghe. Ma la mancanza di rispetto più grande si è verificata qualche ora fa quando Albertoni e Vanneschi sono stati condannati a tre anni di carcere ciascuno.
Il padre di Martina ha detto che questa condanna è comunque una conquista, un tentativo mancato di farle di nuovo del male senza pagarne le conseguenze. E io mi chiedo quante sentenze sbagliate si siano dovute susseguire negli anni per fare in modo che un padre, per consolarsi da questo dolore, definisca tre anni di carcere per l’omicidio della figlia una conquista. Ha poi però sottolineato quanti pochi siano questi anni di reclusione, ha chiesto di pensare alla madre di Martina ed ha ricordato i valori di una ragazza che è morta lottando per la sua vita, lottando per non essere stuprata.
Ci insegnano fin da piccoli che la vita di una persona ha un valore incalcolabile. Io allora oggi mi chiedo perché per la “giustizia” italiana la vita di Martina valga solo tre anni.