Quanto tempo occorre a una mamma per abbandonare il suo bambino?

8192h abbandonare il suo bambino

Il piccolo non sa nulla, dorme nel passeggino e sogna, sballottato nel chiasso delle strade. Mamma Valentina lo sospinge, tenendo con l’altra mano la sua sorellina, che in un giornale si chiama Madona e in un altro Morena. Sembra una leggenda in cui tutto danza, nomi e ragioni, fatti, lacrime e mito, una di quelle favole tzigane che si tramandano davanti a un falò di un campo nomadi. Ma è giovedì 27 febbraio 2020, a pochi passi dalla stazione Termini, sono le 17:14 e le telecamere dei negozi di via Cattaneo hanno sguardi meno indifferenti, quasi più umani di quelli dei passanti chini sui loro smartphone. Sembrano vite virtuali, le nostre, a chi è solo come questa giovane donna che non sa più dove sbattere la testa, mentre le teste di quelli che le passano accanto si nascondono sotto la sabbia di mille piccoli schermi sfavillanti.




La mamma si ferma accanto a una macchina bianca, mette il freno al passeggino. Il piccolo Diego dorme, io credo che guardi e sappia già tutto, allertato dalle sue telecamere di sorveglianza interiori. Ma non ne può avere coscienza, ed è meglio per lui che sia così. Valentina gli posa accanto il biberon colmo di latte, gli dà un’ultima carezza. Di una dolcezza avvelenata ma è comunque amore. «Mamma che fai?» chiede la sorellina. «Dobbiamo andarcene» risponde la madre, «il treno per l’Austria parte fra poco, lassù, a Villach, lo zio non può tenerci tutti».

Che cosa prova la bimba “fortunata”, estratta dalla mamma in questa lotteria orrenda, nel vedere il suo fratellino abbandonato lì per strada, senza biglietto? Le telecamere di sorveglianza non leggono ancora nei nostri pensieri. Sanno solo che Morena o Madona ha sistemato il ciuccio al fratellino, assicurandosi che non gli scivolasse dalla bocca.

Quanto tempo occorre a una mamma per abbandonare il suo bambino? Un istante. E invece questo strazio ci impiega sette lunghissimi minuti prima di consumarsi. Valentina si guarda intorno come una tigre che cerca di proteggere i cuccioli da un branco di iene. Dalle 17:14 alle 17:21. Alla fine si decide, lascia il piccolo, indifeso, nella tana. Ma l’ultimo è il fotogramma più atroce. Fatti alcuni passi con la bambina aggrappata alla sua mano, la mamma si ferma. Si gira. Resta così, come una statua di sale. Un lungo sguardo a controllare che non gli stia accadendo nulla di male. Che qualcuno si prenda cura del suo cucciolo. In questo immenso sguardo al piccolo Diego, mamma Valentina rivede tutto: 25 anni passati a girovagare per l’Europa. Lei è nata a Gallarate, Madona (o Morena) in Belgio, e Diego che dorme laggiù, ma ha assistito a tutto con gli occhi del cuore, a Roma. Non hanno un padre o ne hanno molti, che vuol dire nessuno: uno dei compagni di viaggio di Valentina volati via, alla nascita dei piccoli, come rondini da un incendio. Poi anche questa venticinquenne d’origine serbo-croata e sua figlia, alle 17:22, scompaiono definitivamente dalla scena.

Ma le telecamere stanno a guardare come stelle fisse o sentinelle virtuali dalle loro guardiole coi paraocchi di ferro. Adesso appare un giovane passeggero in partenza, trafelato. Si blocca, incuriosito. Rischia di perdere il treno ma non gli importa. È l’unico di tutto il quartiere Esquilino a chiedersi che diavolo ci faccia quel passeggino fra le auto in sosta, con un poppante abbandonato dentro. Suppone che la madre sia entrata in un negozio dei paraggi e l’attende, teme che il piccolo potrebbe fare brutti incontri. Dopo dieci minuti, allerta la polizia. Che sopraggiunge a sirene spiegate.

Valentina sarà fermata dalla Polfer alla stazione di Bologna. Ora è rinchiusa al carcere di Dozze per abbandono di minore. La piccola Madona (o Morena) ha subito la stessa sorte di Diego. Anche il suo biglietto alla Lotteria dei disperati non era vincente. A fatica i poliziotti, in quel treno per l’Austria, sono riusciti a sciogliere l’intreccio delle sue piccole dita con quelle della mamma. L’hanno portata via piangente in una casa famiglia vicino Ferrara. Diego, invece, si è svegliato alla sua nuova vita fra le pareti bianche dell’ospedale Bambin Gesù. Era ben nutrito, ben curato, lindo. I medici l’hanno trovato in ottima salute.

Non credo che questa storia vada giudicata. È soltanto una pagina posata sull’acqua, come mille altre di un libro che continuiamo a scrivere, ciascuno scollegato dagli altri. Le pagine compaiono e scompaiono nell’oceano, sparse e fluttuanti, ma sono tutte legate insieme. Questa qui ondeggia e danza così come tutto ha danzato in quei sette minuti di un giorno di ordinaria disperazione. Fino all’istante in cui anche il respiro si è fermato. Questo. Vorrei che l’accompagnassimo con un lungo sguardo, ora, mentre la pagina scritta sull’acqua discende lentamente nelle nostre tenebre e si posa sul fondo. Piano piano, onda dopo onda, immaginiamoci che dal profondo buio di noi stessi, dalla morte del cuore, l’indifferenza si trasformi in vita e la corrente del nostro amore collettivo risalga alla luce, come migliaia di mani d’oro aperte e illuminate. Per sostenere mamma Valentina, il piccolo Diego e una bambina dall’incerto nome.

 

Diego Cugia

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