Roberta Denti
L’inenarrabile tragedia accaduta all’isola di Stromboli va narrata. E’ un pezzo che mi costa fatica e dolore scrivere. La mia è una scrittura uterina che sgorga dal ventre. Il mio ventre è in focoso e doloroso tormento. Tutte le lacrime disseminate sui sentieri bruciati hanno scongiurato l’avvio di nuovi focolai. Sono trascorsi due giorni dalla strage ambientale compiutasi su una delle isole più belle e fragili al mondo: Stromboli, dimora di uno dei vulcani più attivi al mondo, perla del Mediterraneo, faro per i naviganti, approdo di anime pellegrine e stralunate, terra di una popolazione forte e generosa. Gli strombolani sono soprannominati gli sciarrigni, i guerrieri. E l’altra notte l’hanno dimostrato, salvando il salvabile, e oltre e altro, dalla furia di un incendio causato dall’uomo per “fiction” che presto è diventato “reality”. Due termini e due generi televisivi che aborro.
E’ un pezzo che scrivo a caldo, a torrido direi, dalla casa bianca e blu che mi ospita sei mesi l’anno. Così come mi ospita l’isola. Così come mi ospita la terra. La mia è una dimora isolata come piace a me, amante dell’isolitudine, e ora circondata solo da devastazione cenere e un acre odore di morte. Se ho ancora un tetto, e un gatto, lo devo ai miei compari strombolani, nativi e adottivi, che nella notte infernale con epico eroismo, coraggio e disperazione si sono spesi mani piedi e anima per placare il furore di cenere e lapilli provocato da una catena di calamità, alcune prevedibili, altre no: la stoltezza umana, il pressappochismo, lo scirocco, il ponente, la lentezza dei soccorsi, il panico. Fatalità direbbero i veneziani. Ma qui di fatalità c’è solo la tracotante stupidità umana. Ieri una bambina di 5 anni ha detto: “Mamma ma con lo scirocco non si accendono fiammelle“. Lo sanno pure i bambini qui.
Quello che è successo a Stromboli il 25 maggio 2022 è un’apocalisse. Una strage ambientale e morale di dimensioni e conseguenze incalcolabili. Qualcuno oggi scrive di danni quantificabili in 50 milioni di euro. Non c’è cifra in questo arido e orrido mondo prostrato al dio denaro che possa ripagare questa terra della carneficina naturale subita in oltre 30 ore di incessante e implacabile fuoco selvaggio.
I fatti: nella mattina di giovedì un piccolo fuoco, una scintilla, ora diranno una scoreggia, viene acceso nei pressi della riserva naturale, nonostante il forte scirocco, sul set di una delle dozzinali e dimenticabili fiction che ormai assediano e sfruttano l’isola. L’amara, amarissima, ironia vuole che tale fiction sia intitolata “Protezione Civile”, prodotta dalla società 11 marzo di proprietà di Matteo Levi per la regia di Marco Pontecorvo, con protagonista Ambra Angiolini – assolutamente innocente e devastata dall’accaduto – commissionata o comunque che sarebbe andata in onda (non vedrà mai la luce, parola di Cazzandra, il mio ironico modo di definirmi) su Rai Uno. Questi sono fatti incontestabili. Il fuoco, o la scintilla?, o la scoreggia? – qui è già iniziato, com’era prevedibile, il gioco dello scaricabarile e dell’insabbiamento della verità – è presto sfuggito dalle incapaci mani dell’essere umano. Pare che sul set i vigili presenti – loro affermano che non erano sul set e allora è ancora più colpevole chi ha accesso una fiammella senza supervisione – fossero a loro volta comparse perché non c’erano estintori né acqua pronti a essere usati in caso di necessità. Insomma, un insieme colposo di colpe che si rimbalzano tipo flipper impazzito. Già al mattino le fiamme e il fuoco erano visibili a tutta la popolazione. Il primo soccorso aereo è giunto un paio d’ore dopo con un elicottero che scaricava una bacinella d’acqua che come mi ha detto un’isolana “Al fuoco gli fece il bidet”. I canadair, impegnati sul fronte di un altro incendio a Palermo, sono arrivati con notevole ritardo, circa tre ore e mezza dopo. I coraggiosi piloti hanno fatto di tutto ma non hanno potuto estinguere le violente fiamme. A un certo punto ce n’era solo uno a tentare di domare con lo scirocco sempre più forte la giungla di fumo. Giunto il tramonto ogni flebile speranza di contenere le fiamme è andata anch’essa in fumo. Sgomenti spaventati e arrabbiati siamo rimasti soli, abbandonati da tutti, nonostante l’arrivo di un nugolo di vigili che, a sentire i racconti degli isolani non hanno fatto granché, se non nulla. Ma i selfie sulla mia terrazza sì. Potevamo solo sperare che il vento si placasse. Ma contro la natura l’uomo non può nulla e lo scirocco è aumentato, poi è girato a ponente, trasportando l’incendio ovunque dal Timpone, la zona dov’è nato a circa 200 metri sopra il centro del paese, verso Scari, la zona del porto, e verso Piscità, dove c’erano i sentieri che conducono al vulcano, annientando tutta la vegetazione e gli animali selvatici senza alcuna possibilità di scampo. Amici mi dicono di aver visto le capre, noi le chiamiamo le capre babbe, disperate in spiaggia perché private anch’esse della loro tana. Travolti dal fumo e dalle fiamme abbiamo dovuto abbandonare le case e rifugiarci in spiaggia osservando tutta l’isola avvolta dalle fiamme e illuminata a giorno. Giuro che sembrava di essere sul set di Apocalypse Now. Un autentico inferno dantesco. Solo, e ribadisco, solo lo straordinario coraggio, anche della disperazione, degli strombolani ha permesso di salvare case e persone. Hanno combattuto tutta la notte con pale, secchi, tubi dell’acqua, pompe a immersione, tagliando, decespugliando, dando e sdandosi fino a bruciarsi. Anche il cuore. I bambini erano e sono terrorizzati. E dire che sono abituati a vivere su un’isola con uno scoppiettante vulcano. Il senso di comunità generato dalla tragedia è commovente. Chissà che possa generare una nuova visione e unione per l’isola. Bisogna aggrapparsi alla speranza.
Verso le due del mattino è arrivata una nave per evacuare i turisti, soprattutto stranieri che terrorizzati si erano ammassati sulla spiaggia. Tutti giravamo con mascherine anche di fortuna perché l’aria era irrespirabile. Il vento ieri ha creato una tempesta di fuliggine che ha avvolto tutta l’isola rendendo l’aria densa di detriti. Non oso pensare a quando pioverà. Cosa verrà giù dalla montagna. Siamo in una emergenza drammatica che richiede immediati interventi perché il rischio non si è spento. Le conseguenze di questa mattanza purtroppo saranno catastrofiche per mesi, se non anni. I fuochi sono stati domati solo venerdì mattina con l’arrivo all’alba di due canadair.
Nemmeno i due parossismi dell’estate 2019 poterono tanta morte e desolazione. Ero sull’isola il 3 luglio quando Iddu, come amiamo chiamarlo noi Idduisti – i devoti di una bizzarra religione pagana che venera la montagna – fece l’eruzione più potente degli ultimi cinquant’anni. Non potrò mai scordare le immagini e le sensazioni di quel catastrofico giorno.
Ricordo la paura, il panico, la coltre di fumo cenere e lapilli che si innalzò in cielo per 5 km, per poi ricadere sull’abitato, oscurando tutto, e noi inermi formichine indaffarate nella frenetica e futile residenza estiva con gli occhi rivolti in alto.
Poteva scoppiare tutto.
Potevamo essere travolti da uno tsunami.
Potevamo perire in un botto.
Gli incendi provocati dal vulcano annerirono gran parte dell’isola, specialmente colpita fu la frazione di Ginostra, il “lato B” dell’isola.
Un amico dell’isola, Massimo Imbesi, perì tra il fumo e le fiamme mentre passeggiava in natura.
Ricordo il crepitio della vegetazione in fiamme che scorgevo dalla finestra di casa.
Ricordo i volti turbati degli imperturbabili isolani, uomini e donne temprati dalla meravigliosa ma difficoltosa convivenza su un’isola così portentosa. Ricordo tutto.
Questa volta a profanare la terra degli dei è stato l’essere umano. Stromboli non è solo terra di Dio, come da titolo del leggendario film Stromboli Terra di Dio (1949) di un autentico maestro del cinema, Roberto Rossellini. Le sette sorelle eoliane sono la dimora degli dei. Vi si accede in punta di piedi. Si ringraziano gli dei per l’ospitalità. Si accarezzano gli spiriti. Si danza con Dioniso nelle notti stellate. Ci si accoppia con la natura in magia e in malia. Tutto questo paradiso è andato letteralmente in fumo e fiamme per la colposa superficialità umana.
Oggi mi trovo a scrivere di una catastrofe ben peggiore, di un eccidio ambientale, umano e morale di proporzioni immense. Ciò che fa soffrire e sobbollire tutti noi strombolani, nativi e adottivi, insieme ai tanti amanti dell’isola, tra i quali è bene ricordare una moltitudine di stranieri, è l’origine di siffatta distruzione: la superficialità, la tracotanza, l’ignoranza umana. Le riprese erano quasi concluse e va detto che la gran parte della produzione era composta da professionisti presto diventati amici e amanti dell’isola. Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio ma trovare i responsabili. Capire chi durante una torrida giornata di scirocco ha detto: “Ciak, si brucia!”.
A deturpare, infiammare, incenerire, annientare oltre 6 ettari di vegetazione, e innumerevoli animaletti, non è stato, infatti, il vulcano, quella inquietante ma rassicurante presenza che ascoltiamo e veneriamo con i suoi sbuffi, ogni tanto un po’ più sonori e riottosi. Ma uno o più uomini che forse nella fretta di concludere il lavoro non hanno ascoltato le raccomandazioni degli isolani presenti sul set che sconsigliavano di “scherzare con il fuoco.” Questi sono fatti incontestabili.
Ieri mi sono armata di coraggio, eh sì sono sciarrigna anche io, e indossati gli scarponcini in solitaria mi sono avventurata verso Forgia Vecchia, l’estremità sud dell’isola. Ho iniziato a camminare piangendo o a piangere camminando. Perché vedere con i miei sensibili sensi la devastazione è stato un tremendo colpo al cuore. Invece, l’ho trovata intatta, una delle poche zone sopravvissute alla catastrofe. Quando ho visto le ginestre, i fiori, i canneti, la meravigliosa natura strombolana ancora viva, non ho smesso di piangere ma ho iniziato a danzare.
Stromboli rinascerà dalle sue ceneri come una vivida e variopinta fenice. La natura rinacque dopo il parossisma. Mi aggrappo a una speranza: che questa immane tragedia sia da monito futuro per chiunque scelga di venire qui. E anche per chi qui ci vive.
Il tempo della svendita di questa magica terra è finito. L’isola è degli dei. Sappiate che non tollereremo mai più nulla di irrispettoso sulle pendici di Iddu.
O sarà infausta e implacabile sciarra.