La memoria è una funzione cognitiva propria sia dell’uomo che dell’animale fondamentale alla sopravvivenza. Ricordare situazioni pericolose per evitarle, luoghi accoglienti per tornarci, o azioni per ripeterle, è importante per vivere con continuità. Integrando passato e presente, la memoria da unità al nostro vissuto e ci conferisce un’identità.
Quando certi ricordi sono legati alla dimensione emotiva rimangono impressi nella memoria ancor più facilmente. Ma la memoria è anche selettiva: molte informazioni giudicate come inutili vengono infatti eliminate, per poter meglio elaborare quelle funzionali.
Memoria individuale e collettiva
La memoria dell’individuo non riguarda solo le esperienze ad esso circoscritto. Essere parte di un gruppo, è infatti anche esso un elemento identitario connesso anche alla memoria della comunità che si integra con quella del singolo. La cosiddetta memoria collettiva consiste nell’insieme di ricordi costruiti, condivisi e trasmessi in un gruppo di persone. Memoria individuale e collettiva si influenzano a vicenda, in un rapporto di interscambio in cui il passato ricordato dal singolo alimenta quello ricordato dal gruppo e viceversa.
Ma la natura condivisa dei ricordi della memoria collettiva, non la rende meno fallace della memoria individuale. Nel ricordare eventi del passato, si tende a distorcerli – intensificandoli o abbruttendoli – o addirittura rimuoverli.
Le suggestioni derivate dall’ambiente esterno possono influire sulla qualità del ricordo. Come un fatto è raccontato, può indurre chi vi ha preso parte a ricordare dettagli che non ha vissuto in prima persona, ma di cui è convinto avere memoria.
Manipolazione dei ricordi
La natura malleabile di questa funzione cognitiva può rendere soggetti alla manipolazione dei ricordi. L’innesto di memorie che non sono mai esistite, la cancellazione di altre, o anche la distorsione di eventi. Sono operazioni che sono facilitate dalla stessa proprietà duttile della memoria.
Questo può rivelarsi pericoloso a livello sociale quando è la memoria collettiva che viene falsata, e il noto scrittore inglese George Orwell lo sapeva bene. Per tutta la sua vita ha combattuto contro la falsa informazione politica e l’ipocrisia di certi suoi colleghi. Sosteneva che l’unica cosa che il vero scrittore poteva e doveva descrivere era la verità, attraverso lo smascheramento della menzogna. I suoi famosissimi romanzi distopici mostrano la personale tecnica stilistica con la quale egli denuncia le menzogne di alcuni sistemi politici a lui contemporanei.
La denuncia della La fattoria degli animali
La fattoria degli animali, è l’opera più famosa dello scrittore britannico assieme a 1984 (dove pure la memoria gioca un ruolo cruciale). È una critica satirica all’ipocrisia dei regnanti sovietici del tempo, e al come hanno trasfigurato gli ideali rivoluzionari della rivolta bolscevica in un regime totalitario forse più duro di quello che avevano voluto spodestare. La simbologia che collega ciascun personaggio ad una figura storica è tuttavia di seconda importanza, data l’universalità dell’insegnamento del testo – garantita dall’adozione dello stile favolistico. Emerge il ruolo fondamentale attribuito da Orwell alla memoria. La sua assenza rende vulnerabili all’assoggettamento da parte di chi non persegue il bene comune, ma opera con il solo fine di detenere indisturbatamente il potere.
Quando la memoria vacilla
La parte forse più celebre del libro, è la metamorfosi dei comandamenti sul muro del granaio. All’inizio la cacciata dell’uomo dalla fattoria procede bene, e gli animali si riconoscono tutti negli stessi valori incarnati dai loro leader. Poi Napoleone, il maiale egoista che anela il potere, compie una serie di manovre subdole che lo portano al governano e che incrinano gli equilibri della fattoria. Nonostante la classe dei maiali vada arrogandosi sempre più privilegi, gli animali non hanno modo di ribellarsi, perché intimiditi da minacce di violenza o plagiati dalle menzogne di Napoleone.
Infatti, egli approfitta dell’assenza di memoria dei cuccioli di cane che alleva come suo personale esercito del terrore. E allo stesso modo, sfrutta la labilità della memoria degli altri animali quando modifica le leggi sul muro, supportato dai suoi seguaci. Aggiungendo poche parole che ne sconvolgono il significato originario, innesta una memoria collettiva imposta che sostituisce quella individuale. E le pecore sono forse il personaggio che desta più inquietudine. Rappresentano le masse che, acriticamente, prendono per legge quello che viene loro detto e ne fanno un coro che contribuisce a convincere gli altri animali della validità del ricordo che è stato loro propinato. Queste strategie annichiliscono la memoria degli animali, rendendola un foglio bianco su cui è possibile riscrivere le vicende.
Assenza di memoria e di parole
All’inizio era così che ci eravamo prefigurati che sarebbe stato? C’è davvero sempre stato scritto quello? La memoria è vacillante, ma le continue giustificazioni dei maiali sono sufficienti a mettere a tacere i dubbi.
La memoria collettiva indebolita, dà adito a una falsificazione subdola e utilitaristica, che viene spacciata per “il bene comune”. Tanto che il sistema ugualitario di animalismo che vigeva inizialmente, dove “tutti gli animali sono uguali”, si trasforma senza che nessuno possa impedirlo. Quasi naturalmente, gli animali si ritrovano in un regime totalitario con a capo i maiali, visto che “tutti gli animali sono uguali, a alcuni sono più uguali di altri”. E, pur essendo perplessi, non hanno da obbiettare perché non trovano le parole per poterlo fare, non le ricordano.
Ginevra Patacchini