Molti forse non lo sanno, ma il poeta romantico Goethe preferiva Napoli a Roma. Ripercorriamo insieme il viaggio che lo ha portato a innamorarsi del capoluogo campano.
Quando Johann Wolfgang Goethe parte per l’Italia ha trentasette anni, fa il ministro a Weimar e si annoia. Il suo viaggio, da Nord a Sud, da Trento a Catania, passando per Verona, Venezia, Padova, Bologna, Roma e Napoli non possiede soltanto i caratteri della fuga esistenziale o della ricerca del Classico e dei suoi miti, ma di una vera e propria indagine sociologica sugli italiani e i loro costumi. Nello specifico, il drammaturgo tedesco appunta impressioni, suggestioni e riserve su taccuini di fortuna il cui contenuto verrà poi raccolto in alcuni diari. Uno di questi è il sorprendente “Viaggio a Napoli” (Intra Moenia edizioni), sulle cui pagine Goethe non nasconde di preferire il capoluogo campano a Roma.
“Se a Roma si studia con piacere, a Napoli non si vuole che vivere“
Dopo tre mesi passati a Roma, Goethe giunge a Napoli nel febbraio 1788 e ci si stabilisce per poco più di un mese. Qui ha l’occasione, accompagnato da nobili locali, paesani avventurieri e nuovi amici, di visitare il Vesuvio, “formidabile e confusa massa che divora continuamente se stessa e indìce guerra a ogni sentimento di bellezza“, gli sconvolgenti scavi di Pompei, i templi di Paestum, ma non solo. Allo scrittore tedesco interessa Napoli e i napoletani più di tutto.
Goethe è spiazzato dalla bellezza di una città seduta su una posizione impossibile, in cui tutto c’è e tutto vive autonomamente, “il mare sconfinato, le isole vaporanti nell’azzurro, la montagna fumigante” e il cui teatro quotidiano lo interessa e lo emoziona molto più dello spettacolo programmato al San Carlo in cui sente invece “come in una camera ottica“. Oggetto di studio particolare sono quindi i napoletani, che arriva a definire “popolo alacre e ingegnoso, non per arricchirsi, ma per vivere senza pensieri“.
“Napoli è un paradiso, tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio. A me accade lo stesso, non mi riconosco più”.
Interrogato dagli amici del Nord riguardo alla presunta nullafacenza dei napoletani, Goethe si trasforma quindi in vero e proprio sociologo: osserva la festa di San Giuseppe, patrono di tutti i friggitori, studia i modi di parlare e gesticolare, divide in classi e giunge alla conclusione, osservando attentamente, che Napoli è in movimento perpetuo. Facchini, birocciai, marinai, pescatori e ancora bambini che vendono il pesce graziosamente adagiato su verdi foglie, robivecchi, barattatori di ferro, cuoio, panni e feltro. “Vanno e vengono tutto il giorno in un paradiso. Tutti si mescolano come onde di un torrente, eppure ognuno trova la sua via e arriva alla sua meta“.
“Non sarà mai del tutto infelice chi può ritornare, col pensiero, a Napoli”.
Il viaggio volge al termine, gli amici vengono congedati non senza tristezza, il Vesuvio saluta da lontano sbuffando. Johann Wolfgang Goethe giunge a Weimar nel giugno 1788 con il cuore gonfio di odori e visioni, cullato dai ricordi e consolato, forse per sempre, dalla grande bellezza di Napoli, la città sbagliata che può cambiare una vita.
Giorgio Federico Mosco