Quando essere bambini nel Sahel significa imbracciare un fucile

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La regione del Sahel, fascia di territorio dell’Africa subsahariana, è violentata ormai da oltre due anni da conflitti armati e rappresaglie che interessano il Burkina Faso, il Mali e il Niger. Nel novembre del 2019, si parlava di 1.2 milioni di sfollati, più della metà bambini.

“Uno di loro ha detto: non ucciderlo, deve vedere bruciare la sua casa. Altri hanno detto che ci avrebbero sgozzato. Mi hanno sparato al collo, e sono caduto. Poi mi hanno sparato anche allo stomaco”.

Così ha raccontato un sopravvissuto di 15 anni, mesi dopo l’attacco terroristico del villaggio di Ogossagou, in Mali.



E il terrore di qualcosa di peggiore trova conferma in un report UNICEF rilasciato martedì: di questi 670.000 bambini sfollati, moltissimi vengono poi reclutati dai gruppi armati che imperversano nella regione. Stime dall’UNICEF ce ne sono e lanciano un chiaro messaggio: chi non viene reclutato e separato dunque forzatamente dalla propria famiglia, se non già orfano, va incontro a violenze di qualsiasi tipo, fisiche e sessuali.

Attacchi contro i bambini che sembrano intensificarsi nell’ultimo periodo: solo in Mali, si è passati da 386 attacchi nel 3019 a 571 del 2019. Il risultato? Più di 700.000 bambini sotto i cinque anni sono gravemente malnutriti e dovranno essere aiutati con trattamenti salvavita nel corso del 2020.

Ma non sono distrutti solo i villaggi dell’area: le scuole e gli insegnanti sono diventati obiettivi primari, annullando qualsiasi possibilità per i più giovani di poter proseguire un percorso formativo.

Da aprile del 2017 a dicembre del 2019, nel Sahel è sestuplicato il numero di scuole chiuse a causa delle violenze: 3.300 stando agli ultimi dati, pari a 650.000 bambini e oltre 16.000 insegnanti.

“Quando parliamo della situazione nel Sahel, non possiamo fare a meno di rimanere ammutoliti dall’entità delle violenze che i bambini della zona stanno affrontando. Sono uccisi, mutilati e abusati sessualmente” ha dichiarato Marie-Pierre Poirier, Direttore Regionale UNICEF per l’Africa Centrale e Occidentale.

Attacchi che non si fermano: sabato 27, una ritorsione jihadista ha causato più di 50 vittime in un villaggio al confine tra il Burkina Faso e il Mali. Attacchi peggiorati nel primo mese del 2020: un rapporto ONU parla del 116% di perdite militari in più rispetto ai tre mesi precedenti. Gli ultimi in linea di tempo sono 20 soldati uccisi in Mali lunedì scorso.

Attacchi terroristici ad opera sia di Boko Haram che delle forze dell’Iswap, lo stato islamico creato nell’Africa Occidentale. Forze che dilaniano un’intera area allo stremo, aumentando il numero di persone in fuga da questi zone.

Chiara Nobis

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