Pyromanen Pyromaniac al Torino film festival

Ecco una nuova pellicola, nuova di zecca: Pyromanen Pyromaniac, direttamente sbocciata dal 34esimo Torino Film Festival.

Cosa siamo disposti a fare pur di salvare la nostra inutile comunità di provincia da un immobilismo soffocante?

Tratto da una storia vera, così recita la dicitura a caratteri bianchi, che squarcia lo schermo nero del cinema torinese.

Non so dire se la cosa mi sconvolge, so per certo che “Pyromanen Pyromaniac” è una pellicola cinematografica che non sfrutta a pieno il suo potenziale, che ribolle nella pancia del regista, come liquido indigesto. So che la narrazione, la storia, raccontata ad immagini nella proiezione, è potente, ossessiva, controversa, e lascia al pubblico una libera interpretazione.

pyromanen-pyromaniac

Siamo nella Norvegia degli anni 80, in una piccola e placida cittadina che appare alle nostre accoglienti iridi come un luogo spremuto, e da tempo prosciugato di ogni opportunità da offrire ai suoi giovani abitanti. Una terra che brulica di tradizioni stantie e palpabili incubi; come un futuro nelle poste.

Dag è un 19enne, figlio del capo dei pompieri, conosciuto e rispettato nella piccola cittadina, quella culla sicura, che gli ha offerto i natali e invidiabile protezione durante la crescita. Tornato dal servizio militare sente qualcosa che smuove la sua giovane anima, una scintilla che nasce dalle viscere e avvampa violentemente, risucchia gli organi interni, spranga lo stomaco in una sola morsa, e risale, bruciandogli in gola.

La fiamma è accesa o spenta?

Cosa succede nella pancia del piccolo villaggio di Finsland, nella torrida estate del 1981, quando per tentare di lacerare un cordone ombelicale indistruttibile, dare un senso a un’esistenza, che pare cristallizzarsi e non fare mai il grande salto, bramare ardentemente una solida collettività, laddove le fondamenta crollano da sotto i piedi, tutto brucia?

Cosa succede nell’utero materno del villaggio di Finsland, quando un proprio membro, per motivi apparentemente ossessivi, (ma ne siamo davvero sicuri?), inizia ad esternare il fuoco che lo logora dentro? Il terrore che divampa è un cancro autoctono, che rischia di devastare il ventre materno del Paese, dove Dag ha covato il suo malessere per 19 lunghi anni.

Un dramma psicologico, “Pyromanen Pyromaniac”, punteggiato da ossessioni, fantasmi interiori che premono artigli affilati come lame di un coltello, contro il nostro ventre, pur di uscire allo scoperto.

E’ una pellicola che fa male, ci rende improvvisamente impotenti, lascia scoperta una piccola fiammella che arde nelle nostre coscienze, e risposa nelle viscere da un tempo molto, molto lontano.

La fiamma è accesa o spenta?

Eroe e vile, vittima e carnefice, assassino e salvatore.

Ormai lo sappiamo, la linea che separa il bene dal male è talmente invisibile da scomparire, in un mare di emozioni, sentimenti, ossessioni, gettate nel fuoco da una popolazione quasi asettica, anestetizzata, che non ne vuole sapere di tagliare quel cordone ombelicale, che ormai soffoca l’intera cittadinanza di Finsland.

Permetto alla mia mente di diffondersi oltre alla semplice narrazione cinematografica che non sfrutta a pieno il fardello scottante che ha tra le mani, ma si srotola in intrecci esistenziali piatti e poco emozionanti.

Il desiderio di andare oltre a ciò che il regista, Erik Skjoldbjaerg racconta, brucia come quel falò improvvisato nella boscaglia, che è l’interessante incipit del film in questione. Interessante estrapolare da “Pyromanen Pyromaniac” lo smarrimento di una popolazione estranea al mondo, protetta e cullata dall’utero materno di Finsland. Il rapporto ambivalente con il fuoco di Dag ci scaglia in volto un’altra dicotomia: Eroe e vile, vittima e carnefice, distruggere e salvare, o forse, distruggere per poi salvare.

Siamo nella Norvegia degli anni 80, in una piccola e placida cittadina che appare alle nostre accoglienti iridi come un luogo spremuto, e da tempo prosciugato di ogni opportunità da offrire ai suoi giovani abitanti. Una terra che brulica di tradizioni stantie e palpabili incubi; ma noi non vogliamo morire.

 

Elisa Bellino

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