Quello delle grandi purghe staliniane, a distanza di quasi un secolo, resta un episodio in parte irrisolto. Ma comunque vergognoso, orribile, e da non dimenticare.
C’è chi si è attivato per rendere giustizia, seppur postuma, alle tante vittime falciate dall’arroganza di Stalin e dal suo cieco arrivismo: Jurij A. Dmitriev, storico e attivista dei diritti umani.
La battaglia di Jurij Dmitriev
Nel periodo della perestrojka, Dmitriev, nato a Petrozavodsk nel 1956, si interessò alla questione delle vittime della prima ondata di purghe staliniane in Carelia. In questo collaborando con il deputato del Soviet Supremo Ivan Čuchin, il primo presidente del dipartimento careliano della Memorial Society (associazione per la difesa dei diritti umani che opera negli Stati post-sovietici, e che si occupò, tra l’altro, della mappatura dei gulag).
Dopo la morte di Čuchin, in un incidente d’auto, Dmitriev proseguì da solo il suo lavoro di ricerca. E, tra il 1997 e il 1998, scoprì due grosse fosse comuni: la prima nella foresta di Krasnyj Bor, con circa 1.500 corpi, la seconda a Sandarmoh, con altri 9.000 corpi.
Le purghe staliniane
Tali massacri, secondo la ricostruzione di Dmitriev, erano avvenuti tra il 1937 e il 1938, nel periodo del “grande terrore” (bol’šoj terror). È in quegli anni, infatti, che Stalin provvide a far arrestare ed eliminare dalla polizia politica (Nkvd) tutti i suoi avversari politici; spesso dopo processi sommari, sostenendo di dover epurare il Partito comunista da presunti cospiratori.
Le purghe staliniane si scatenarono su politici, militari e artisti potenzialmente ostili al regime. Ma anche nei confronti di chi era emigrato nell’Urss per sottrarsi alle persecuzioni politiche dei Paesi d’origine, o per contribuire allo sviluppo del nuovo “paradiso” socialista.
In quegli anni, i movimenti di estrema destra attivi in Finlandia non facevano mistero delle loro mire espansionistiche in Carelia. Pertanto i careliani, che ai finlandesi erano affini per lingua e cultura, venivano guardati con sospetto dall’Nkvd.
La verità viene a galla
Secondo Dimitriev, che mise in correlazione i corpi rinvenuti in Carelia con gli archivi del KGB, a Krasnyj Bor si troverebbero, tra gli altri, i corpi di 580 finlandesi e 432 careliani; a Sandarmoh 762 finlandesi e 676 careliani: un migliaio apparterrebbero a prigionieri condotti sul posto dal carcere speciale di Solovki, tra cui il poeta dissidente udmurto Kuźebai Gerd.
La strage di Krasnyj Bor è argomento centrale di La via eterna di Antti Tuuri e dell’omonimo film The eternal road, presentato a Roma nel 2018.
Le scoperte di Dmitriev erano molto scottanti, e crearono un certo disagio.
Tuttavia solo di recente la Russia, per cancellare scomode ombre sul proprio passato storico, ha iniziato a mettere in campo alcune contromosse.
Versione apocrifa e versione ufficiale
La tattica della Russia consistette, almeno all’inizio, nello screditare la versione di Dmitriev, che venne definita “apocrifa”. Ad essa si oppose – e tutt’oggi si oppone – una “versione ufficiale”, espressa dagli storici dell’università di Petrozavodsk, Sergej Verigin e Jurij Kilin.
Nel 1939, infatti, l’Unione Sovietica aveva attaccato la Finlandia per impossessarsi di alcuni territori strategici sul confine careliano, al fine di proteggere Leningrado dalle mire naziste. Ma sebbene conclusasi nel giro di pochi mesi, la cosiddetta Guerra d’inverno era stata subito seguita dalla ben più lunga e feroce Guerra di continuazione (1941-1944). In quel frangente i finlandesi, sostenuti dai nazisti, avevano attaccato l’Urss nel tentativo di impossessarsi della Carelia. E, secondo Verigin e Kilin, nelle fosse comuni careliane si troverebbero dei soldati sovietici fucilati dai finlandesi durante l’occupazione dell’Olonec.
La Russia non si arrende
Nel 2012 il governo russo incaricò il ministro della cultura Vladimir Medinskij di costituire la Società per la storia bellica (Russkoe istoričeskoe obščestvo) con l’intento, tra l’altro, di trovare queste supposte fosse comuni nelle quali i soldati finlandesi avrebbero seppellito i corpi dei soldati dell’Armata Rossa.
L’operazione non diede, però, l’esito sperato.
Le accuse infamanti
Non riuscendo a contrastare fino in fondo la versione di Dmitriev, il governo russo decise di screditare direttamente l’uomo. E così, nel 2016 Dmitriev venne arrestato con l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico. In quel periodo – solo un caso? – stava completando un testo commemorativo delle vittime delle purghe staliniane, contenente i nomi di 64.000 deportati nei campi di lavoro.
Si trattava, inutile dirlo, di un’accusa infondata, che decadde due anni dopo, consentendo a Dmitriev di ritornare in libertà.
Le immagini incriminate
Le foto oggetto di accusa riguardavano la figlia Nataša, adottata da poco, che il padre fotografava senza vestiti perché affetta da denutrizione: le foto avevano il solo scopo di consentire l’analisi del dietologo, in modo che stabilisse la terapia. E questo venne avallato da una sentenza del dicembre del 2017: il materiale fotografico ritrovato nel computer di Dmitriev non aveva effettivamente un contenuto pornografico.
Ma non era finita, anzi, si era solo all’inizio
Nell’aprile del 2018, Dmitriev venne assolto dall’accusa principale e dalla pena prevista di nove anni, ma venne convalidata l’accusa per un reato minore: detenzione di arma da fuoco.
A giugno del 2018 venne arrestato nuovamente per avere violato i termini del proscioglimento a gennaio. Il verdetto di aprile fu annullato e iniziò un nuovo procedimento a suo carico, che prevedeva perfino una perizia psichiatrica.
I nuovi scavi
Nel disperato tentativo di dimostrare la non totale responsabilità della Russia, Putin ordinò nuovi scavi, eseguiti nell’estate del 2019. Furono trovati 16 nuovi cadaveri, ma ancora non si sa se possano almeno in parte mitigare la gravità delle purghe staliniane.
L’indignazione degli intellettuali
A sostegno della causa di Dmitriev si sono mossi molti intellettuali in Russia e altrove, tra cui il poeta Aleksandr Gel’man e il regista Andrej Zvjagincev. E, di recente, di lui si è recentemente interessato il New York Times, con un articolo di esplicita denuncia sulle ingiustizie da cui è da troppo tempo sottoposto.
Di fatto, fuori dalla Russia, la “versione ufficiale” dei soldati sovietici fucilati dai finlandesi non ha il sostegno di alcuno storico che si sia occupato della vicenda. Le esecuzioni dell’esercito finlandese, infatti, erano annotate nei registri di guerra, e Sandarmoh si trovava sulla linea del fronte.
Insomma, la domanda di Primo Levi, «Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità?», rimane senza risposta.
E intanto la Russia continua a cercare di nascondere la polvere sotto il tappeto. A scapito della libertà di un uomo.
Claudia Maschio