Il pugilato, cultura e arte
Il pugilato è uno degli sport più antichi che sono arrivati fino a noi; pervasivo della propria cultura come ogni specifico sport di lotta , è inoltre uno più rappresentati in arte. Che la figura di uno sportivo possa essere tema adatto a soddisfare l’immaginazione e gli obiettivi in particolare di uno scultore è la prima cosa che viene da pensare; ma si vedrà anche uno sviluppo in pittura fondamentale ai fini del discorso.
Il Pugile in riposo
Innanzitutto, partiamo dall’antichità analizzando il caso del Pugile in riposo. Statua bronzea greca della seconda metà del quarto secolo a. C., un ritrovamento di Roma che oggi vive negli spazi museali di Palazzo Massimo. Nell’antica Grecia era un portafortuna; veniva sfregato a tal fine da coloro che lo vedevano, nel luogo pubblico in cui quindi era posto. Nel realismo della raffigurazione il sangue delle ferite ancora aperte, i segni dell’attività violenta, un corpo martoriato dai colpi ma allo stesso tempo allenato per rispondere ad essi. Inoltre, il girarsi vacuo e stanco del volto verso qualcuno o qualcosa, amplificato dall’orbita oculare vuota che non mostra oggi a noi che lo vediamo il focalizzarsi di uno sguardo.
La rappresentazione antica
Per l’artista il soggetto raffigurato è motivo di rappresentazione secondo due linee di sviluppo: fisicamente, permetteva la lavorazione di un corpo atleticamente preparato, ma allo stesso tempo intaccato visibilmente dai colpi degli avversari, il luogo di convivenza di opposti concretamente visibili e definibili; allo stesso tempo proprio questo aspetto dei segni della sua attività sportiva parla di una scelta tematica data dalla condizione del pugile nella società del tempo, dalla volontà di descrivere la sua vita e il modo in cui si guadagnava da vivere; è proprio questo lato della rappresentazione che rendeva la scultura soggetto della venerazione superstiziosa da parte dello spettatore antico.
Il pugile nell’arte italiana degli anni ’30, la scultura di Francesco Messina
In un salto verso gli anni ’30 del 1900, in Italia, il tema del pugilato tornò ad essere affrontato da grandi artisti. Lo scultore Francesco Messina aveva la commissione di realizzare due pugilatori per lo stadio dei Marmi a Roma; nello stesso periodo scolpì anche diverse variazioni sul tema di piccole dimensioni, sia in bronzo che in terracotta.
Nella pittura di Giacomo Balla
Più o meno nello stesso periodo, nel 1933, Giacomo Balla dipinse Primo Carnera. La raffigurazione occupa il retro di una tela già precedentemente dipinta, il soggetto futurista dal lato opposto è Vaprofumo del 1926; inoltre, l’artista ha posto sul supporto una rete metallica che ha permesso la creazione di quell’effetto retinico che ricorda le fotografie dei rotocalchi, che ritraevano le imprese pugilistiche di Carnera e dalle quali Giacomo Balla prese ispirazione.
Elisione del realismo della sua attività
I due artisti italiani, nella loro raffigurazione, perdono qualcosa che era invece presente nel Pugile in riposo. Il realismo della vita dell’atleta, con tutta la sua parte drammatica e la precarietà del suo futuro che, come dice della scultura il celebre giornalista sportivo americano Telese, ci interroga sul nostro stesso futuro, sul momento in cui dovremo fare i conti con ciò che abbiamo fatto.
Il pugile come figura iconica
In un periodo, invece, come l’Italia degli anni ’30 in pieno ventennio fascista, a discapito di ciò prende posto una sempre più forte iconicità dell’immagine. La fisicità, tanto promossa, del lottatore, come ricercata nella tecnica scultorea di Messina e nella neonata ricerca figurativa di Balla, come promossa dalle fotografie che ormai distribuivano ad ampio raggio le notizie di un Primo Carnera, orgoglio italiano negli Stati Uniti.
Giacomo Tiscione