A cosa serve la commemorazione dell’8 marzo? A ricordare le conquiste politiche, sociali ed economiche che hanno visto le donne come protagoniste indiscusse. Ma, soprattutto, a non dimenticare che c’è molto lavoro da fare, affinché si raggiunga una piena uguaglianza di genere.
Questa necessità è stata percepita dall’International Women’s Day del 2019, il cui tema è #BalanceforBetter: parafrasando, “più uguaglianza per un mondo migliore”. Un mondo più a prova di donna, in cui ogni essere umano abbia gli stessi diritti e doveri e sia posto nelle condizioni di sfruttare al meglio le proprie capacità e competenze, dal lavoro ai diritti civili e sociali, passando per l’istruzione e la partecipazione politica. Magari fosse pura retorica. Secondo il report del 2018 del World Economic Forum, il gender gap è ancora altissimo, se si considerano indici quali il lavoro, l’accesso alle cure primarie e la salute, l’educazione e la partecipazione politica ed economica. L’Italia, in particolare, si ferma ad un 77esimo posto, tra i 149 Paesi analizzati.
Pubblicità sessiste: tra stereotipi e doppi sensi
E la pubblicità come si inserisce nella società? Come riflesso di essa o come promotrice di un cambiamento? Se si adottasse la prima soluzione, saremmo obbligati a pensare che la pubblicità è tale poiché riflette le preferenze del pubblico. Affermando che, al contrario, la pubblicità possa incidere sulle opinioni dei consumatori, si può sostenere che l’advertising contribuisca alla creazione o al consolidamento di pregiudizi. A questo punto ci si deve chiedere: “Quando una pubblicità può essere considerata sessista?” Quando crea nell’immaginario una visione semplicistica, limitata e distorta della realtà. Essa può variare da una mercificazione del corpo della donna, riducendola a un oggetto, fino alla stereotipizzazione del suo ruolo, sia esso quello di madre, di casalinga o di lavoratrice. Vi sono poi pubblicità in cui abbondano i doppi sensi.
Di esempi ce ne sono moltissimi. Sarebbe quasi impossibile elencarli tutti. Barilla, Amaro del Capo, Mutti, Pandora, le patatine Amica Chips solo per citarne alcune. Uno dei più celebri è il caso di Dolce & Gabbana, che anni fa su al centro di un polverone mediatico a causa di una pubblicità che aveva per protagonista una donna immobilizzata a terra da un uomo, mentre altri attorno a lui osservavano la scena. Più di recente, nel novembre del 2018, il marchio, per sponsorizzare una sfilata a Shanghai, rappresentò una ragazza cinese intenta maldestramente a mangiare piatti italiani come pizza, spaghetti e un cannolo, servendosi delle tipiche bacchette cinesi. Come se non bastasse, furono inserite allusioni sessuali nella scena con il cannolo: “E’ ancora troppo grande per te?”. Il video promozionale fece scalpore, al punto che il brand fu costretto a cancellare la sfilata e fu rimosso dai principali siti di e-commerce cinesi.
Due casi di pubblicità sessiste e discriminatorie: Trenitalia e Lega Nord
Il trend ultimo dei marchi è di cavalcare il risvolto festaiolo di una giornata, ossia quella dell’8 marzo. E una circostanza (quasi) matematica si sussegue ogni anno: per un brand con uno spot meritevole, ce n’è un altro di dubbio gusto. Sul podio troviamo Trenitalia:
“In occasione della Festa della Donna, il prossimo 8 marzo sui treni Frecciarossa e Frecciarossa 1000 se sei una cliente e viaggi in Executive o se acquisti un Menù Easy Gourmet o usufruisci del servizio Bar o Ristorante, riceverai in omaggio UNA caramella gelèe Caffarel al limone”.
Che ideona offrire una caramella solo alle passeggere con i biglietti più costosi! L’esito era prevedibile: polemiche sui social con conseguente rimozione dell’offerta. Ma l’idiozia è rimasta: nel giorno celebrativo delle donne, Trenitalia le discrimina.
A completare il quadro desolante, ci ha pensato poi il volantino della Lega per Salvini Premier di Crotone che, tra stereotipi e sensi di colpa, ci insegna che chi offende la donna è:
“Chi sostiene una cultura politica che rivendica una sempre più marcata e assoluta autodeterminazione della donna, che suscita un sentimento rancoroso e di lotta nei confronti dell’uomo”.
Non manca la difesa della donna in veste di fulcro della famiglia, come se diventare mamma sia un dovere: “Chi contrasta culturalmente il ruolo naturale della donna volto alla promozione e al sostegno della vita e della famiglia”.
Un’aria di cambiamento si respira, sopratutto alla luce del fatto che il pubblico ha iniziato a scagliarsi contro questi linguaggi pubblicitari, mostrando come abbia un’influenza sempre maggiore sulle scelte delle imprese e delle aziende. Questo mostra come si debba andare verso una comunicazione più attenta e sensibile, che rispecchi il pensiero dei consumatori. Alcuni potrebbero obiettare che si dovrebbe combattere per delle cause più alte, ma il cambiamento passa anche attraverso i piccoli gesti quotidiani.
E’ innegabile che le campagne pubblicitarie siano lo specchio della società e inneggiare a una visione sessista e stereotipata non fa altro che complicare lo sradicamento dell’immagine della donna come moglie, madre e perfetta massaia.
Serena Fenni
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