Pubblicità sessista, quando la discriminazione nasce dalla rappresentazione mediale

Pezzi di corpo usati per promuovere prodotti e ruoli stereotipati in base al genere: ecco come la pubblicità sessista accentua la discriminazione di genere.

Per alcuni si tratta di un fenomeno lesivo della dignità, da combattere e stigmatizzare; altri affermano che quello della pubblicità sessista  sia un problema di poco conto, e tirano in ballo questioni più urgenti da affrontare. Al di là del benaltrismo, però, il sessismo nelle rappresentazioni pubblicitarie è un argomento serio.

La questione merita una riflessione immediata e condotta sotto uno sguardo meno superficiale. In tanti, sui social, si scagliano in prima linea contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Non altrettanti, però, riconoscono altre forme di abuso, che possono preludere il maltrattamento fisico perché ne sono alla base. La pubblicità sessista è una di queste manifestazioni, che propone un ideale di donna irrispettoso, irrealistico e fuori tempo.

Pubblicità sessista, quando l’ironia giustifica il body shaming

Spesso la pubblicità sessista propone forme di body shaming. I corpi che si scostano da determinati canoni estetici sono oggetto di scherno. In molti giustificano questo tipo di pubblicizzazione con l’ironia, sostenendo che il politically correct punti a sopprimere qualsiasi forma di espressione scomoda. A loro va ricordato che questo termine si riferisce a un movimento nato per rivendicare una maggiore giustizia sociale verso le minoranze. Ciò passa anche attraverso l’uso di un linguaggio più rispettoso. Il punto non è indignarsi perché la pubblicità sessista deride un difetto che abbiamo anche noi. Ci si offende perché c’è chi crede ancora di essere in diritto di rivolgersi a qualcuno, intimandogli come debba apparire, pena l’esposizione al pubblico ludibrio.

pubblicità sessistaLa donna oggettivata, il corpo femminile come strumento di marketing

La pubblicità mercifica il corpo femminile in continuazione. Siamo così esposti a questa modalità di pubblicizzazione che spesso non ce ne rendiamo conto, se non nei casi più eclatanti. Letteralmente parlando, le donne vengono fatte a pezzi. Una volta ridotte a bocche, seni, glutei, le parti del loro corpo vengono associate ai prodotti, come fossero un tutt’uno in vendita. Per riuscire ad emanciparci da questo stato di assuefazione alla pubblicità sessista, dobbiamo considerare che non esiste alcuna correlazione logica tra immagine e merce pubblicizzata.




Spesso, inoltre, si ricorre a slogan costruiti sui doppi sensi. Le donne sono concepite come pezzi di carne pronti a soddisfare le aspettative sessuali altrui. Questo è il portamento fondante della discriminazione e della violenza di genere. Come possiamo pretendere di ridurre il tasso di abusi e maltrattamenti fisici, se prima non cambiamo la rappresentazione femminile nella nostra società? È necessario comprendere, infatti, che questo stesso tipo di rappresentazioni sono forme di violenza, che ledono la dignità della persona.

Pubblicità sessista, il modello femminile e maschile

Non solo stereotipi al femminile, la pubblicità sessista continua a rappresentare l’uomo nelle vesti del macho e del professionista. Le donne sono madri, mogli, casalinghe. Attorno a loro ruota la promozione dei prodotti per la casa e per l’infanzia. Gli uomini, dal canto loro, non puliscono, non stirano, non lavano e sono persino impacciati coi propri figli.

È giunto il momento che la rappresentazione mediatica rispecchi realmente gli uomini e le donne, abbattendo ogni stereotipo. A questo possiamo contribuire tutti. Ad esempio, si può protestare con gli autori e le aziende che promuovono i propri prodotti attraverso la pubblicità sessista. Con questo intento, è nato su Facebook il gruppo La pubblicità sessista offende tutti, che prevede la segnalazione e la mobilitazione degli utenti in rete.

 

Laura Bellucci

Exit mobile version