Cosa spinge un uomo ad uccidere un suo simile?
Gli assassini sono tutti raggruppabili in una grande categoria di persone sfortunate, che hanno sofferto molto, nel corso della loro vita?
Si può parlare di psicosi, analizzando un caso di omicidio seriale?
L’interesse per la sofferenza umana non è certo una storia recente, poiché il vasto campo della medicina si è sviluppato dai lontani tempi di Ippocrate. Diversa sorte è toccata ad un aspetto particolare del patire: il disturbo mentale.
Per comprendere veramente il significato di malattia mentale è utile partire dal concetto di relatività.
Vi siete mai chiesti perché un mafioso che uccide il suo capo, per prenderne ufficialmente il posto, difficilmente viene definito pazzo; mentre una persona classificata umanamente “normale”, che ne uccide un’altra, pensando di compiere un rito propiziatorio per onorare una divinità, verrà di certo etichettata come folle?
Almeno questo è ciò che accade, per quanto riguarda i canoni nella nostra società.
Non era certo sinonimo di follia, ai tempi delle vecchie tribù degli Aztechi, dove i sacrifici umani erano del tutto normali.
Dunque, è chiaro che è ancora una volta la società a definire i confini della pazzia umana.
Follia è sinonimo di psicosi? Psicosi è pazzia? Siamo costantemente bombardati da notizie di cronaca nera, omicidi seriali, orrori di ogni tipo. Si sente spesso parlare di fanatismo, di omicidi in nome di Dio, di follia, perdita della lucidità, instabilità, incapacità di intendere e di volere.
Ma ci siamo mai chiesti cosa succede realmente nella testa di queste persone “impossessate da questa pazzia”?
Cos’è alla fine dei conti, la psicosi?
La psicosi è una sindrome, un insieme di sintomi, che può associarsi a molti disturbi di tipo psichiatrico, ma non rappresenta di per sé un disturbo specifico. La sindrome comprende deliri, allucinazioni, pensieri ed eloqui disorganizzati, gravi distorsioni della realtà. La capacità di conoscere la realtà, la risposta affettiva, la capacità di comunicare e relazionarsi con gli altri, sono spesso compromesse. Sono presenti allucinazioni che riguardano accuse, minacce di punizioni, di morte, si hanno spesso delle visioni; è possibile riscontrare disturbi motori che riguardano posture rigide e peculiari, segni di tensione, sogghigni, risatine, parlottamenti tra sé e sé, paranoie di ogni tipo, come il guardarsi costantemente attorno come se si udissero delle voci.
Una persona affetta da psicosi presenta proiezioni paranoidi, ossessioni, convinzioni deliranti, fobie di persecuzione, paura di essere perseguitato, pedinato, o addirittura di essere vittima di una cospirazione, e che forze esterne controllino ogni sua azione. Spesso portano a conseguenze violente e belligeranti; “il pazzo” è spesso irritabile, di cattivo umore, tende ad incolpare chi gli sta intorno, può presentare atteggiamenti di superiorità, e convinzioni di essere il prescelto di un disegno superiore, di avere una missione divina, che noi umani non possiamo certo comprendere.
Il funzionamento della mente umana è un argomento di grande attualità, alla luce degli orrori a cui assistiamo quotidianamente; fatti apparentemente inumani, prodotti da esseri umani.
Dove ha imparato l’uomo ad agire pervaso dalla rabbia e dalla cattiveria?
Secondo la scienza, le parti del cervello più attive nelle emozioni, sono il talamo e l’ipotalamo, il cervello limbico, l’amigdala, e la corteccia prefrontale. Nelle malattie mentali sono implicate principalmente queste ultime due zone. I messaggi all’interno del cervello sono trasmessi per mezzo di sostanze chimiche, rilasciate da cellule specializzate cerebrali, che raggiungono il luogo del corpo di destinazione. La produzione del pensiero, la mente che usa il cervello nell’essere umano, rimane ancora oggi uno dei grandi misteri della mente umana. Un salto dalla materia alla non materia, dal reale all’astratto, al non tangibile; un vero e proprio salto nel vuoto.
Ma perché un uomo uccide un suo simile? Questa è la domanda cruciale, che tutti ci poniamo costantemente. Perché uccide? Cosa scatta nella sua mente? Quale pulsione s’impadronisce di lui, ossessionandolo, fino al punto di spingerlo a sopprimere un essere umano?
Gli autori delle tragedie apocalittiche, delle quali sentiamo parlare ormai troppo spesso, costituiscono una categoria di criminali talmente crudeli e letali, che è lecito chiedersi se, oltre ad evidenti disturbi psicologici, non soffrano anche di disturbi fisiologici. Ci viene da domandarci se queste persone hanno un cervello uguale al nostro. E’ come entrare nel lato più oscuro della mente umana.
Recentemente assistiamo agli orrori dell’Isis, ai femminicidi, ad uccisioni barbare e disumane.
Il termine serial killer è stato coniato abbastanza di recente, è vero, ma sarebbe un errore imperdonabile credere che il fenomeno di tale violenze, che sfiorano il sadismo, siano altrettanto recenti. Gli assassini seriali sono sempre esistiti, da Nerone a Caligola, che uccidevano per il solo gusto di sperimentare nuove emozioni, durante momenti di noia. Se scaviamo nella storia, scopriamo che intorno agli anni 1432, 1440, il maresciallo di Francia Gilles de Rais, si è reso colpevole dell’uccisione di circa 800 bambini, che ha utilizzato come vittime sacrificali, per i suoi rituali di magia nera. Egli torturava le sue vittime, le faceva decapitare, e assisteva alla loro agonia.
Che differenza possiamo notare, dunque, nella violenza provocata da Caligola, Nerone, Gilles de Rais, e il nuovo pericolo mondiale, incarnato dallo Stato Islamico?
Mi verrebbe da dire, ad esempio, l’invenzione avvenuta nel 1847, ad opera di Ascanio Sobrero, della nitroglicerina. E il successivo ricavo, da parte di essa, della dinamite, dal famoso Alfred Nobel, l’uomo che verrà ricordato nei secoli come il mercante di morte.
Di distinzioni se ne possono fare tante; sono trascorsi secoli, l’uomo si è evoluto attraverso una serie di eventi, è nata la tecnologia. L’essere umano è diventato, con il passare del tempo, un animale sociale, dominato da un’etica morale, da una coscienza, più che dall’istinto.
Ma quando si parla di violenza, in qualunque sua sfaccettatura, l’essere umano diventa disumano, oggi come allora. Ed è proprio questa disumanità umana che più mi spaventa.