Psicofarmaci nelle carceri: ultima risposta al collasso?

Psicofarmaci nelle carceri

Antipsicotici e potenti psicofarmaci vengono somministrati in quantità elevate in almeno 15 carceri italiani. Solo nel 10% dei casi, però, agiscono su un disagio psichico diagnosticato. Per il resto, il vero disturbo da curare è il collasso del sistema

Psicofarmaci nelle carceri: secondo l’inchiesta “Fine pillola mai“, avviata lo scorso ottobre da Altreconomia con il supporto dell’associazione Antigone, sono ben 15 gli istituti italiani che ne abusano.

Tra il 2018 e la fine del 2022, 12.400 detenuti, su un totale di 56mila, hanno fatto uso di farmaci (soprattuttto antipsicotici) tra cui: Paliperidone, Apipipraziolo, Trazodone, Olanzapina e Quietapina. Medicinali utilizzati per fronteggiare gravi patologie che, però, sono diagnosticate in meno del 10% del totale dei detenuti.

Nonostante ciò, nel 2022, la spesa in psicofarmaci ha superato la soglia dei 2 milioni di euro. E risultano utilizzati cinque volte più che nella popolazione generale.
Nel carcere di Biella, dove la situazione appare ormai fuori controllo, l’80% dei detenuti assume antipsicotici. Venti volte più che rispetto all’esterno.
Dati preoccupanti, secondo Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda unità sanitaria locale di Modena e presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica.
Che riguardano non solo il disagio psichico dei detenuti, ma la necessità di gestire un
sistema al collasso.

Stiamo sedando dei disturbi o dei disturbanti? Nel primo caso siamo all’interno dell’agire clinico. Nel secondo invece no, e si persegue in modo inappropriato un obiettivo di controllo

Psicofarmaci nelle carceri: la risposta più semplice al disagio psichico

Per comprendere i dati che riguardano l’utilizzo di psicofarmaci nelle carceri, bisogna tener conto di alcuni aspetti.

Innanzitutto, l’utilizzo di psicofarmaci nelle carceri è dovuto a numerosi casi di profondo disagio psichico, che nasce da esperienze di vita difficili, e da condizioni di detenzione critiche.
Spesso, come ha osservato il coordinatore Scandurra, si arriva persino a lamentare la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (avvenuta, di fatto, nel maggio 2017).

Operatori, direttori, agenti. Ripetono tutti: ‘Ci mandano i matti a noi’. Ma noi lo ascoltiamo in ogni istituto. Il ‘problema’ è comune, e nei corridoi si dà la colpa alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari

Inoltre, tra la popolazione interna a un carcere e quella esterna, ci sono delle ovvie differenze strutturali e di gestione.
Anche tra gli istituti stessi. Come spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone, i costi sono generalmente più contenuti nelle case di reclusione, per chi ha una pena definitiva; maggiori nelle circondariali, dove il turnover delle presenze è più elevato e il periodo di permanenza minore.

Le differenze territoriali vanno anche lette nell’ottica di quali alternative si hanno al farmaco. Probabilmente anche l’area sanitaria può agire diversamente se ci sono più attività, più spazi aperti e maggiori contatti con l’esterno

Mediamente, negli istituti carcerari italiani, la spesa pro-capite in psicofarmaci – antipsicotici (60%), ansiolitici (16%), antiepilettici (11%), antidepressivi (8%) e ipnotici e sedativi (1%) – supera di molto quella esterna.
Ciò, almeno in parte, può essere giustificato dal maggior costo delle singole dosi.
Eppure, anche facendo una rilevazione specifica sui soli detenuti che assumono regolarmente antipsicotici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore, la spesa risulta cinque volte superiore rispetto a quella di un individuo esterno all’istituto.

Secondo Michele Miravalle, coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone, questa sproporzione è quindi da additare a diversi fattori.

Non ci sono intenzioni ‘malvagie’ negli operatori sanitari.
La richiesta di farmaci arriva sia dai detenuti stessi, che cercano stordimento, sia dagli agenti che preferiscono lavorare in sezioni pacificate e l’antipsicotico, in questo caso, può essere la risposta più semplice

Inoltre, secondo Starace, l’utilizzo così elevato di antipsicotici, potrebbe essere un’alternativa a una situazione che sarebbe ancora più rischiosa.

Sono farmaci che servono per ridurre sintomi come i deliri e le allucinazioni e sono appropriati per chi ha una diagnosi per psicosi e schizofrenia. Ma a seconda dei dosaggi hanno effetti sedativi importanti: questa spesa così elevata potrebbe essere in parte determinata dal tentativo di evitare una somministrazione più ampia di ansiolitici, come le benzodiazepine, che danno luogo più frequentemente ad abuso e dipendenza

Ma i medicinali non possono essere una soluzione a lungo termine. Difatti, di pari passo con l’abuso di psicofarmaci, nelle carceri è in aumento il disagio psichico.
Nel 2022, nelle carceri italiane, si sono verificati 84 suicidi: il numero più alto mai registrato dal 1990.
Altri 70 detenuti si sono tolti la vita nel 2023, mentre nel 2024 la quota ha già superato i 30 casi.

E, a fronte di questi dati, la risposta degli istituti carcerari italiani non è adeguata.
Secondo Antigone, nel 2022, la quantità di ore di servizio settimanale degli psichiatri è stata di 8,75 ogni cento detenuti, e di 18, 5 per quanto riguarda gli psicologi.
In mancanza di terapie adeguate, come spiega Starace, si ricorre dunque ai farmaci antipsicotici. Nonostante i pericoli di questo trattamento.

Gli antipsicotici andrebbero utilizzati con molta attenzione all’interno di uno specifico piano terapeutico. Si tratta di farmaci che presentano frequentemente effetti collaterali e reazioni avverse sia nel breve che nel medio e lungo termine. La somministrazione ‘all’occorrenza’ è ancor più rischiosa, e in tutti i casi una compressa non può sostituire un intervento rieducativo

Psicofarmaci nelle carceri: il caso di Biella, il più sedato d’Italia

Nel carcere di Biella, in Piemonte, i dati sono impressionanti in confronto a quelli di altri istituti.
Qui, infatti, l’80% dei detenuti assume psicofarmaci, con un utilizzo di antipsicotici maggiore di ben venti volte rispetto all’esterno.

Osservando i dati specifici di Biella, tra il 2020 e il 2022, un farmaco su tre acquistato dall’istituto era uno psicofarmaco. Nel 2021, la spesa totale ha superato i 30mila euro, circa 74 euro a persona. Una spesa che è seconda solamente a quella del carcere di San Vittore a Milano.
Nel 2023, l’istituto è stato classificato primo tra i dieci istituti italiani in cui si fa maggiormente uso di antipsicotici, stabilizzanti dell’umore e antidepressivi.

Secondo uno dei medici (la cui identità è anonima), tra il 2021 e il 2022, il presidio sanitario ha cercato soluzioni alternative alla somministrazione di psicofarmaci nelle carceri. Scontrandosi, però, con i membri dell’istituto.



Purtroppo questo processo è stato arrestato. Sembrava di lottare contro i mulini a vento: la polizia penitenziaria insisteva all’inverosimile per somministrare farmaci, l’Azienda sanitaria tentennava nel prendere posizione e poi, soprattutto, lo spaccio interno di pastiglie era diffusissimo. Oggi la situazione è ancora peggio di prima

Nel carcere di Biella, secondo Sonia Caronni, Garante dei diritti dei detenuti del Comune, gli psicofarmaci restano l’unica soluzione a un disagio che non vede via d’uscita. Tra carenze strutturali, organiche, e procedimenti penali per casi di tortura, corruzione, ricettazione e falso in atto pubblico.

Il malessere che si vive nell’istituto è palpabile. Il farmaco diventa la via per resistere a una quotidianità difficile da sopportare

Sistema carcerario al collasso, ma lo Stato non vede il problema

A seguito dell’inchiesta di Altreconomia, il segretario di +Europa Riccardo Magi ha sottoposto i dati all’attenzione ministro della Giustizia Carlo Nordio.

La risposta giunta dal ministero, però, è che il tema non è un’incombenza dell’ufficio della Giustizia, bensì di quello della Salute (che non ha riferito in merito). In quanto, nel 2008, con la riforma della medicina penitenziaria, tutte le funzioni sanitarie sono uscite dalla competenza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e da quello per la Giustizia minorile.

I preposti Dipartimenti non dispongono di informazioni riguardanti i dati epidemiologici nazionali relativi allo stato di salute dei detenuti, trattandosi di dati sensibili gestiti dal ministero della Salute.
Così come le informazioni relative alla somministrazione dei farmaci, alla scelta della terapia e delle patologie trattate nonché all’onere sostenuto dal punto di vista economico, che grava interamente sulle Asl

In ogni caso, secondo Nordio, il ministero “si impegna costantemente a trovare le migliori forme di collaborazione con le autorità sanitarie locali“. Infatti, come lui stesso riconosce, “l’assistenza sanitaria è di competenza congiunta tra le autorità sanitarie locali e il ministero della Giustizia, che mantiene la responsabilità della custodia della persona detenuta“.

Lo scorso venerdì, 17 maggio, lo stesso ministro Nordio ha visitato il carcere di Biella, in particolare il laboratorio di sartoria industriale, unico in Italia, elogiando il lavoro come forma di reinserimento sociale.

La pena non deve essere inumana e irreversibile ma deve essere orientata alla riconversione del detenuto. Lo dice la Costituzione, ma ce l’ha detto anche Papa Francesco. Dobbiamo eliminare la cultura dello scarto per la quale il detenuto deve essere isolato dalla società.

La sartoria del carcere di Biella dimostra che il carcere della Costituzione è possibile.
Questo progetto dà infatti efficace attuazione al valore di una pena tesa al reinserimento sociale, e anche al principio di solidarietà tra pubblico e privato

Secondo l’art. 27 della Costituzione, difatti, l’istituto penitenziario deve essere una struttura di rieducazione e recupero del condannato. Ma, al fallimento di questa missione dello Stato, non possono rispondere gli psicofarmaci nelle carceri.

Giulia Calvani

 

 

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