Provocare allucinazioni è così semplice che è strano non succeda spontaneamente

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Uno studio di cui ha dato notizia la facoltà di medicina dell’Università di Stanford e che è stato pubblicato su Science, ha scoperto qualcosa di sorprendente, provocare allucinazioni è così semplice (perlomeno nei topi) che a questo punto non c’è da chiedersi come mai in alcune (per fortuna rare) occasioni alcuni di noi hanno allucinazioni, ma perché non capiti a tutti molto spesso.
La ricerca che vede numerosi scienziati condividere il ruolo di primo autore,  i  dottorandi James Marshel e Sean Quirin, lo studente laureato Yoon Seok Kim e lo studente di post-dottorato Timothy Machado,  e come autore anziano Karl Deisseroth professore di bioingegneria, psichiatria e  scienze comportamentali, ha rivelato che basta stimolare un numero davvero esiguo di neuroni (ovviamente mirati) per indurre una vera e propria allucinazione, ecco perché c’è da chiedersi come mai non abbiamo allucinazioni di continuo dovute a brevi attivazioni casuali. La risposta deve essere che il cervello dei mammiferi è costruito in maniera da rispondere all’attivazione di pochi neuroni ma rimanendo in grado di evitare allucinazioni. Lo studio ovviamente era per capire perché alcune persone hanno allucinazioni e trovare una cura, questa consapevolezza potrebbe far osservare il problema da un punto di vista completamente nuovo: scopriamo come diavolo fa un cervello sano ad evitare di allucinare.



Se siete curiosi di capire come si fa a far allucinare dei topi sappiate che questa ricerca è un’altra applicazione del nuovo campo dell’optogenetica di cui Deisseroth è un pioniere, di optogenetica (stimolazione di neuroni tramite impulsi luminosi)  ho già parlato tre anni fa.
In estrema sintesi: i ricercatori prima hanno modificato tramite ingegneria genetica un gran numero di neuroni (soprattutto della corteccia visiva) inserendo due geni, uno che li faceva attivare grazie a uno stimolo luminoso infrarosso e un altro che li faceva brillare di una luce fluorescente verdolina quando attivi.
Poi hanno fatto un buchetto per aprire una finestrella nella scatola cranica dei topi, l’hanno protetta con un vetrino trasparente, quindi hanno sottoposto i topi a stimoli visivi (essenzialmente mostrare immagini di barre verticali o orizzontali) li hanno anche addestrati che quando le barre erano in un senso (verticale) potevano bere da un tubicino, cioè se lo leccavano veniva erogata acqua, mentre se le barre erano orizzontali o non ce n’erano no (questo è importante per la controprova nella seconda parte dell’esperimento). Constatato che i neuroni attivati erano pochi hanno registrato la sequenza e poi tramite gli impulsi luminosi sono andati a riprodurla stimolando gli stessi neuroni della corteccia visiva nell’esatto ordine e hanno verificato che nel cervello la risposta era la stessa di quando le cavie vedevano le immagini, anche in neuroni in aree del cervello abbastanza distanti da quelle stimolate.


La controprova è stata: mettere di nuovo i topi di fronte alle immagini di barre orizzontali e verticali e diminuire il contrasto fino a che non erano più in grado di distinguere bene (come si fa a sapere quando non distinguevano più bene? ecco il perché della canna dell’acqua che eroga solo in un caso, i topo addestrati a sapere quando avrebbero trovato acqua hanno cominciato a sbagliare) a questo punto li hanno di nuovo stimolati con la sequenza di impulsi e hanno “rinforzato” la visione, a dimostrazione che effettivamente con l’attivazione di quei neuroni in sequenza stavano davvero producendo nel cervello lo stesso effetto della visione delle immagini reali, un’allucinazione appunto.

Roberto Todini

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