Le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza che stanno animando le principali Università negli USA e in altre parti del mondo, sono espressione di una lotta pacifista in nome dell’utopia di un mondo pacificato e di uguali, in cui cessino violenze e prevaricazioni.
Mentre in queste ore prosegue l’offensiva militare israeliana, spingendosi sempre più verso Rafah e lasciandosi alle spalle una scia infinita di morte e dolore, l’alleato americano, nonché principale finanziatore della macchina bellica israeliana, mostra un volto repressivo e autoritario che poco si concilia con l’immagine della prima democrazia occidentale.
Se guardassimo con occhio obiettivo e imparziale alle repressioni delle proteste studentesche contro il genocidio a Gaza, alla Columbia University e in altri college americani, giungeremmo alla conclusione che tale dispiegamento di forze, con la polizia in tenuta antisommossa schierata con fare militaresco davanti a giovani disarmati, accampati e seduti a terra, sia proprio di regimi autoritari che non disdegnano l’uso della violenza per placare il dissenso.
Ragazzi trascinati di peso e gettati sui furgoni della Polizia come pericolosi criminali, arresti indiscriminati (se ne contano circa 300), gas lacrimogeni usati contro inermi e pacifici studenti colpevoli di non riuscire a restare in silenzio davanti agli orrori che da sei mesi a questa parte vengono normalizzati dai media e giustificati in quanto danni collaterali provocati da un’operazione militare legittima.
Le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza sono pericolose perché contestano proprio il cuore della narrazione che l’Occidente difende strenuamente, attaccano l’idea della legittimità della violenza e delle guerre e attraverso la mobilitazione pacifica testimoniano al mondo inerte che no, non è normale sterminare più di 35.000 civili in sei mesi.
False accuse di antisemitismo per screditare le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza
L’occupazione degli edifici universitari, gli accampamenti sui prati e il blocco delle normali attività studentesche sono modalità non violente di contestazione in opposizione all’apatico sistema occidentale che continua a reggersi su menzogne autoassolutorie andando avanti come se niente fosse, ma le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza sono anche manifestazioni di solidarietà e vicinanza al popolo gazawi che deviano dall’impianto individualista introiettato fin dall’infanzia che impone di essere produttivi ed efficienti anche a costo di passare sopra ai più fragili e agli ultimi lasciandosi scivolare addosso ciò che è distante e in cui non si è direttamente coinvolti.
Le richieste avanzate dagli studenti, ovvero il cessate il fuoco permanente su Gaza e il blocco degli investimenti militari da parte degli Stati Uniti d’America a favore d’Israele, evidentemente troppo scomode perché non in linea con gli interessi economici e gli equilibri geopolitici americani e internazionali, hanno attivato immediatamente la macchina propagandistica che tenta di screditare le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza mediante accuse infondate volte a descrivere i manifestanti come estremisti d’idee antisemite e alleati dei terroristi.
Eppure non sono stati registrati episodi di violenza da parte degli studenti, le uniche azioni brutali sono state le aggressioni e il lancio di petardi da parte di agitatori sionisti favorevoli al genocidio, compiute peraltro con il benestare delle forze dell’ordine, e le violenze indiscriminate da parte della stessa Polizia. Non si comprende in quale misura le manifestazioni studentesche contro il genocidio a Gaza, che invocano la cessazione dei bombardamenti, possano configurarsi come una minaccia alla sicurezza dello Stato, tanto da rendere legittimo l’uso di tale brutalità che invece costituisce una grave violazione del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che riconosce l’inviolabilità della libertà di parola e di riunione.
“I discorsi e i simboli dell’odio non hanno posto in America”
Gli striscioni con le scritte “Free Palestine” e “Intifada” divenuti simboli delle proteste studentesche contro il genocidio a Gaza, rappresentano probabilmente la vera ragione che ha fatto mobilitare la macchina propagandistica diffamatoria e schierare forze di sicurezza in tenuta antisommossa, se le manifestazioni avessero avuto come oggetto cause non contrastanti con l’assetto militaristico e imperialista americano, certamente le reazioni non sarebbero state così nervose e smisurate. Le motivazioni alla base di una repressione così scomposta diventano comprensibili alla luce dell’infido doppiogiochismo USA, che da un lato finge di chiedere un ammorbidimento dell’offensiva militare (non la cessazione, sarebbe uno sgarbo troppo grande nei confronti dell’alleato israeliano) mentre dall’altro continua a rimpinguare gli arsenali bellici e armare la mano dei responsabili del genocidio a Gaza. Se ancora si avessero dubbi a proposito del ruolo americano, adesso il sostegno degli Stati Uniti ad Israele è sempre più palese, la ferocia legalizzata con cui le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza sono state represse, serve a rassicurare l’alleato mandandogli un messaggio in codice: “Non lasceremo che in casa nostra si contestino l’oppressione coloniale, l’apartheid dei nativi palestinesi e insomma il sistema coloniale e suprematista su cui da più di 75 anni si fonda lo Stato sionista d’Israele”.
Questa narrazione legittima le brutali violenze e gli arresti perpetrati contro chiunque osi prospettare un futuro diverso per la Palestina e parlare di pace.
Le dichiarazioni ufficiali del presidente Biden “Occupare con la forza gli edifici non è pacifico: è sbagliato. E i discorsi e i simboli dell’odio non hanno posto in America”, sono l’esemplificazione di tale narrazione che dipinge i giovani studenti pacifisti come facinorosi, terroristi, indottrinati su TikTok, rendendoli così “sacrificabili”, un po’ come i popoli etnicamente inferiori, in nome della sicurezza e degli interessi geopolitici di nazioni superiori.
La legge americana considera antisemita chi critica lo Stato d’Israele
La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America ha approvato un disegno di legge che estende la definizione di antisemitismo, includendo qualsiasi opinione che sia riconducibile all’antisionismo, così da giustificare su basi normative le repressioni delle proteste studentesche contro il genocidio a Gaza. A finire nel mirino di questa caccia alle streghe infatti sono proprio gli slogan urlati con orgoglio dagli studenti nei campus universitari che denunciano le fondamenta coloniali e suprematiste dello Stato sionista d’Israele e condannano la brutalizzazione e disumanizzazione dei palestinesi, prendere coscienza e aiutare l’opinione pubblica a rendersi consapevole della strage di massa che si sta consumando sotto occhi indifferenti, sarà considerato un reato.
D’ora in poi, sulla base di questa legge, potrà essere considerato illegale equiparare i brutali bombardamenti sionisti ai rastrellamenti nazisti, chiedere la cessazione del sistema di apartheid subito dai palestinesi, auspicare il ritorno dei nativi nelle terre da cui sono stati sradicati più di 75 anni fa, sarà vietato anche ricordare la Nakba e dire apertamente che in nome di un’ideologia nazionalista si è permesso lo sfollamento di migliaia di palestinesi perché gli ebrei potessero autodeterminarsi e darsi uno Stato. Guai a sperare nella liberazione della Palestina dall’occupazione sionista “dal fiume Giordano al mar Mediterraneo”, se fai parte di un popolo di cui si vuole negare persino l’esistenza non ti è concesso di lottare per l’autodeterminazione e la libertà senza essere bollato come terrorista, e anche chi sostiene le tue ragioni finisce per essere marchiato dalla stessa macchia d’infamia.
Lotta pacifista in nome dell’utopia di un mondo pacificato e di uguali
Le proteste studentesche contro il genocidio a Gaza hanno commosso anche gli stessi gazawi che agli studenti pacifisti hanno dedicato dei ringraziamenti scritti con uno spray sul tessuto delle tende precarie dove sono accampati a Rafah. La potenza rivoluzionaria di un messaggio realmente umano che si eleva al di sopra dei gas lacrimogeni lanciati dalla polizia e arriva fino ai cuori feriti degli ultimi di Gaza: “non siete soli, noi siamo con voi, lottiamo con voi, condividiamo il vostro dolore e lo facciamo nostro”.
Prendere posizione contro la madre di tutte le ingiustizie che dilania l’esistenza dei palestinesi significa ergersi al di là di barriere e confini nazionali ed etnici e riuscire a riconoscersi come parte di un’unica famiglia umana che ci accomuna e ci rende simili in quanto uniti dalla stessa insofferenza alle prevaricazioni e dal medesimo anelito di libertà che si spinge oltre la realtà predeterminata ed immagina un mondo in cui ogni essere umano sia considerato uguale all’altro e rispettato nella propria particolarità.
Proprio questo messaggio rivoluzionario di rispetto per l’umanità a cui tutti apparteniamo ha animato l’esistenza di Vittorio Arrigoni, un giovane strappato troppo presto alla vita che ha lottato accanto ai gazawi, per il loro diritto di esistere e di essere liberi dall’oppressione sionista.
La lotta pacifista di Vittorio con l’arma non violenta ma rivoluzionaria della parola, in nome dell’utopia di un mondo finalmente pacificato, di uguali, senza barriere e confini, sta rivivendo oggi nelle proteste studentesche contro il genocidio a Gaza, nelle Università americane e in ogni altra parte del mondo.