Tunisia in protesta. Perché? Colpa dell’assenza di Francia e Italia?

Fonte: FETHI BELAID/AFP/Getty Images)

A pochi giorni dalla -reale?- conclusione delle proteste in Iran questa volta un altro popolo scende in piazza. Ci sono proteste in Tunisia. I nuovi moti di rivolta tunisini sono iniziati domenica, a seguito dell’introduzione di nuove misure di austerità.




 

Perché ci sono proteste in Tunisia

A seguito delle nuove misure economiche varate del governo , violente proteste sono scoppiate domenica scorsa in Tunisia. Dal primo gennaio infatti c’è stato un aumento delle tasse su prodotti quali: benzina, immobili, internet, generi alimentari. Beni di largo consumo insomma. Non tasse su beni di lusso, che potevano intaccare solo i ricchi, ma una vera riforma fiscale che intacca le fasce più povere della popolazione.

Un uomo di 45 anni è morto, e su Facebook gira anche un video che mostra come viene investito dalla Polizia, ma il ministro dell’Interno tunisino ha smentito. Secondo la versione ufficiale si sarebbe trattato solo di un’insufficienza respiratoria. Chissà perché, ma i risultati dell’autopsia non sono stati diffusi. Sempre secondo i dati del ministero dell’Interno, i numeri delle proteste registrati martedì vedevano 50 agenti di polizia feriti e 237 persone arrestate.

Le proteste in Tunisia sembrano avere un doppio volto: da un lato violento, con barricate, negozi vandalizzati e lacrimogeni; dall’altro pacifico, che hanno visto protagonisti anche famiglie e bambini. Tra le diverse città in cui ci sono manifestazioni, non poteva certo mancare quella del venditore ambulante Mohamed Bouazizi, Sidi Bouzid. Fu proprio il suicidio di Bouazizi la chiave di svolta nelle manifestazione del 2011 che portarono alla rimozione del presidente Zine al Abissine Ben Ali.

 




Manifestanti e polizia a Tebourba, a sud di Tunisi. (AP Photo/Anis Ben Ali)

 

Una primavera riuscita davvero?

La “Primavera araba” tunisina è l’unica ad aver avuto un esito democratico. Ne siamo sicuri? In questi sette anni in Tunisia si sono avvicendati nove governi. L’ultimo ha stretto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di tre miliardi di dollari, distribuiti in quattro anni. Il FMI cosa chiede in cambio? Riforme economiche. Come sempre accade in questi casi, a pagarne lo scotto è la fascia più debole della popolazione. Riforme che sono entrate in vigore il primo gennaio e che, oltre ai rincari, vedono tagli agli stipendi e alle nuove assunzioni nel settore pubblico. Attualmente, lo stipendio medio è di circa 130 euro al mese, e i sindacati stanno chiedendo un aumento.

 

Popolo tunisino, devi essere comprensivo

Chiede comprensione, il primo ministro Youssef Chahed. Che dichiara:

“(I Tunisini) devono capire che la situazione è straordinaria e che il loro paese sta avendo difficoltà, ma crediamo che il 2018 sarà l’ultimo anno difficile.”

Probabilmente, Chahed ha imparato dai politici italiani come raggirare il popolo con le belle promesse. A lui replica Hamma Hammami, leader del partito Fronte Popolare.

“Ci siamo incontrati con gli altri partiti di opposizione, le proteste continueranno finché le nuove misure non saranno revocate.”

 




proteste in Tunisia
REUTERS/Zoubeir Souissi

La Francia, l’Italia e le proteste in Tunisia

No, non è il titolo per un triangolo amoroso. Ma l’ennesima ammissione di colpa che Francia e Italia dovrebbero fare. Gli interessi economici di entrambe le nazioni sono molti in terra tunisina, eppure di sostegni alla fragile economia non ce ne sono stati. Invece, quando era il momento di sostenere i Fratelli Musulmani durante la Primavera araba, milioni di euro son stati spesi a profusione.

Cara Italia, sei forse dimentica della tua Costituzione?

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Tanto per dirla con le parole dell’articolo 11 della Costituzione. A meno che i Fratelli Musulmani non siano un’organizzazione per la pace, qualcosa non quadra. A commentare i mancati aiuti economici europei per stabilizzare la democrazia, riportiamo le parole di Gian Micalessin, di professione giornalista:

Per le primavere arabe abbiamo sganciato milioni ma poi nessun aiuto all’unico paese uscito libero da quell’esperienza. L’Europa e i nostri governi tenendo conto di quanti nostri imprenditori ci sono là, avrebbero dovuto essere insieme alla Francia i paesi guida per aiutare l’economia. Non dimentichiamoci che da lì arrivano da noi migranti e anche terroristi.”

Si ricordi che proprio la Primavera araba tunisina ha visto il turismo interno crollare a picco, creando come conseguenza disoccupazione soprattutto nella fascia giovanile della popolazione. Niente di strano dunque se la maggior parte dei Foreign Fighters che si uniscono all’Isis provengono dalla Tunisia.

 

L’enorme deserto, terra di tutti e di nessuno

Anche la posizione geografica della Tunisia, schiacciata tra due giganti come Algeria e Libia, non gioca a suo favore. Il deserto che unisce queste tre nazioni è terra di passaggio per gruppi armati che trafficano uomini e droga. Non è insolito vedere cammelli usati come corrieri della droga, ed è difficile fermare questi moderni carovanieri.

A giorni ricorrerà l’anniversario della Primavera tunisina e nuove manifestazioni si terranno in tutto il Paese. Difficile, ad oggi, dare una chiave di lettura sull’evolversi o meno delle proteste.

 

Lorena Bellano

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