Proteste in Iraq: quando la gente non ha più paura di morire

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Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti il 20 Gennaio del 2017, dunque all’incirca tre anni fa. Da allora tante cose son cambiate

Se Barack Obama, siglando gli accordi di Parigi, aveva impegnato l’America in un piano d’azione globale per placare futuri cambiamenti climatici pericolosi, mr. Trump, dopo aver fatto una campagna elettorale a favore dell’industria tradizionale statunitense (dunque a sostegno del settore del carbone), ha trovato il tempo per punzecchiare su Twitter un’attivista del calibro di Greta Thunberg (che all’età di 16 anni è riuscita a sensibilizzare le masse su questo problema come mai nessuno prima) e per notificare all’Onu il ritiro dagli accordi di Parigi (procedimento che comunque dovrà finalizzarsi a Novembre di quest’anno).

L’uscita dagli accordi di Parigi non ha però evitato all’amministrazione Trump di procedere contro il governo iraniano guidato da Hassan Rohuani, abbassandone l’export petrolifero ed aumentandone l’inflazione

Di conseguenza l’Iran ha violato a sua volta gli accordi di Parigi, aumentando la produzione di uranio arricchito. La tensione tra i due paesi è andata sempre aumentando, tanto che nei mesi scorsi si è parlato di una possibile nuova guerra del golfo.

Il 3 gennario, arriva notizia dell’uccisione del generale Qassem Soleimani, capo dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, un leader da molti ritenuto una specie di Che Guevara iraniano, una figura cardine per la vittoria dell’ayatollah Khomeini nel 1979, un uomo che dipendeva dalla guida suprema iraniana, ancor più che dello stesso presidente Rohuani. L’uccisione di Soleimani è dunque l’ultimo atto di una serie di avvenimenti assai mal gestiti dalla diplomazia di entrambi i paesi.

A nulla è valso il tentativo del presidente francese Immanuel Macron che nei mesi scorsi aveva cercato di fare da intermediario tra le due potenze, mettendo sul tavolo 15 miliardi per cercare di convincere Teheran a restare negli accordi di Parigi.
L’Europa è rimasta  fuori quasi del tutto da questo scontro, un altro paese, invece,  può considerarsi degno testimone di questo scenario: l’Iraq.

Da Ottobre le proteste in Iraq sono diventate sempre più accese, proteste a base di gas lacrimogeni e spari sulla folla che hanno fatto centinaia di morti

Proteste che sono continuate nonostante la strage del 28 novembre per mano delle forze anti-sommossa, che non si fanno scrupoli a sparare sui dimostranti. Le forze anti-sommossa e le milizie infiltrate non hanno esitato a lanciare gas lacrimogeni neanche in un ospedale. Si contarono circa 100 morti e 350 feriti nella strage del 28 novembre, vittime che per la maggior parte avevano un’età media tra i 15 e i 25 anni.

Eppure per le strade di Nassiriya, come del resto in tutto il paese, le manifestazioni si svolgono in un clima che è più vicino alla festa che alla guerra, si vedono ragazzi impegnati a fare street art, scritte che inneggiano alla pace come “I have a dream”, bandiere irachene, musica e balli. Si vedono nonni e bambini, insegnanti e studenti, gente che offre da bere e da mangiare. Un clima di festa che però, evidentemente, dà fastidio al governo.

La polizia tenta di placare le manifestazioni persino confiscando telefoni dentro i locali pubblici. In Iraq si manifesta perché il governo non smette di corrompersi sulla gestione dei soldi provenienti dal commercio di petrolio, non smette di lasciare il popolo senza risorse e senza lavoro, di lasciare bambini malnutriti. In questo scenario di crisi, che và avanti almeno dalla caduta di Saddam, a muovere le fila delle milizie armate dietro le quinte, si sospetta ci siano due paesi: Iran e USA.

Le due potenze pare abbiano scelto l’Iraq come terreno di scontro

Nemmeno una settimana dei raid USA colpivano strutture della milizia filoiraniana Kataib Hezbollah (al confine tra Iraq e Siria) e l’attacco ha provocato subito una reazione: alcuni manifestanti hanno “assalito” l’ambasciata americana superando il checkpoint della green zone, al che le forze speciali hanno risposto con gas lacrimogeni e granate stordenti.

Ovviamente per questa protesta Trump ha subito puntato il dito contro l’Iran. Questo inizio 2020 la storia lo ricorderà così dunque: che mentre Washington e Teheran continuano a fronteggiarsi con accuse e scuse, con droni, raid e minacce nucleari, continuando a buttare benzina sul fuoco e mettendo ulteriormente a rischio la stabilità di tutto il Medio Oriente, a Baghdad  la gente non ha più paura di morire e a costo della vita scende i piazza a manifestare.

 

Alfonso Gabino

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