“Vogliamo tornare a lavorare, vogliamo fare una quarantena intelligente, rispettando le norme di sicurezza, usando la mascherina, mantenendo la distanza sociale. C’è molta gente che se la passa male, che non può lavorare, ecco il perché delle proteste.”
Commercianti e proprietari di piccole e medie imprese, ma anche medici e altre figure professionali, scendono in strada a protestare. “Sono più di 70 giorni che non lavoriamo”, “Vogliamo una quarantena intelligente e responsabile”, “Vogliamo lavorare”. Queste le parole (urlate e scritte sui cartelli) che hanno animato le proteste in Argentina del 30 maggio 2020.
Dati e antefatti
Sabato 30 maggio, ore 16 (ore 21 in Italia): ha inizio una serie di proteste in Argentina. Le manifestazioni avvengono in alcuni dei più grandi centri urbani come Córdoba, Mendoza e Buenos Aires. Esattamente 70 giorni prima, il 21 marzo, il governo di Alberto Fernández dichiarava l’inizio della quarantena e del periodo di isolamento sociale, con il susseguente blocco di molte attività commerciali e non.
Nel tentativo di prevenire un possibile contagio sono state chiuse le frontiere e proibiti i voli in entrata agli stranieri. Tutto ciò quando i casi accertati in tutto il paese superavano di poco le 200 unità. Una scelta che ad alcuni appare discutibile ma grazie alla quale si è riusciti a contenere, almeno inizialmente, i numeri del contagio. Oggi – due mesi dopo – si contano più di 16 mila infetti e circa 500 morti. I numeri peggiori li registra la provincia di Buenos Aires. Ma il pericolo più grande riguarda forse le Ville miseria sparse per tutta la nazione, possibili fonti di pericolosissimi focolai.
Cause e motivazioni delle proteste in Argentina
Le misure messe in atto per prevenire la diffusione del Covid-19 hanno indebolito ulteriormente l’economia dell’Argentina, già in recessione. Le restrizioni in vigore avranno forse rallentato il contagio, ma hanno sicuramente danneggiato moltissimi lavoratori e tante piccole e medie imprese. Costretti a stare a casa e impossibilitati all’esercizio della propria attività, un numero crescente di argentini si è trovato a raschiare il fondo (del portafogli, o del conto corrente). Le proteste appaiono legittime e giustificate. Tanto più che si sono svolte nel rispetto delle regole sanitarie di prevenzione e in assoluta pacificità.
“Con la mascherina sì, col bavaglio no”
Le proteste sono consistite per lo più nell’occupazione di alcune strade principali. #Caravana30M e #CaravanaPorLaLibertad sono gli hashtag lanciati per l’occasione. Un massiccio convoglio di veicoli ha bloccato per un paio d’ore la normale circolazione del traffico nelle città di La Plata, Mar del Plata, Tigre, Rosario e Córdoba. Ricambiando simbolicamente il “favore” fattogli dal governo. Una manifestazione pacifica e intelligente, portata avanti nel rispetto delle misure di sicurezza. Alle carovane di automobili si sono poi aggiunti anche alcuni cittadini senza veicoli, ma tutti con le mascherine e i cartelli. Insieme hanno protestato per una gestione migliore dell’emergenza coronavirus.
Il caso dei Gilet Arancioni
Anche in Italia il 30 maggio è stato un giorno di proteste. A partire da ieri mattina, i Gilet Arancioni hanno presidiato svariate piazze italiane, da Palermo ad Aosta. Sostenendo, tra le altre “verità” più o meno complottiste, che il virus sia una bufala. Osservazioni già discutibili di per sé, fatte in barba alle misure di prevenzione previste dal Dpcm. Infatti, dalle riprese e dagli scatti reperibili, è possibile notare la scarsa presenza di mascherine e il mancato mantenimento delle distanze di sicurezza. Azioni che non passeranno inosservate. Si prospettano infatti diverse denunce per alcuni dei manifestanti. In primis per il leader del movimento in questione: l’ex generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo.
Parallelismi e divergenze
Nonostante alcune motivazioni in comune, come la necessità di lavorare e quella di contrastare l’impetuoso impoverimento che sta investendo migliaia di cittadini, sono evidenti numerose differenze tra le serie di proteste nei due paesi. I Gilet Arancioni manifestano per una serie di ragioni che vanno al di là del tema “coronavirus”. Parlano di uscire dall’Europa e auspicano il ripristino di una banca nazionale con la possibilità di stampare moneta (la “Lira Italica”). Allo stesso tempo denigrano i vaccini e le mascherine, in quanto “il virus non esiste”.
Considerazioni finali
Alcune delle loro proposte potrebbero anche apparire sensate. Ma la loro commistione in un unico calderone di idee rivoluzionarie e teorie cospirazioniste risulta alquanto controproducente. Non si può certo dire che siano i primi ad aver affermato che, per uno Stato e i suoi cittadini, la possibilità di stampare moneta può essere o è fondamentale. Ma è altrettanto certo che non si raggiungono grandi obbiettivi agendo con incoscienza. Questo 30 maggio ci insegna che possiamo sempre imparare dall’altro. Stavolta dal punto di vista della lungimiranza, della strategia, potremo imparare dall’altro per eccellenza – quello che siamo abituati a chiamare “Terzo Mondo”.
Vincenzo Rapisardi