Proteste contro Vučić: la Serbia contro “la cultura della violenza”

Serbia

In Serbia non si fermano le proteste contro Vučić e la sua “cultura della violenza”. Il capo dello Stato è accusato di aver favorito attraverso i media di proprietà pubblica le cause che hanno portato alle sparatorie dello scorso maggio in cui 18 persone sono morte.

Settima giornata di proteste contro Vučić

Aleksandar Vučić viene ancora una volta fortemente criticato dall’opinione pubblica; da anni il presidente è stato accusato di controllare i media in modo da far tacere, o comunque dare meno spazio di parola, ai suoi oppositori politici. Per la settima volta da maggio, decine di migliaia di manifestanti si sono riversati in strada per protestare contro la “cultura della violenza” che il presidente porta avanti dall’inizio del suo mandato nel 2017. I cortei si sono svolti nelle grandi città del paese, quali Nis e Novi Sad e ovviamente la capitale Belgrado. Una folla così numerosa non si vedeva dai tempi della caduta di Milosevic nel 2000.

I manifestanti accusano il presidente serbo di essere il principale responsabile della violenza che ha portato, nel maggio scorso, un ragazzo di 13 anni di Belgrado a sparare con la pistola del padre a 9 compagni di classe e ad una guardia di sicurezza; episodio seguito due giorni dopo da altre tre sparatorie che hanno causato 8 morti e 13 feriti. Episodi di violenza che non si possono più definire occasionali e che preoccupano fortemente una parte della società serba, quella avversa al Capo dello Stato, che chiede un freno a questa “cultura della violenza” che inspira negativamente i più giovani. La richiesta principale dei manifestanti è infatti quella di cambiare la narrazione dei mezzi di informazione pubblici, colpevoli di incitare alla violenza e di alimentare l’odio verso i dissidenti politici. La folla chiede in particolare la revoca delle licenze ad alcuni canali televisivi troppo radicali e le dimissioni del ministro degli Interni e del Capo dei Servizi Segreti.

Dal canto suo il presidente Aleksandar Vučić respinge le accuse, sostenendo che le manifestazioni sono provocate ed indette dagli oppositori e dalle potenze estere, che cercano di manipolare i serbi perseguendo una chiara strategia politica. Il Capo dello Stato può comunque ancora contare su un numeroso sostegno da un parte della popolazione, come dimostra l’ampio afflusso di persone che si è visto alla fine di maggio, quando il partito presidenziale aveva convocato un raduno per manifestare sostegno a Vučić  proprio riguardo al caso delle sparatorie di inizio mese. Al raduno avevano partecipato anche numerosi serbi del Kosovo, giunti sia in autobus che a piedi, informazione preoccupante vista la crescente tensione interetnica riaccesasi ultimamente tra serbi e kosovari.

Aleksandar Vučić

Non è la prima volta che Vučić viene sospettato di manipolare e controllare i media per favorire il suo governo. Già nel lontano 1998, quando era ministro dell’Informazione nel governo di Slobodan Milosevic, aveva approvato una legge che vietava di fatto i media oppositori del regime, sanzionandoli o censurandoli pesantemente. Dopo la caduta di Milosevic si è schierato all’opposizione, fino al 2012, anno in cui è diventato Vice-Primo Ministro e ministro della Difesa nel governo Dacic. Qui si è formalmente impegnato a combattere la corruzione ed il crimine organizzato ma, secondo i dati riportati da alcune ong come Transparency International, erano solo promesse da campagna elettorale, con nessun significativo calo di criminalità o corruzione registrato.

Diventato Primo Ministro nel 2014 ed intraprende varie politiche di austerità economica per risanare il debito pubblico, in campo estero stringe un forte legame con la Russia e deve affrontare la crisi migratoria con la Croazia, la quale decide di chiudere il confine con la Serbia per evitare l’ingresso dei migranti nel paese. Seguono diversi mesi di tensioni, soprattutto di natura economica, risolte poi dell’intervento dell’UE, anche se le relazioni non sono idilliache. Nel 2017 viene eletto Capo dello Stato. Benché in Serbia il ruolo di Presidente della Repubblica sia prevalentemente cerimoniale, Vučić inizia un processo di rafforzamento del suo ruolo istituzionale cercando di avere più potere nelle sue mani. Sta guidando di fatto il paese verso una linea politica più autoritaria, controllando i mezzi di informazione pubblici e screditando i suoi oppositori politici; non solo ha scelto di avere come servizio di sicurezza personale un’unità della polizia militare che lo proteggeva già negli anni da Premier. Oltre a questo è stato protagonista di diverse limitazioni alla libertà di giornalisti ed oppositori, mandando anche spesso la polizia ad intervenire nelle piazze. Sebbene (forse) sia ancora fuori luogo parlare di dittatura, certo è che le azioni intraprese nel corso della sua carriera politica dovrebbero rendere quantomeno dubbiosi l’opinione pubblica internazionale.

Marco Andreoli

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