Ad Haiti continuano le proteste conto il presidente Jovenel Moise, accusato di voler instaurare una nuova dittatura
L’accusa di colpo di Stato
Migliaia di manifestanti continuano a scendere per le strade del Paese per chiedere la destituzione del Presidente Jovenel Moise. Teatro delle maggiori proteste ad Haiti è la capitale Port-au-Prince, dove i manifestanti chiedono da mesi le dimissioni del Presidente, accusato di voler instaurare una nuova dittatura. Le proteste sono state per lo più pacifiche, ma non sono mancati scontri con la polizia che ha fatto uso di lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcuni civili sono stati arrestati con l’accusa di tentato colpo di Stato: tra questi ci sarebbe il giudice della Corte Suprema Yvickel Dabrézil, sostenuto dall’opposizione e papabile presidente ad interim.
Il tentato golpe sarebbe stato denunciato dallo stesso Moise lo scorso 7 febbraio, così come i nomi degli arrestati. Nella stessa occasione, poi, ha confermato la sua volontà di rimanere in carica fino a febbraio del 2022, quando in realtà il suo mandato sarebbe legalmente già terminato. Una decisione che aveva comunicato già il 10 gennaio scorso, dicendo di voler indire le elezioni solo a settembre di quest’anno, così da mantenere la carica fino al febbraio prossimo. E non si è fermato a questo: Moise avrebbe anche deciso di cambiare la costituzione haitiana, in vigore dal 1986, con un referendum ritenuto incostituzionale e non valido. Così, le proteste ad Haiti si sono acuite portando migliaia di persone a bloccare le strade delle principali città.
La società civile haitiana chiede la destituzione di Moise e che l’America ritiri l’appoggio al Presidente.
Le elezioni di Jovenel Moise
Le proteste ad Haiti, in realtà, non sono iniziate quest’anno. Il Presidente in carica, infatti, è motivo di malcontento dall’inizio del suo mandato. Nel 2015 si era già aggiudicato la vittoria nel Paese ma l’accusa di brogli ha reso nullo il risultato. Moise è comunque risultato vincitore alle elezioni del 2016, insediandosi ufficialmente nel 2017 alla presidenza del Paese. Neanche queste sono state comunque elezioni facili: dopo il tentativo del 2015, ne è seguito un altro nel gennaio del 2016, andato in fumo a causa di altre proteste per i brogli. Si arriva, così, alla tornata di ottobre dello stesso anno e Moise risulta vincitore con il 55,6% dei voti in suo favore. Nonostante anche in questo caso l’opposizione abbia contestato modalità e risultati, il Presidente viene ufficializzato. Jovenel Moise risulta il primo presidente eletto nel Paese dopo anni.
Le proteste del 2018
I riflettori internazionali puntano nuovamente su Haiti a partire dal luglio del 2018 a seguito delle politiche del nuovo Presidente. In quell’anno viene sciolto il Parlamento e nelle città prendono piede diverse proteste a causa dell’aumento del costo del carburante. È il governo ad imporre l’incremento del prezzo, per adeguarsi alle regole del Fondo Monetario Internazionale e aumentare i ricavi dello Stato. Ma il Paese è già corroso da una grave crisi economica e dagli strascichi di anni di politiche di corruzione, cui si aggiungono crisi ambientali e sanitarie.
Fino a quel momento era lo Stato a finanziare maggiormente il costo del carburante, così da tenere i prezzi artificialmente più bassi. Ma, per ricevere un prestito di 96 miliardi, Moise ha dovuto adeguarsi ad alcune richieste del FMI tra cui la revoca dei sussidi.
Le proteste ad Haiti sono iniziate nel momento della dichiarazione, da parte del governo, dell’imminente aumento del costo della benzina.
La situazione politica di Haiti
Nonostante il governo abbia deciso di fare un passo indietro circa i sussidi, le proteste non sono terminate. Il Paese si trova in una situazione economica estremamente precaria: oltre il 60% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà, mentre il 24% si trova in povertà estrema; l’inflazione è oltre il 18%. Un quadro che è il risultato di anni di politiche dittatoriali e di corruzione, aggravato da disastri ambientali, epidemie e scarsi aiuti internazionali. È così che Haiti si configura tra i paesi più poveri al mondo.
La sua storia politica è un susseguirsi di lotte interne e destituzioni di presidenti, che portano il Paese a vivere in un costante clima di insicurezza. A farne le spese è la popolazione che, già vessata dalla grave povertà, deve fare i conti con violenze, rapimenti e governi inadeguati.
Lo sviluppo di Haiti è osteggiato dai disordini interni che vanno avanti dal 1804, anno della sua indipendenza coloniale. Le prime elezioni democratiche, dopo anni di dittatura, si hanno solo nel 1991. A ottenere la maggioranza è Jean-Bertrand Aristide, destituito da un colpo di stato già nel 1995. Reinsediatosi nel 2001, è costretto nuovamente alle dimissioni nel 2004 da un gruppo armato che continuerà con le violenze fino all’intervento dell’ONU. La missione militare per il mantenimento della pace, che ha portato a gravi accuse nei confronti dell’ONU, rimarrà in vigore fino al 2017, anno dell’insediamento di Moise.
Le proteste del 2019
Le contestazioni, dunque, procedono dal 2018 e non senza vittime. Nel febbraio del 2019, dopo giorni di proteste violente, il Presidente rompe il silenzio confermando la sua intenzione a rimanere in carica e di non lasciare il Paese in mano a “bande armate e narcotrafficanti”. In quell’occasione gli Stati Uniti decidono di ritirare da Haiti il personale “non essenziale” e sconsigliano ai cittadini americani di visitare il Paese a causa dei pericoli dovuti alle proteste.
Vi sono dimostrazioni diffuse, violente e imprevedibili a Port-au-Prince e in altre parti di Haiti. A causa di queste manifestazioni, il dipartimento di Stato ha ordinato il 14 febbraio 2019 la partenza di tutto il personale degli Stati Uniti non essenziale. Il governo degli Stati Uniti ha una capacità limitata di offrire servizi di emergenza ai cittadini americani ad Haiti
Le contestazioni del 2019 sono iniziate a seguito di uno scandalo di corruzione. Secondo un documento reso pubblico, funzionari ed ex ministri avrebbero sottratto indebitamente denaro destinato allo sviluppo e prestiti provenienti dal Venezuela. Risulterebbe coinvolto anche il Presidente Moise, che ha tentato comunque di aprire un dialogo con l’opposizione ma senza risultati.
Alle proteste contro la corruzione si legano quelle sulla mancanza di generi di prima necessità: la denuncia degli attivisti è di mancato sostegno economico allo sviluppo di agricoltura e infrastrutture. Sostegno promesso da Moise l’anno della sua vittoria alle elezioni e che non ha mai visto la luce. Intanto i cittadini continuano la loro lotta alla sopravvivenza, arrivati ormai allo stremo e senza più nulla da perdere.
Lo spettro di una nuova dittatura
Si tratta, dunque, di un’escalation di violenze e contestazioni dovute a una situazione insostenibile e che non accenna a placarsi.
Le proteste ad Haiti sono proseguite anche nel 2020 in un contesto aggravato dalla pandemia da Covid 19. Nonostante due anni di sollevazioni e occupazione delle maggiori città, il Presidente non intende fare passi indietro, peggiorando le tensioni.
La sua politica e le sue dichiarazioni più recenti fanno aleggiare nuovamente lo spettro della dittatura sul Paese, già profondamente indebolito. L’opposizione denuncia una deriva autoritaria del governo, dallo scioglimento del Parlamento e chiede interventi esteri.
Questo clima di povertà e ingovernabilità ha contribuito all’esplosione della violenza in tutto il Paese: i rapimenti sono aumentati così come il numero di bande armate e di armi possedute illegalmente dalla popolazione.
L’appoggio dell’America a Moise
Haiti è sprofondato in una grave crisi di ingovernabilità, indebolito da anni di politiche fallimentari e dannose e crescenti violenze tra la popolazione. Dietro questa grave situazione c’è anche l’appoggio degli USA che, prima con Trump e ora con Biden, confermano il mandato di Moise fino al 2022. L’ONU, di contro, denuncia la deriva autoritaria del governo che ha classificato come “atti di terrorismo” le manifestazioni correnti. Una dichiarazione del genere crea un pericoloso precedente per tutti i cittadini haitiani coinvolti nelle proteste, anche pacifiche.
A sostenere il mandato di Moise insieme all’America, ci sono anche Canada, Francia, Spagna e Germania. Nonostante le accuse dell’ONU e l’appoggio formale americano, non si rilevano comunque interventi sostanziali per porre fine alle violenze sulla popolazione. A contribuire in negativo, lo scarso interesse della stampa estera, concentrata interamente sulla pandemia.
La visione internazionale della situazione haitiana si riflette sulla popolazione che continua a pagare anni di immobilismo estero e politiche interne scellerate, senza aver modo di vivere a pieno quell’indipendenza ormai lontana.
Marianna Nusca