Sotto gli occhi attenti del mondo, le piazze thailandesi sono diventate sfondo di una protesta politica e civile senza eguali. Campo di battaglia scelto da migliaia di thailandesi per manifestare il loro dissenso verso le politiche del generale golpista Prayut Chan Ocha, al governo del paese dal colpo di stato del 2014. Ma cosa ha portato a questa inesauribile protesta thailandese? Come si è arrivati fino a qui?
E pensare che era iniziato tutto come una “normale” rivolta studentesca
Uno dei partiti di opposizione, il Future Forward Party era stato cancellato ed il suo leader, Thanathorn Juangroongruangkit, espulso dal paese. In seguito a questo evento, numerosi manifestanti, perlopiù legati al movimento studentesco della Thammasat University di Bangkok, avevano fatto sentire le loro voci scendendo in piazza per rivendicare il bisogno di democrazia nel paese. Era lo scorso febbraio e l’emergenza Covid non aveva ancora imposto le sue limitazioni.
Solo l’emergenza sanitaria provocata da una pandemia, infatti, avrebbe potuto fermare il vigore del dissenso civile. Ma lo scorso luglio, i dissidenti sono tornati in piazza, aizzati dalla scomparsa di uno dei più rilevanti attivisti per la democrazia thailandese, Wanchalearm Satsaksit. Dal 18 luglio, nonostante il divieto di raduno e lo stato di emergenza a causa del Coronavirus, una folla sempre più crescente e strutturata è tornata a manifestare.
Le proteste estive sono culminate il 10 agosto, con la lettura in piazza di un manifesto suddiviso in dieci punti. A leggerlo la studentessa Panasaya “Rung” Sitthijirawattanakul. Un gesto coraggioso se consideriamo di essere in un paese il cui leader, in un discorso del 2016, affermava che la società thailandese si deteriorerebbe se uomini e donne avessero uguali diritti.
Salutando con il segno della mano a tre dita, come ad identificare la loro completa partecipazione nel dissenso popolare, i leader della protesta thailandese hanno chiesto una profonda modifica della Costituzione e la destituzione del premier golpista.
La protesta thailandese simbolo della lotta alla monarchia
La monarchia inizia a stare stretta ai thailandesi, lo dimostrano i cartelloni alzati nelle piazze con scritto “Repubblica di Thailandia”. Non si era mai vista una simile ribellione contro l’identità politica del paese.
Eppure, quella della Thailandia, è una storia politica complicata. Dalla fine della monarchia assoluta, nel 1932, la nazione ha subito 12 colpi di stato. L’ultimo, nel 2014, ha portato ad un’inesorabile deriva autoritaria. Ed il leader golpista che ha preso il potere, si è incoronato con il ruolo di monarca tirannico. Circondando il suo governo con una casta militare, il generale Prayut Chan Ocha ha gradualmente alterato i principi della costituzione e alienato i cittadini dal diritto di voto.
I senatori, non eletti ma nominati dalle forze armate, e la borghesia alleata all’esercito si spartiscono beni materiali e ricchezza mentre i bisogni dei cittadini meno abbienti restano inascoltati. Nel 2019, grazie a norme costituzionali approvate dagli stessi militari militari ed elezioni poco trasparenti, il generale ha ottenuto un nuovo mandato a guida dell’esecutivo civile.
A fine settembre si è tenuta la votazione su sei emendamenti della Costituzione. Avrebbe potuto essere la giusta risposta alle richieste dei manifestanti, accampati fuori dal Parlamento. E invece, 431 parlamentari contro 255, hanno votato per un ulteriore rinvio.
Quello che era iniziato come un semplice movimento studentesco in richiesta di maggiore democrazia, si è definitivamente evoluto in un movimento di tutti i cittadini.
Il diritto di dissentire: dal Free Youth Movement al People’s Party
Dal 14 ottobre, è in scena l’ultima tappa della rivoluzione che sta animando la Thailandia, la più importante. Bangkok, sede dell’esecutivo thailandese, è teatro di un scontro sempre più acceso e violento tra le forze armate ed i civili. Nonostante lo stato di emergenza dichiarato dal governo per evitare assembramenti, si stima che siano più di cento mila i cittadini che hanno preso parte alle manifestazioni.
L’onda umana scesa in piazza a manifestare chiede una monarchia meno corrotta e che ascolti la volontà dei suoi cittadini, ma anche una modifica della Costituzione, la rimozione del premier golpista dal suo incarico, una limitazione ai poteri della Corona ed in particolare al re Maha Vajiralongkorn. Queste richieste però, potrebbero costare caro dal momento che in Thailandia l’opposizione alla Corona è un reato punibile con 15 anni di carcere per “lesa maestà”. Intanto, neppure i cannoni ad acqua pieni di sostanze chimiche irritanti sembrano fermare la folla in rivolta mentre gli arresti ai manifestanti crescono ogni giorno. Per evitare la diffusione di notizie, i mezzi di comunicazione ed i social network sono stati censurati. Persino pubblicare un selfie dai luoghi delle manifestazioni potrebbe costare fino a due anni di carcere.
Nemmeno il contrasto alla libertà di espressione, però, intimorisce la forza umana dei manifestanti in rivolta ormai da giorni. Le loro voci giungono sino al monumento della democrazia di Bangkok, oggi più che mai luogo simbolo della protesta thailandese.
Carola Varano