La capitale magiara ha visto succedersi nel corso degli ultimi mesi continue manifestazioni di protesta contro il precario settore della pubblica istruzione ungherese. Gli studenti sono stati protagonisti, a fianco degli insegnanti, nel far sentire il loro dissenso verso un governo che non valorizza la loro formazione. Nel corso di una manifestazione pacifica, la polizia ha lanciato lacrimogeni ed usato manganelli su un gruppo di liceali. Questo uso ingiustificato della violenza ha scatenato la protesta delle donne ungheresi contro Orbán, il Primo ministro che dal 2010 mina la democrazia nel paese.
Vestiti bianchi e mazzi di fiori al posto di lacrimogeni e manganelli: la protesta delle donne ungheresi contro Orbán
Di fronte all’ultima vile mossa dell’illiberale Primo ministro, le manifestazioni che animano l’Ungheria dallo scorso autunno non hanno fatto che intensificarsi. Alle richieste di una migliore istruzione pubblica e di una maggiore tutela dei docenti, Viktor Orbán ha risposto con la “Legge sullo status”. Se questa dovesse passare, dal 1° giugno gli insegnanti ungheresi non saranno più considerati impiegati statali. Oltre ad essere privati di importanti garanzie professionali, saranno costretti a lavorare di più: da 40 a 48 ore settimanali (il limite massimo rispetto a quanto indicato dalle norme sul lavoro dell’UE).
Questa legge ha funzionato come benzina sul fuoco: le proteste non hanno fatto che intensificarsi ed insegnanti, allievi e genitori hanno invaso le strade di Budapest. Nel corso di una manifestazione studentesca presso l’ufficio del Primo ministro, la tensione tra polizia e manifestanti è esplosa nell’utilizzo di gas lacrimogeni e di manganelli, accompagnati da ben cinque arresti. Degli atti di violenza assolutamente inaccettabili nei confronti di giovani ragazzi che stavano pacificamente lottando per i diritti dei loro educatori. La polizia si è giustificata dicendo che alcuni partecipanti avevano iniziato a marciare minacciosi verso gli uffici di Viktor Orbán.
“Oggi picchiano i nostri ragazzi, domani ci picchieranno tutti” si leggeva nei manifesti sollevati domenica 7 maggio dalle centinaia di donne che sono scese nelle piazze di Budapest per ribellarsi all’aggressione nei confronti dei propri figli. Le donne ungheresi si sono presentate vestite di bianco e con mazzi di fiori in mano di fronte al Castello di Buda, alla residenza del Presidente ed alla casa del Primo ministro. Si tratta dell’ultimo episodio di protesta di una lunghissima serie che ha costellato il quarto mandato di Viktor Orbán, iniziato ad aprile 2022.
L’Ungheria non è un paese per gli insegnanti
Scioperi e disobbedienze civili sono ormai all’ordine del giorno a Budapest. I docenti ungheresi cercano senza sosta di attirare l’attenzione del governo: chiedono salari miglioried una maggiore libertà nello svolgimento della loro professione. Questi sono solo alcuni dei problemi che infestano il sistema educativo ungherese. La formazione delle future generazioni non sembra tuttavia essere una priorità per il governo di Orbán, basti pensare che in Ungheria un Ministero dell’istruzione nemmeno esiste.
Quali sono le rivendicazioni degli insegnanti? Prima di tutto degli stipendi dignitosi: la media è di 804 euro mensili per chi ha già diversi decenni di servizio alle spalle, 500 euro a inizio carriera. Un salario che, già prima dell’inflazione che ha colpito l’Europa nell’ultimo anno, si configurava come il più basso in tutta l’UE. L’unica speranza di un rialzo proviene dai fondi dell’Unione Europea che, tuttavia, ha congelato i 7,5 miliardi destinati all’Ungheria dato il mancato rispetto di Orbán dello Stato di diritto e dei principi democratici.
Studenti e insegnanti lamentano poi la preoccupante mancanza di personale. Mancano già 17mila docenti rispetto al necessario e, se la Legge sullo status dovesse passare, altri 5mila hanno annunciato il loro licenziamento. Una delle rivendicazioni più importanti è legata ad una riforma dei programmi, inadatti ad esigenze degne del XXI secolo. Infatti, i testi scolastici sono gli stessi ed obbligatori per tutti, scritti da editori graditi al capo di Stato Viktor Orbán. Una forma di propaganda che riporta alla memoria certe prassi dei sistemi totalitari del secolo scorso, volte a rendere le menti dei giovani più manipolabili.
Katalin Törley: l’icona della protesta
La protesta per una scuola migliore ha un volto ed è quello di Katalin Törley, insegnante di francese immensamente innamorata della sua professione. Purtroppo, la docente è stata recentemente costretta a lasciare il prestigioso liceo di Budapest dove ha insegnato per ventitré anni. Lei come tanti altri docenti, infatti, sono stati puniti con il licenziamento per aver partecipato a “movimenti di disobbedienza civile”. Un provvedimento che in un’intervista con Rai News ha definito “brutale”. Domenica 7 maggio, anche Katalin Törley si è unita alla protesta delle donne ungheresi contro Orbán:
“Questo potere aggressivo ora ha attaccato i nostri figli […] È inaccettabile, intollerabile, imperdonabile”.
La leader del movimento degli insegnanti ha definito la Legge sullo status una “legge vendetta” volta a punire gli scioperi, vietati in larga parte dalla legge ungherese. Katalin Törley non nasconde però una certa soddisfazione: se è stato necessario un tale pungo di ferro è perché la popolazione ungherese si sta mostrando sempre più forte e compatta contro la “pseudo-democrazia” di Orbán. Con l’occasione, Katalin Törley ha lasciato un prezioso consiglio all’Italia:
“Non so come si svilupperanno le cose con la Meloni, ma fate attenzione: è con piccoli passi, che Orbán ha smantellato la democrazia”.
Un paese privo di prospettive per gli insegnanti e per i giovani
I “piccoli” sono scesi in piazza per difendere i “grandi”, i loro docenti in cui risiede la speranza di un futuro migliore. Durante le manifestazioni gridano slogan come “Chi insegnerà domani?” o “Niente insegnanti niente futuro”. La protesta delle donne contro Orbán di domenica 7 maggio ha dunque messo in evidenza l’assurdità dell’utilizzo della violenza contro i giovani. Studenti la cui colpa è desiderare una formazione degna di essere chiamata tale. Ragazzi che chiedono di non essere costretti a rivolgersi all’estero per perseguire la carriera da insegnante (e non solo), una scelta a volte necessaria come dimostra il forte deflusso di cittadini ungheresi degli ultimi anni.
La mancanza di personale nelle scuole, unito ad una politicizzazione dei programmi che, invece di favorire lo sviluppo del pensiero critico, mette in atto un vero e proprio lavaggio del cervello, ha come solo risultato un grave deterioramento del livello di istruzione. Negli ultimi test nell’ambito del Programma per la valutazione internazionale dell’allievo, infatti, i risultati degli studenti ungheresi erano al di sotto della media europea.
Essere un insegnante o un giovane studente in Ungheria al momento è dunque tutt’altro che semplice: significa lottare costantemente contro un sistema che soffoca il libero pensiero ed i diritti. È evidente l’urgenza di un cambiamento, ma il Primo ministro sembra deciso a spazzare via ogni residuo di Stato di diritto dal Paese. Tuttavia, non senza trovare resistenza. Come ha dimostrato la protesta delle donne ungheresi contro Orbán, insegnanti, famiglie e giovani non renderanno la vita facile a chi rappresenta una minaccia per la democrazia.