Il linfoma a grandi cellule, probabilmente associato a un particolare tipo di protesi al seno, ha causato la morte di una donna in Italia, secondo quanto risulta al Ministero della Salute. Alla donna era stata impiantata la protesi al seno 12 anni fa, uno specifica modello di protesi da alcuni mesi al centro della discussione scientifica e mediatica.
Si tratta di protesi cosiddette ‘testurizzate’, ossia ruvide, che sono state fino ad ora le più utilizzate al mondo in quanto danno un risultato più naturale, non essendo perfettamente omogenee, e in quanto sono più stabili all’interno della mammella, riducendo così il rischio di dover ricorrere ad ulteriori interventi correttivi e invasivi.
Il largo utilizzo ha fatto però emergere il risvolto negativo. Da tempo si sospetta la correlazione tra protesi ruvide e il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), una forma di linfoma piuttosto rara che interessa i linfociti T.
Divieto di commercializzazione in Francia
La Francia ha già imposto il divieto di commercializzazione di alcuni modelli di protesi. Dallo scorso dicembre due modelli di protesi testurizzata Allergan sono stati ritirati, mentre dai primi di aprile, come annunciato dall’Ansm (Agenzia nazionale per la sicurezza dei medicinali e dei dispositivi sanitari), sono stati vietati altri 13 modelli di sei marche (arion, Sebbin, Nagor, Eurosilicone, Polytech e Allergan). La decisione è stata presa a scopo precauzionale. Sebbene numerose siano le evidenze che associano il linfoma sopracitato e le protesi ruvide, non si può ancora parlare di correlazione certa. In attesa di lavori scientifici comprovati, il ritiro di alcuni modelli di protesi assume valore precauzionale.
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In attesa del parere del Consiglio superiore della sanità
In Italia, il Ministro della salute Giulia Grillo ha richiesto, insieme alla Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico, il parere urgente del Consiglio superiore della sanità, da lei recentemente nominato. Personaggi cosiddetti indipendenti e di alto profilo scientifico sono stati chiamati ad esprimere un parere, atteso per il 13 maggio. Da quanto emergerà in tale giorno, l’Italia deciderà se appoggiare la soluzione francese di non commercializzazione oppure se optare per un’altra strada.
Nel 2011, i primi sospetti di correlazione protesi ruvida e linfoma
I primi sospetti di associazione tra protesi ruvida e ALCL sono emersi nel 2011. La Food and Drug statunitense annoverò un certo numero di casi di linfoma ALCL che si era sviluppato proprio attorno alla protesi mammaria. Nel 2017, l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto e definito questa particolare e rarissima forma di linfoma, mentre pochi mesi dopo la Scientific Committee on Health Environmental and Emerging Risks (SCHEER) ha raccomandato alle società scientifiche di condurre una valutazione più approfondita sulla possibile correlazione protesi e linfoma. Data la bassa incidenza, resta difficile fare una valutazione affidabile del rischio. “Attualmente – si legge sul sito del nostro Ministero della Salute – a fronte di oltre 10 milioni di protesi mammarie impiantate, il numero di casi di BIA-ALCL resta estremamente basso e non offre dati statisticamente significativi che possano mettere in correlazione l’impianto con l’insorgenza di questa nuova patologia. La mancata significatività dell’esiguo numero di casi riportati in letteratura scientifica non può tuttavia esimere dal continuare a studiare questa patologia emergente, al fine di definire meglio la reale frequenza, cause, aspetti clinici, decorso, prognosi e trattamento”.
Bassa incidenza, ma tanta preoccupazione
In attesa del parere del Consiglio superiore della sanità, in Italia ci si è finora limitati a registrare i casi e comporre un database ministeriale che dal 2015 ha raccolto circa 30 segnalazioni. Ogni anno, in Italia, sono circa 49.000 le protesi mammarie impiantate e, secondo le stime del Ministero della Salute, l’incidenza di linfoma ALCL è di circa 2,8 casi su 100.000 pazienti a rischio (dati del 2015). La Regione Toscana ha deciso di procedere autonomamente, sospendendo l’utilizzo di tutti i modelli Allergan e attivando una sorveglianza attiva sulle donne che hanno subito l’intervento di impianto.
Se da una parte l’epidemiologia suggerisce di non creare allarmismi, data la scarsa incidenza del linfoma suddetto, la gravità della malattia e l’assenza di un preciso monitoraggio alimentano preoccupazioni, soprattutto nelle pazienti operate che pretendono risposte. A fronteggiare le preoccupazioni delle pazienti sono i sistemi sanitari regionali e i singoli chirurghi plastici e oncologi. Si suggeriscono periodici controlli e si riferiscono i sintomi cui badare, ossia il rigonfiamento del seno o la presenza di liquido, che possa far sospettare un sieroma, per il quale si fa un esame istologico.
L’inchiesta di Report continua
A parlare del caso della donna morta nel febbraio dello scorso anno all’Umberto I di Roma, a causa del linfoma ALCL è stata la trasmissione Report. Dopo l’inchiesta trasmessa il 26 marzo scorso, realizzata all’interno di “Implant Files”, un progetto del consorzio internazionale dei giornalisti investigativi Icij di cui la trasmissione è partner italiano insieme a L’Espresso, la redazione di Report ha deciso di tornare sull’argomento in una nuova puntata, quella che verrà trasmessa domani, 6 maggio, in prima serata.
Giulia Galdelli