Propaganda e comunicazione implicita: quello che i politici (non) dicono

Lo scopo della propaganda politica è quello di far credere al pubblico che quanto si sbandiera è così e basta. Facile a dirsi, difficile nella pratica: più le tesi esposte sono controverse, infatti, più il lavoro del propagandista si complica. Ed ecco che ci avvale di un alleato preziosissimo: la comunicazione implicita, ovvero mantenersi sul vago ed evitare di entrare nel dettaglio. Ne facciamo uso ogni giorno, e spesso con buone intenzioni.  Ma è proprio sulla linea di confine tra uso onesto e disonesto della lingua che propaganda e comunicazione implicita si incontrano.

Chi si occupa di propaganda sa bene quanto sia importante sfruttare la lingua piegandola ai propri scopi. Si  serve allora di un linguaggio allusivo, dando così per buono ciò che dice,  in modo da scrollarsene di dosso la responsabilità, sia davanti agli elettori che davanti alla legge. Quello che i politici (non) dicono ne rivela quindi paradossalmente idee ed intenzioni più di ciò che hanno il coraggio di dichiarare esplicitamente. Con un vantaggio: rimane sempre possibile correggere il tiro in un secondo momento, oppure – meglio ancora – dire di essere stati travisati . E’ l’applicazione linguistica del “tiro il sasso e nascondo la mano“.  Ad essere esposte con maggiori dettagli sono, infatti, le idee più ovvie e condivisibili. Quando invece hanno minore fondamento e maggiori possibilità di risultare controverse, i leader politici salpano verso la comunicazione implicita. E’ quello che fanno, ad esempio, gli esponenti più conservatori nel trattare questioni etiche.

Propaganda in salsa ispanica

Esistono due Giorgia Meloni. La prima, saldamente ancorata in Italia, cerca di apparire sempre più istituzionale, più moderata e più aperta al dialogo . Ma quando varca le Alpi e i Pirenei per raggiungere gli alleati spagnoli, i neofranchisti di Vox, subentra la seconda Giorgia, più collerica, aggressiva, reazionaria. E’ successo lo scorso mese di giugno, quando in una kermesse organizzata da Vox si è scagliata contro le famiglie omogenitoriali e l’ “abisso della morte”.  Proprio così: riproponendo in salsa alt-right lo slogan pubblicitario di una nota marca di gelati vegetali italiani, Meloni ha detto «sì alla cultura della vita, no all’abisso della morte». Lo slogan non è per nulla chiaro, ed è proprio questo che lo rende efficacissimo. Ad una minore chiarezza corrisponde infatti una maggiore capacità manipolatoria.

“Sì alla cultura della vita, no all’abisso della morte”

Lo slogan è un ottimo esempio di come sfruttando con maestria la comunicazione implicita si riescono a veicolare falsità ed argomenti fantoccio senza destare dal sonno l’attenzione critica degli ascoltatori. Che cosa vuol dire “cultura della vita“? Vuol dire forse promuovere la salute, ad esempio offrendo più assistenza sanitaria   ed aumentando i fondi destinati alla ricerca medica? Oppure vuol dire rendere più difficile l’accesso all’aborto e stigmatizzare  chi non vuole avere figli? Non è chiaro.

Ed è ancora meno chiaro che bisogno ci sia di dire “no all’abisso della morte“, e soprattutto che cosa intenda con abisso della morte. L’esperienza della morte è sgradita alla stragrande maggioranza degli esseri umani, che non a caso cercano con scarso successo di evitarla da svariati millenni. E se non bastasse la menzione della morte, Meloni vi aggiunge – crepi l’avarizia – quella altrettanto lugubre dell’abisso (concetto già caro, tra gli altri, a Friedrich Nietzsche).

Quello che capiamo, insomma, è che a Giorgia ama la cultura della vita (qualsiasi cosa ciò voglia dire), e non la morte. Non può essere questo il vero scopo del suo sforzo propagandistico: a che pro informarci delle sue preferenze personali? Ci dev’essere dell’altro.

E questo altro consiste nell’implicita conclusione che Meloni fa trarre agli ascoltatori: “io difendo la vita, i miei avversari politici promuovono la morte”.  Inutile dire che si tratta di uno strawman. Ed ovvio rimarcare che un’affermazione del genere sarebbe probabilmente passibile di denuncia. Nel calderone dell’abisso della morte finirebbero poi pratiche come l’eutanasia, che semmai è volta ad agevolare la morte di chi soffre e non di certo ad imporla su chi non la vuole. Di certo, far passare chi sostiene il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo anche (e soprattutto) in punto di morte per uno spietato nemico della vita è un colpo basso. Curioso che provenga da chi lamenta costantemente di essere demonizzata dai suoi avversari politici.

Famiglie naturali e innaturali

I “pro-vita” lo ripetono in tutte le salse: la priorità è la “difesa della famiglia naturale“. Ma che cosa vuol dire? Esistono forse famiglie naturali e innaturali? Dando per buono che la risposta sia affermativa, ciò che è naturale non è necessariamente migliore di ciò che non lo è. In alcuni casi può essere addirittura terribile: fenomeni naturali come i terremoti e le alluvioni, e malattie naturali come la lebbra o il cancro non sono in cima alle preferenze di nessuno. Cose artificiali come la televisione, i marshmallow o i vibratori invece piacciono a molti. E’ però opinione condivisa dai più che naturale= buono, quindi la manipolazione funziona.

Ma i problemi dello slogan non finiscono qui. Se qualcosa va difeso, è perché è minacciato. E se è minacciato, è perché qualcuno ha cattive intenzioni nei suoi confronti. Quello che i “pro-vita” dicono è che la famiglia naturale va difesa. Quello che fanno implicare, invece, è che qualcuno le sta minacciando . Quel qualcuno non è menzionato esplicitamente, ma l’associazione diventa chiara se si richiama alla mente qual è il nemico dichiarato dei “pro-vita”: le famiglie omogenitoriali e, più in generale, la comunità LGBT.

Matrimoni ed altre schifezze

Le più alte cariche dello Stato incarnano le istituzioni, che dovrebbero rappresentare tutti i cittadini, indipendentemente dalle scelte religiose, dal genere, dall’etnia e dall’orientamento sessuale. E nel rieleggere la terza carica dello Stato non poteva certo esserci scelta migliore del leghista Lorenzo Fontana , noto per le sue posizioni laiche e la sua propensione all’inclusività.

«L’unico matrimonio è tra mamma e papà, le altre schifezze non vogliamo neanche vederle».

 

Così dichiarava nel 2018 l’allora Ministro della Famiglia Lorenzo Fontana. La dialettica tra matrimoni e schifezze si risolve nella speranza di vedere più dei primi e meno delle seconde. Queste ultime non sono elencate, ma dato che se una cosa provoca piacere in genere è il suo opposto a suscitare ribrezzo si lascia intuire che le “altre schifezze “sono i matrimoni tra due mamme e due papà. Eppure, nonostante l’aggressività del contenuto, l’autore riuscì a svangarla almeno in parte perché lui, di fatto, quali fossero quelle schifezze non lo aveva detto.

Viviamo in un’epoca dove la comunicazione è sempre più rapida. Al tempo stesso, tra televisione, radio, stampa e social network la quantità di informazioni che riceviamo è cresciuta enormemente. Per stare al passo con un flusso così ingente di stimoli linguistici siamo costretti a processarne ognuno in modo più superficiale.

Chi si occupa di propaganda lo sa bene, e ne approfitta cercando vie sempre più subdole per penetrare la nostra coscienza critica. Acquisire maggiore consapevolezza su come funziona la propaganda diventa quindi fondamentale. Il rischio, altrimenti, è quello di lasciarsi manipolare con eccessiva facilità. Con tutto ciò che ne consegue, per noi e per il mondo che contribuiamo a costruire di giorno in giorno con le nostre azioni.

 

Simone Morganti

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