Perché parliamo di pronomi su Linkedin? Il 20 ottobre è stata la Giornata mondiale dei pronomi, che lancia un tema importante: quello dell’inclusività delle piattaforme online.
L’iniziativa di UXinsight sull’inclusività nella progettazione di app e software
L’11 novembre, UXinsight, realtà che fa formazione e ricerca sul settore UX (User Experience), organizzerà un workshop chiamato “UXinsight Unfolds 2021- Making UX Research more inclusive”, invitando esperti del settore.
Lo scopo del workshop, come comunicano gli organizzatori stessi nella descrizione dell’evento, non è “comunicare perché l’inclusività è importante”, anche nel campo della progettazione di app, software e interfacce, ma intraprendere “passi concreti” affinché la ricerca nel settore sia inclusiva per tutte le soggettività.
Tra gli ospiti, Max Masure, uno dei principali promotori della campagna dei pronomi su linkedin e sulle altre piattaforme legate alla ricerca del lavoro.
Il tema dell’inclusività nell’accesso alle piattaforme informatiche è di interesse sempre più condiviso, e sempre più multinazionali e grandi aziende si pongono il problema di risultare accessibili a tuttə, dove per accessibile si intende qualcosa che va oltre l’accesibilità tecnica.
Pronomi su Linkedin: perché sono importanti
Da poche settimane, Linkedin ha reso disponibile il campo pronomi anche agli utenti in lingua italiana, ma prima di correre a compilare i pronomi sul nostro profilo, cerchiamo di comprendere l’importanza di questa iniziativa.
Le difficoltà delle persone transgender e non binary nel candidarsi ad una posizione di lavoro
Le persone di genere non conforme alle aspettative, persone che potremmo definire transgender e di genere non binario, vivono una difficoltà quotidiana nell’accedere in modo confortevole alla ricerca del lavoro.
Infatti, attualmente il nome anagrafico e l’aspetto fisico sono i principali punti di riferimento dei/delle recruiter per inquadrare la persona che si sta candidando.
Questo, espone le persone transgender e non binary a dei fraintendimenti, che comprendono il deadnaming (l’utilizzo del nome anagrafico e non del nome d’elezione) e il misgendering (rivolgersi alla persona con una declinazione di genere coerente al sesso biologico e non al genere d’elezione).
Questo, spinge molte persone transgender/enby a non migliorare la propria formazione con corsi post diploma e post lauream, a non candidarsi per posizioni lavorative, e a non cambiare lavoro per fare un miglioramento di carriera.
La paura di un fraintendimento di genere, che inquini la qualità del colloquio, spinge queste persone a fermarsi ancora prima dell’invio del curriculum, o della compilazione dei tanti moduli online che sostituiscono il cv, e che mettono in risalto campi come il codice fiscale, il nome anagrafico e addirittura il “sesso”.
L’iniziativa di Max Masure: perché i pronomi sono particolarmente importanti su Linkedin?
Su iniziativa di Max Masure, e di altri attivisti d’oltreoceano, sono sempre di più le persone “Ally” (che non sono né transgender, né non binary) che hanno accolto l’istanza di inserire su Linkedin (e su altri social networks) i pronomi con cui vorrebbero le persone si riferissero a loro.
Linkedin assume più importanza di altri social, perché oggettivamente usiamo gli altri social per comunicare con i contatti che ci scegliamo, mentre linkedin ci mette in contatto con datori di lavoro ed aziende, e quindi con persone non informate riguardo alla nostra identità di genere.
L’adesione di queste persone “Ally” (alleate) è un gesto importante, perché “normalizza” la richiesta dei pronomi, trasmettendo il messaggio che non si tratta di una pratica che riguarda solo le persone transgender e non binarie, ma tuttə.
Se l’iniziativa dovesse avere successo, la domanda sui pronomi diventerebbe una delle tante domande ordinarie di un colloquio di lavoro, e quello dei pronomi sarebbe uno dei campi che un/una recruiter guarderebbe subito in un curriculum vitae, prima ancora di contattare la persona che si sta candidando per quella posizione lavorativa.
Ma i pronomi hanno senso nella lingua italiana?
Qualcuno potrebbe pensare che i “pronomi” abbiano molto più senso nella lingua inglese (dove persino i pronomi possessivi “contengono” il genere della persona “possidente”), e non nella lingua italiana, dove il genere riguarda soprattutto aggettivi, nomi di professioni, participi passati.
L’italiano, come tutte le lingue neolatine, costringe le persone transgender e non binarie, che spesso vengono fraintese nel proprio genere o non possono dichiararsi, ad avventurarsi in un sub-linguaggio, che comporta la scelta di participi presenti, aggettivi terminanti in “e”, l’uso abbondante del verbo avere piuttosto che del verbo essere, e una serie di altre accortezze che costringono ad una vita funambolica, anche se personaggi come la linguista Vera Gheno arrivano in soccorso a queste persone proponendo soluzioni come la schwa (scevà, in italiano), che potrebbero rappresentare una soluzione, oltre che per i plurali inclusivi, anche per le persone di cui non si conosce ancora il genere d’elezione o di genere non binario.
Quindi, i “pronomi” sono solo uno strumento “in codice” sincerarsi dell’identità di genere della persona senza provocarle inutili stress durante il colloquio.
Chi ha già aderito e perché è importante aderire
Le realtà editoriali e di attivismo che hanno aderito in Italia
Molte realtà dell’attivismo e del blogging, in Italia, hanno già aderito: Circolo Milk Milano/Rizzo Lari, Acet – Associazione per la Cultura e l’Etica Transgender, Progetto Genderqueer, rivista Il Simposio, Il Sublimista Magazine, Neg.zone, che portano avanti la campagna #pronomisulinkedin
Professioniste italiane che hanno inserito i pronomi sul loro profilo Linkedin
«Ho deciso di aderire alla campagna – dichiara Serena I. Volpi, Professore Associato di Inglese e Cultrice della Materia presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre – perché penso sia fondamentale, in ambito lavorativo, sapere come rivolgersi alla persona che abbiamo davanti. Come i titoli professionali, i pronomi con cui ci definiamo aiutano il nostro inserimento in nuovi contesti e permettono di impostare le relazioni in maniera aperta e rispettosa. È un segno anche di alleanza con le persone transgender che hanno più difficoltà a essere riconosciute in maniera corretta. Se ognunə di noi indica i propri pronomi di elezione, chiederli diventerà una pratica comune in contesto professionale rendendo l’ambiente più inclusivo per tuttə».
«È da un po’ che ho aggiunto al mio profilo Linkedin anche i pronomi. – ci racconta Silvia Pettinicchio, neoletta Presidente del consiglio del Municipio 3 di Milano – Credo sia un modo per sensibilizzare in maniera discreta sull’inclusione. Linkedin è una piattaforma dove difficilmente i toni si alzano (succede, è vero, ma più raramente) e si può parlare anche di inclusione, persone transgender o non binary senza scatenare trolls e haters».
Conclusioni
Si spera che, in Italia, siano molte le persone “Ally” a voler aderire a questa campagna, nella speranza che le realtà aziendali possano sensibilizzarsi e rendere il mondo del lavoro sempre più accessibile alle persone di genere non conforme.