Dopo 5 anni, da Pechino la sentenza dell’Aia che ha attribuito il Mar Cinese Meridionale alle Filippine è considerata “carta straccia”.
I pescatori filippini perdono ogni anno milioni di pesos, la barriera corallina è devastata.
Ma un momento.
Che ne è stato della sortita in moto d’acqua di Duterte?
Durante la campagna per la presidenza nel 2016, Rodrigo Duterte, oggi presidente delle Filippine, ha estasiato i suoi elettori professando una linea dura nei confronti della Cina. Senza sconti.
Una linea che avrebbe dovuto condurre il Paese a perpetuare il progetto del predecessore Benigno Aquino III, impegnato in una battaglia legale contro il Dragone senza precedenti.
Ed è proprio sull’onda dell’ormai annosa disputa territoriale sul dominio del Mar Cinese Meridionale che Duterte ha scelto di spingersi, almeno a parole, oltre.
Ben nota è infatti, la promessa dell’allora candidato filippino di guidare una moto d’acqua proprio in quelle acque e di sfidare così, come Davide di fronte a Golia, l’incursione cinese. D’altronde morire da eroe è sempre stato uno dei più grandi desideri più volte dichiarato pubblicamente da Duterte.
2016: annus horribilis per le promesse di Duterte
Ma quando finalmente nel 2016 raggiunge la presidenza e la Permanent Court of Arbitration (PCA) si esprime a favore delle Filippine, aggiudicandole il Mar Cinese del Nord, ecco che ogni moto d’acqua scompare e così anche le presunte capacità natatorie di Duterte. Le Filippine non possono permettersi di affrontare la Cina perché uno scontro porterebbe solo a spargimenti di sangue.
Il commento sulla moto d’acqua diventa ai microfoni di Al-Jazeera un’iperbole, uno scherzo, per dimostrare in senso figurato la sua spavalderia. “Non so nuotare e non possiedo nemmeno una moto d’acqua. Se si ribaltasse perderemmo seriamente un presidente lungo la strada. Nessuno vuole arrendersi.”
Nel frattempo, il presidente filippino non perde tempo e, contrariamente a quanto promesso, manifesta un atteggiamento politico decisamente amichevole nei confronti di Pechino che inevitabilmente finisce nell’occhio del ciclone dei media nazionali.
Gli accordi bilaterali Filippine-Cina
Ma l’apertura di Duterte nei confronti della Cina non si esaurisce qui.
A partire dal 2016, la stretta alleanza tra i due Paesi viene sancita da una fitta serie di importanti accordi bilaterali sottoscritti dai Governi dei due Paesi. Essi hanno come obiettivo comune la promozione di importanti infrastrutture (per lo più stradali ed energetiche) nel territorio filippino e direttamente finanziate da Pechino attraverso una rete di investimenti e prestiti, per un valore di 24 miliardi dollari.
Cifra coerente, verrebbe da pensare, per una precedente campagna elettorale tutta all’insegna della lotta al Dragone.
Il non-accordo sulla Zona Economica Esclusiva (ZEE)
Non solo.
Nel giugno del 2019, il presidente Duterte afferma di aver raggiunto un ulteriore accordo verbale reciproco risalente al 2016 con il presidente cinese Xi Jinping. Esso avrebbe garantito alla Cina la possibilità di pescare all’interno della ZEE secondo la logica del presidente filippino del “tu peschi lì, io pesco qui”.
Questo “lascia passare” determina in poco tempo circa un centinaio di navi cinesi all’interno della ZEE filippina scatenando le imprecazioni di Teodoro Locsin Jr., massimo diplomatico delle Filippine che con modi tutt’altro che garbati invita su Twitter il Dragone all’immediato dietro front.
Harry Roque, portavoce di Duterte, cerca di andare a fondo della questione ZEE e conclude affermando che non esiste alcun trattato o accordo del genere tra le Filippine e la Cina. Un accordo di pesca può essere concluso solo attraverso un trattato, in forma scritta. L’accordo quindi sulla ZEE è in definitiva un non-accordo, privo di ogni validità giuridica.
Le conseguenze
La continua esitazione di Duterte nell’affrontare in maniera netta Pechino ha determinato incredibili danni, non solo in termini naturalistici ma anche economici.
Sotto il primo profilo, è costituzionalmente prevista la tutela della ZEE e della sua ricchezza marina, riservata all’esclusivo godimento dei cittadini filippini. Nonostante il mandato costituzionale le opere di bonifica cinese e la pesca illegale nel territorio hanno determinato la distruzione della barriera corallina.
Sotto il profilo economico, cruciale è stato il progressivo impoverimento dei pescatori filippini che hanno perso ogni anno milioni di pesos.
Giada Mulè