Proiezione nel nostro spazio, fuori dall’oggettuale autonomia estetica
Parleremo della proiezione nel nostro spazio pubblico, della ricerca e dei risultati artistici, oltre il quadro o la scultura come entità chiuse in se stesse e distaccate dallo spettatore. Attraverso due esempi – rispettivamente della prima parte del ventesimo e ventunesimo secolo – saranno forniti alcuni spunti sull’apertura dell’opera dalla propria oggettuale autonomia estetica allo spazio vitale circostante, caratteristica degli ultimi due secoli.
La scenografia di Francis Picabia
Francis Picabia, artista che fu molto vicino a Marcel Duchamp e ricondotto nella pluralistica corrente dadaista, immaginò nel 1924 una scenografia particolare per lo spettacolo di Balletti svedesi, Relâche, di Erik Satie. Trecentosettanta proiettori, posti come fondale dell’azione, avrebbero dovuto inondare la platea del parigino Théâtre des Champs-Élysées di luce; mettendo in moto tale sistema all’inizio del secondo atto, a sorprendere gli spettatori fu un bagliore accecante privo di continuità con il flusso del tempo teatrale.
Circle di Ishion Hutchinson
Per omaggiare il musicista e artista visivo giamaicano Lee Scratch Perry, il conterraneo poeta Ishion Hutchinson ha creato Circle: un insieme di casse musicali poggiate le une sopra e affianco le altre, nel loro paese d’origine il sistema tradizionale di trasmissione della musica nei luoghi pubblici; mentre davanti questo fondale è stato posto un tavolino votivo usato dall’artista per omaggiare tale strumento di comunione socioculturale.
La luce e il suono che eliminano le distanze
Entrambi gli elementi si pongono sul fondo di un’azione, ulteriormente distinguibile rispetto allo spettatore; entrambi con il proprio mezzo, rispettivamente la luce e il suono, lavorano per annullare quest’ipostatica distanza ed espandersi ad abbracciare ballerini, attori, artisti, pubblico. Nel caso di Picabia, Rosalind Krauss sottolinea il carattere aggressivo della scena; tramite di esso l’autore fa franare lo spazio distaccato in cui lo spettatore trova solitamente modo di posizionarsi rispetto l’azione teatrale; quest’ultima, tramite tale meccanismo, cessa di poter essere valutata in modo oggettivo, escludendo una quota qualsiasi di coinvolgimento personale. Con Hutchinson siamo quasi un secolo dopo; l’autore onora quello stesso fluire vitalistico di energia per la sua capacità di riunire le persone di uno stesso paese.
Proiezione nel nostro spazio, dall’aggressione alla comunione
È grazie a irruzioni, quale è appunto l’interruzione di Picabia dello svolgersi del rito teatrale nelle proprie convenzioni, che anni dopo può esistere un lavoro come quello di Hutchinson e svolgere in una diversa modalità la ricerca sulla proiezione nello spazio di cui abbiamo parlato. L’aggressione è correlata alla sorpresa di nuove possibilità; da un istantaneo accecamento si apre un nuovo coinvolgimento dello spazio attorno l’opera. Hutchinson propone oggi questa moderna pala d’altare davanti la quale si trova ricomposto il rito del coinvolgimento musicale tipico della cultura giamaicana; nella sala di un museo è riportata la vita quotidiana, aprendo allo spettatore uno spazio memoriale attivo e mai inerte.
Giacomo Tiscione