Un nuovo rapporto pubblicato da Amnesty International e Omega Research Foundation, dal titolo: “My Eye Exploded“, documenta come l’uso di armi non letali contro le proteste pacifiche sia ormai una pericolosa routine
Il rapporto “My Eye Exploded” (“il mio occhio è esploso“) è il risultato di 5 anni di ricerche, condotte in 30 Paesi, da Amnesty International e Omega Research Foundation.
Ciò che si osserva è l’uso, spesso sconsiderato e sproporzionato, di armi non letali da parte delle forze dell’ordine.
Si tratta, in particolare, di proiettili a impatto cinetico (KIP), come i proiettili di gomma e i proiettili gommati, ma anche granate di gas lacrimogeno.
Queste armi, erroneamente utilizzate per reprimere le proteste, sono la causa del ferimento, la mutilazione, e, nei casi più gravi, persino la morte, di migliaia di persone in tutto il mondo.
Per questo, come ha dichiarato il ricercatore di Amnesty International sulle questioni militari, di sicurezza e di polizia, Patrick Wilcken, è importante che si prenda consapevolezza del problema e si agisca a livello globale.
Riteniamo che controlli globali giuridicamente vincolanti sulla produzione e il commercio di armi non letali, compresi i KIPs, insieme a linee guida efficaci sull’uso della forza siano urgentemente necessari per combattere un ciclo crescente di abusi
Cosa sono i KIPs: origini e funzioni di un’arma potenzialmente letale
I KIPs (proiettili a impatto cinetico), comunemente chiamati “proiettili a impatto” o “proiettili di gomma“, sono tipicamente sparati da lanciatori o fucili da caccia.
In altri casi, vengono sparati dalle cosiddette “granate a palla pungente“, che possono essere lanciate a mano o attraverso un’arma.
Diversi modelli di cartucce o granate, possono contenere un numero diverso di proiettili, i quali possono differire per dimensioni e composizione.
I più diffusi sono realizzati in gomma, plastica o PVC.
Ma esistono anche modelli cilindrici di spugna o di schiuma, “bean bag” (sacchetti di tessuto solitamente appesantiti con pallini di piombo o sabbia silicea), e cartucce riempite di palline di gomma, di plastica o di materiali metallici.
In alcuni casi, i KIP scoppiano e si frammentano al momento dell’impatto, rilasciando sostanze chimiche irritanti.
I primi esemplari di KIP furono realizzati negli USA e dal Regno Unito.
Erano fatti di legno, e furono utilizzati a Hong Kong, negli anni ’50, per sedare le proteste senza ricorrere al fuoco diretto.
Negli anni ’70, il Ministero della Difesa britannico studiò dei modelli in plastica da utilizzare durante gli scontri nell’Irlanda del Nord.
Questi, però risultarono troppo imprecisi e pericolosi.
Tra gli anni ’60 e ’80, l’esercito statunitense lavorò a diversi tipi di KIP, tra cui sacchi di fagioli, proiettili di gomma riempiti di liquido e piccole palle di plastica.
Oggi, centinaia di modelli vengono realizzati nel mondo, senza che vi siano standard internazionali che ne regolino il design e le prestazioni.
Ciò nonostante, non tutti i KIP e i relativi lanciatori sono legalmente utilizzabili. I proiettili multipli, i lanciatori a canna multipla e i proiettili singoli mal progettati (ossia, che non possono essere sparati con precisione o in sicurezza) sono, a norma, vietati.
Le vittime dei proiettili di gomma: feriti, mutilati, uccisi
Seppur lo scopo dei KIP sia quello di scoraggiare e interdire, e non di ferire, le conseguenze sul corpo umano possono essere molto gravi. A volte, anche letali.
I proiettili di gomma sono studiati per essere sparati ad una certa distanza dal bersaglio.
In questo modo, possono infliggere lesioni minime da trauma contusivo (lividi), che provochino un dolore sufficiente a dissuadere o inabilitare gli individui.
Tuttavia, l’utilizzo di dispositivi illegali o secondo modalità non conformi può causare ferite da penetrazione, mutilazioni, e persino la morte.
In più, in mancanza di standard sulle caratteristiche di produzione, è molto difficile determinare le condizioni per l’utilizzo in sicurezza dei KIP.
L’impatto del proiettile, infatti, dipende da: composizione, dimensioni, massa, stabilità, precisione, velocità di lancio, distanza e tipo di lanciatore.
Di conseguenza, il regolamento varia notevolmente a seconda del tipo di arma, del produttore e delle norme nazionali, statali e individuali delle forze di polizia.
Secondo alcuni articoli di letteratura medica pubblicati tra il 1990 e il giugno 2017, i proiettili di gomma possono causare: ferite a testa e occhi, lesioni nervose, oculari, cardiovascolari, polmonari, toraciche, addominali e urogenitali.
Altri danni causati dai KIP sono:
- Rottura del bulbo oculare
- Emorragia
- Distacco della retina, con conseguente perdita della vista
- Commozione cerebrale
- Emorragia cranica
- Frattura del cranio
- Lesioni cerebrali
- Fratture ossee
- Rottura di organi interni/emorragie interne
- Trauma testicolare
- Perforazione di cuore e polmoni a causa della rottura di costole
- Danni muscolari e nervosi
Negli USA, durante i primi due mesi che sono seguiti alla morte di George Floyd, più di 115 persone sono state colpite alla testa o al collo, e almeno 30 manifestanti hanno riportato danni permanenti alla vista.
Il mio occhio è esploso per l’impatto del proiettile di gomma, e il mio naso si è spostato andando a posizionarsi sotto l’altro occhio.
La prima notte in ospedale hanno raccolto i pezzi dell’occhio e li hanno ricuciti.
Poi mi hanno riportato il naso al suo posto e l’hanno rimodellato.
Mi hanno messo una protesi all’occhio, quindi ora vedo solo dall’occhio destro
Successive indagini, effettuate sui ricoveri medici durante le proteste a Minneapolis, hanno rilevato 45 vittime dei proiettili di gomma: 10 con trauma oculare e 16 con lesioni cerebrali traumatiche.
Proiettili di gomma e lanciagranate: gli abusi nel mondo
I KIP dovrebbero essere utilizzati come ultima risorsa per contenere individui violenti che rappresentino una minaccia imminente verso gli altri, e si dovrebbe ricorrere ad essi sono nel caso in cui mezzi meno severi si siano dimostrati insufficienti.
Inoltre, i tiratori non possono, per alcun motivo, mirare alla testa, alla parte superiore del corpo o all’inguine. E devono essere in grado di infliggere esclusivamente traumi contundenti, e non penetranti.
Non dovrebbero mai essere concepiti come strumento per il controllo o la dispersione delle folle, e non hanno uno scopo punitivo.
Eppure, sono oltre 30 i Paesi nei quali, durante gli ultimi 5 anni, Amnesty International ha documentato un utilizzo illegale di KIP da parte delle forze dell’ordine.
In Spagna, per esempio, i proiettili di gomma hanno le dimensioni di una pallina da tennis.
Tra il 2000 e il 2020, la coalizione contro i KIP, “Stop Balas de Goma“, ha documentato un decesso per trauma cranico e 24 feriti gravi, tra cui 11 casi di lesioni agli occhi.
A questi, si aggiungono i 145 proiettili che la Guardia Civil, nel 2014, ha sparato a un gruppo di 200 migranti africani in arrivo a Ceuta, contribuendo alla morte di 14 di loro.
Mentre, in Francia, sono almeno 2.495 i manifestanti che sarebbero stati feriti durante le proteste dei “Gilet Jaune“ (Gilet Gialli) tra novembre 2018 e maggio 2019.
Altri casi si sono verificati in Grecia e in Curaçao (Regno dei Paesi Bassi).
In Cile, a metà del 2019, la polizia ha tentato di sedare le manifestazioni con proiettili contenenti piombo, silicio e alluminio.
Gustavo Gatica, studente di 22 anni, ha perso la vista da entrambi gli occhi.
Ho sentito l’acqua scorrere dai miei occhi… ma era sangue.
Ho dato i miei occhi in modo che le persone si svegliassero
In Colombia, le proteste per la crisi sociale ed economica post-Covid nel 2021, sono state represse con VENOM, un lanciagranate in grado di sparare 30 proiettili alla volta.
Non capivo cosa stesse succedendo, così ho tirato fuori il mio telefono e ho scattato una foto di me stessa, ma non riuscivo a vederla.
Cercano di ferirti in modo visibile, come perdere un occhio.
Per spaventare le persone, in modo che non escano a protestare.
Situazioni simili, nell’America del Sud, si sono verificate in Porto Rico, Venezuela e Bolivia.
In Africa, casi di KIP usati illegalmente si sono registrati in Angola, Egitto, Tunisia, Marocco, Sudafrica, Togo, Uganda, Camerun e Haiti.
Anche in Sudan, dove le proteste in risposta al golpe del 2021 sono state represse con ogni tipo di arma, dai proiettili d’arma da fuoco alle granate lacrimogene. Il resoconto è di circa 537 feriti. Di questi, 135 sono stati colpiti alla testa della vittima e 12 hanno riportato lesioni agli occhi, una delle quali si è rivelata fatale.
In India, nei territori di Jammu & Kashmir, la polizia ha mantenuto il controllo delle proteste con fucili a pompa contenenti pallini di metallo, causando almeno 1000 feriti e 14 morti.
In Iran, recentemente, le forze di sicurezza hanno causato numerosi morti e feriti sparando pallini metallici direttamente verso la parte superiore del corpo dei manifestanti. Diciannove persone, tra cui tre bambini, hanno riportato lesioni che ne hanno causato la morte.
In Israele, invece, l’utilizzo di KIPs è ormai una pratica consolidata che causa centinaia di feriti e morti, in particolare nei Territori Palestinesi Occupati.
Ad oggi, si registrano migliaia di casi di manifestanti palestinesi colpiti da proiettili di metallo rivestiti di gomma, proiettili di gomma e granate di gas lacrimogeno.
Sempre in Asia, situazioni simili sono avvenute in Bangladesh, Bielorussia,
Georgia, Hong Kong, Iran, Iraq, Kirghizistan, Libano, Myanmar, Thailandia e Uzbekistan.
KIPs e armi non letali: cosa impone il Diritto Internazionale
Secondo il Diritto Internazionale, uno Stato ha l’obbligo di prevenire atti di tortura e altre forme di maltrattamento.
Inoltre, può essere ritenuto responsabile per danni che si verificano al di fuori del suo territorio se “consapevolmente aiuta o assiste un altro Stato nella commissione di un atto illecito a livello internazionale“.
Questo potrebbe includere, per esempio, la fornitura di materiali a uno Stato che, notoriamente, utilizzi tali strumenti per commettere gravi violazioni dei diritti umani.
Per questo, le imprese che, in tutto il mondo, si occupano della produzione di KIP sono in parte responsabili delle connesse violazioni dei diritti umani.
Infatti, secondo i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, tutte le imprese hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani, ovunque esse operino, dalle catene di produzione fino all’utilizzo dei loro prodotti e servizi da parte di terzi.
A tal fine, le aziende devono svolgere un attenta indagine allo scopo di “identificare, prevenire, mitigare e rendere conto del loro impatto sui diritti umani“.
Tuttavia, il commercio di KIP è scarsamente regolamentato.
Infatti, le armi non letali occupano una posizione ambigua, a metà tra le liste di controllo delle attrezzature militari e quelle di polizia.
Di conseguenza, in molti Stati non è chiaro se, e come, i governi applichino le valutazioni dei rischi per i diritti umani ai potenziali trasferimenti dei prodotti.
Un altro problema, in molti Paesi, è la mancanza di trasparenza in merito alle licenze di esportazione e gli scambi commerciali.
Questo fa sì che i trasferimenti dei prodotti avvengano senza un’adeguata supervisione, all’oscuro dell’opinione pubblica.
A tal proposito, nel giugno 2019, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione denominata “Verso un commercio senza torture“.
L’obiettivo è quello di “esaminare la fattibilità, la portata e i parametri di possibili standard internazionali comuni“, per regolare il commercio internazionale in questo settore.
In più, nel maggio 2022, un gruppo di esperti governativi (GGE) ha raccomandato che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite “potrebbe procedere a
negoziare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante” sul commercio della tortura.
Tale strumento, ossia, un “Trattato sul commercio senza tortura“, introdurrebbe divieti e controlli commerciali globali e giuridicamente vincolanti sulle attrezzature.
Mentre l’ONU compie questi passi in avanti, però, è importante che ogni Stato si impegni nel rispetto del Diritto Internazionale.
Rifiutando, cioè, trasferimenti specifici di attrezzature, come i KIP e i relativi lanciatori, laddove vi siano chiari rischi per i diritti umani.
Giulia Calvani