Il progetto Disability Glam: intervista a Gianfranco Falcone

Reportage e viaggio fotografico possono veramente fondersi? Con il progetto Disability Glam, la disabilità svelata di Gianfranco Falcone, sembrerebbe di sì.

Gianfranco Falcone ha conseguito una prima laurea in filosofia, e successivamente la seconda in psicologia. Nella vita quotidiana, esercita la professione di psicologo, ma è impegnato attivamente anche nel progetto Disability Glam, la disabilità svelata. Amante della vita, sostiene che tutti noi, disabili e no, siamo accumunati dal viaggio umano.

Come nasce il tuo progetto Disability Glam, la disabilità svelata?

«Il progetto Disability Glam, la disabilità svelata nasce dal desiderio di sperimentazione dei linguaggi. In precedenza, è uscito un dialogo teatrale intitolato “Amori a rotelle” per Prospero, che in chiave ironica tenta di smontare alcuni pregiudizi e stereotipi sulla disabilità. Poi è arrivato “21 volte Carmela”, un libro uscito con Morellini Editore in cui c’è la narrazione di una donna chiusa in una stanza, che interpreta 21 ruoli diversi, tra cui quello della psicanalista in carrozzina. La vicenda sul femminile è iniziata attraverso la parola scritta, convinto che il confronto con il femminile diventa poi un’esplorazione del maschile per sottrazione. In questa sperimentazione è nata poi la collaborazione con la compagnia di danza NoGravity di Roma, per cui abbiamo portato in scena nella giornata del 3 dicembre “Disability Project”, che è uno spettacolo di danza con protagonista Chiara Pedroni, danzatrice in carrozzina. Visto che lavoro molto sul teatro e lo recensisco, è venuto naturale provare a descrivere il mondo della disabilità cercando di raccontarlo non basandosi sul limite e sul bisogno, ma cercando di valorizzare la bellezza e la divergenza. Il progetto Disability Glam, la disabilità svelata è nato progressivamente con timidezza, perché bisogna rompere i pregiudizi in sé stessi, prima ancora di rompergli negli altri».

Quando hai proposto il progetto Disability Glam, la disabilità svelata a queste persone con disabilità, come hanno reagito inizialmente? Tralasciando l’imbarazzo che ognuno di noi potrebbe provare, qualcuna di loro si è mai sentita a disagio con il proprio corpo?

«Quando ho proposto il progetto ci sono state diverse risposte come “no, mi vergogno”, altre donne invece hanno accettato. Io dico sempre che la cosa importante in studio è divertirsi, passare una giornata all’insegna del divertimento e del piacere. Poi questo lavoro si basa fino al punto in cui le modelle desiderano svelarsi e mostrarsi, sono anche loro che decidono come rappresentarsi. Io spingo sul nudo perché mi interessa la suggestione che un corpo nudo femminile fornisce, ed è questa la proposta iniziale che faccio. Ma ci sono molte fotografie in cui non c’è il vedo non vedo, ma non si vede proprio nulla. La bellezza non è soltanto nudità. Per esempio, una modella come Emma ha scelto il vedo e non vedo, mentre Martina il nudo integrale».



Che significato ha per te il concetto di “bellezza”?  

Gianfranco Falcone ricorda che la bellezza è messa da Platone al vertice del mondo delle idee insieme al bene. Quindi, la bellezza e il bene vanno di pari passo. La bellezza è anche costruzione di relazioni perché, quando vai a fotografare, non fotografi dei corpi ma costruisci delle relazioni. Il corpo diventa semplicemente uno degli elementi che entrano in scena. Anche il mondo della disabilità è fatto di bellezza e non solo di limiti.

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Secondo te, quanto la disabilità può rappresentare un ostacolo?

«Avere una disabilità significa doversi confrontare in modo radicale con la complessità. Ma come diceva Jaspers, “Se non ti confronti con il limite, soccombi”, lo devi affrontare e ti ci devi confrontare. A me non preme la disabilità, ma il viaggio umano, ed è ciò che ci accumuna tutti. Siamo buttati in un mondo privo di senso, in cui continuiamo a chiederci perché siamo qui. Questa è la ricerca che mi preme, quella esistenziale. Questa è la mia radice filosofica, io ho una prima laurea in filosofia e poi una seconda laurea in psicologia, ed esercito come psicologo. Sicuramente, la mia tetraplegia e il mio vivere in carrozzina mi crea delle difficoltà specifiche, ma ciò a cui non posso venire meno è il viaggio umano. È la mia ricerca di Itaca, la quale accumuna tutti noi».

Secondo te, l’Italia è un Paese inclusivo, oppure sono ancora tanti i passi avanti da fare? 

Il nostro Paese ha delle bellissime leggi che non applica, come per esempio il comune di Milano con il suo regolamento edilizio. Nessuno al di là della carta e dei proclami è interessato ad affrontare in modo veramente radicale e alla radice il problema della disabilità. Come ha scritto L’Espresso questa settimana, il fondo per la disabilità di 350 milioni di euro non verrà erogato quest’anno. L’Italia non è un Paese per disabili e non è pronto a concedere autodeterminazione alle persone con disabilità.

La disabilità è ancora un tabù?

«Secondo i dati Istat, in Italia ci sono 13 milioni di disabili, di cui 3 gravemente disabili. Uscendo non si vedono tante persone disabili nel nostro Paese, quindi il tabù esiste. Sul mercato è presente un libro fotografico intitolato “Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin”. In questo libro ci sono le fotografie dei manicomi, in cui loro riuscirono a entrare. In quei manicomi, negli anni Settanta, legati ai caloriferi c’erano le persone insufficienti mentali, i disabili, le donne, tutto ciò che nella società diventava scomodo o non utilizzabile a fini produttivi. La disabilità è un tabù, e così anche molte manifestazioni della disabilità, come la sessualità».

Che consigli ti senti di dare a queste persone?

«Io credo che il mondo dell’arte abbia e possa dire molto, perché per sua costituzione è abituato a intercettare ciò che è diverso, a cercare senso e bellezza. Quindi, la chiamata alla poesia è qualcosa che può aiutare, può essere uno strumento potente. Non è solo un discorso sulla disabilità, ma sull’esistenza, e questi due piani non devono essere separati. L’arte può aiutare così come la cultura, inoltre alla base c’è un problema di accessibilità al sapere».

In futuro, oltre al progetto Disability Glam, la disabilità svelata, hai in cantiere altri progetti, al fine di continuare a sensibilizzare questa tematica?

«Sicuramente, continuare il progetto Disability Glam, la disabilità svelata, ossia questo lavoro fotografico sulla bellezza femminile. Fermarsi quando sarò attratto da altri progetti, visto che ho questa dimensione di curiosità sia adesso che prima della carrozzina. Continuare a viaggiare in carrozzina, perché viaggiare ispira e aiuta a crescere e a mantenere solidarietà. Un ulteriore progetto è la pubblicazione, se dovessi riuscirci, di un fantasy sociale dal titolo “Il Quadrilatero”, quartiere di Milano multiproblematico. Poi vorrei andare a trovare quelle modelle e modelli che non sono potuti venire a Milano, fotografandoli nei loro contesti di vita, unendo così il reportage al viaggio fotografico. Se dovesse continuare la collaborazione con la compagnia NoGravity, mi piacerebbe rendere sempre più ampio il loro spettacolo costruendo anche dei laboratori per le persone disabili».

 

Attualmente, tutti i lavori del progetto Disability Glam sono visionabili sulla rivista online Mentinfuga. Dalle parole di Gianfranco Falcone, possiamo capire come sia difficile condurre la propria vita se si convive con una forma di disabilità. Sebbene la situazione possa sembrare veramente complessa, ognuno di noi ha uno scopo nella vita.

 

Patricia Iori

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