Un nuovo report di Mixed Migration Centre, un gruppo di ricerca sugli attuali movimenti migratori nel mondo finanziato da Nazioni Unite, Unione Europea e Stati Uniti, nonché da diverse università e fondazioni, ha portato alla luce la realtà dei profughi etiopi uccisi in massa al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita, nel tentativo puntare i riflettori internazionali su un’ulteriore crisi umanitaria.
Il report e i numeri
“Un gran numero di profughi etiopi vengono sistematicamente uccisi ogni giorno al confine tra Yemen e Arabia Saudita, direttamente e deliberatamente da funzionari della sicurezza che operano sotto l’autorità dello Stato saudita. La natura e la portata mirata di queste uccisioni e il fatto che gli autori operino sotto l’autorità dello Stato rendono questo passaggio di confine eccezionalmente letale“.
In questo modo inizia il report di Mixed Migration Centre. Si tratta di un’organizzazione che, tramite importanti raccolte dati, effettua analisi e ricerche sui movimenti migratori odierni, in modo da offrire al dibattito pubblico a alla politica internazionale una nuova prospettiva sul fenomeno.
Il loro ultimo report ha portato alla luce una nuova atroce realtà, di cui prima non eravamo pienamente a conoscenza, ovvero quella dei dei profughi etiopi uccisi in massa al confine con l’Arabia Saudita. In particolare, le testimonianze per quanto riguarda l’anno 2022 riportano 794 morti e 1 703 feriti (i numeri effettivi potrebbero essere ancora più alti per l’impossibilità di raccogliere informazioni su ogni singolo caso). Determinare questi numeri è stato possibile anche grazie al report di inizio ottobre 2022 delle Nazioni Unite, che prendeva in analisi solo una parte del 2022.
I racconti
Le violenze e le violazioni contro i migranti a cui assistiamo su questa rotta che va dal Corno d’Africa verso l’Arabia Saudita sono su un ordine di grandezza probabilmente paragonabile solo a quelle della Libia. La maggior parte di esse avvengono sul confine tra Arabia Saudita e Yemen, dove i migranti vengono deliberatamente presi di mira e uccisi forze dell’ordine che operano sotto l’autorità dello Stato saudita. Pertanto, mentre gravi, diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani si verificano lungo tutta la rotta, il report si concentra deliberatamente sui morti al confine meridionale dell’Arabia Saudita.
Una delle conclusioni è che le autorità seguano una politica di uso eccessivo della violenza delle armi da fuoco per fermare e dissuadere i migranti dall’attraversare il confine saudita-yemenita. Utilizzando cecchini e mortai infatti, vengono presi di mira sia singoli individui che gruppi più numerosi di migranti. Le interviste con i sopravvissuti hanno fornito inoltre resoconti sulla presenza di molti corpi e sul pungente odore di cadaveri in decomposizione che permea la zona di confine. In particolare al confine, gli yemeniti della zona hanno dichiarato di aver visto mucchi di cadaveri esposti per lunghi periodi di tempo, spesso collocati in fosse poco profonde.
Nel caso di cattura da parte delle autorità al confine, il destino dei profughi etiopi non migliora. Essi infatti vengono spesso sottoposti a torture: dopo essere disposti in fila, i torturatori sparano loro al lato della gamba per vedere fino a che punto arriva il proiettile, o viene chiedono ai prigionieri se preferiscono che sparino alle gambe o alle mani. Vi sono inoltre testimonianze di ragazze di appena 13 anni violentate dalle forze di sicurezza saudite e poi respinte oltre i confini senza vestiti.
Queste uccisioni di massa non si sono fermate nel 2022 e sembrano continuare senza sosta nel 2023. Sebbene non si disponga ancora di dati sufficienti sulle morti dei migranti lungo questa rotta per l’anno 2023, secondo le informazioni parziali ricevute finora, tra gennaio e aprile 2023, almeno 75 migranti sono stati uccisi e 226 sono stati feriti dalle autorità al confine saudita, attraverso artiglieria pesante o fucili da cecchino.
Perché tanto silenzio sui profughi etiopi uccisi?
Dopo la pubblicazione di tali report, pieni di testimonianze e di interviste dirette a coloro che sono riusciti a sopravvivere, risulterebbe naturale aspettarsi una massiccia indignazione generale, insieme a un’ampia copertura mediatica internazionale e una condanna pubblica dell’Arabia Saudita. Nulla di tutto ciò è però accaduto.
Con alcune illustre eccezioni (come un comunicato di Human Rights Watch), la copertura mediatica della vicenda a partire dal primo report di ottobre 2022 è stata ampiamente insufficiente. Ciò ovviamente non esclude la possibilità che dei dialoghi ai vertici siano avvenuti a porte chiuse, ma il silenzio stampa non dà molte speranze concrete.
C’è quindi da chiedersi perché una catastrofe umanitaria di tali proporzioni sia passata inosservata sotto ai nostri radar. Forse il luogo in cui si stanno verificando queste atrocità risulta essere troppo lontano dal Nord del mondo. O forse sono in gioco interessi geopolitici ed economici che impediscono al sistema mediatico di accanirsi contro uno dei primissimi membri delle Nazioni Unite.