Romano Prodi ha dichiarato che voterà Sì al referendum di domenica 4 dicembre. Un altro segnale che l’antico ceto dirigente democristiano torna a prendere le redini del comando.
Romano Prodi ha dichiarato che voterà Sì al referendum sulla riforma Boschi.
Dopo lunghi mesi di silenzio, in cui aveva dichiarato di non voler esprimere la propria opinione, perché non voleva fosse strumentalizzata, si è deciso invece a renderla pubblica.
Proprio in prossimità del voto: quando assume un peso davvero strategico.
Almeno nelle intenzioni dello stesso Prodi; e certamente nelle speranze di Renzi e dei sostenitori della riforma, che infatti hanno calorosamente salutato l’annuncio del Professore.
Prodi e la rivalità con D’Alema
Prodi è stato presidente del Consiglio nel 1996-8 e 2006-8, com’è noto.
Nel primo caso, la sua esperienza alla guida dell’esecutivo terminò per un voto di sfiducia, a seguito del contrasto con Rifondazione comunista, in merito alla introduzione delle 35 ore di lavoro settimanali.
In realtà, quell’evento si produsse soprattutto a causa della strategia di Massimo D’Alema, tesa a sostituirlo per poi trasformare la proposta dell’Ulivo – a guida democristiana, pur con un seguito elettorale maggioritariamente post-comunista, quello del Pds – in una coalizione in cui la sinistra avesse la guida – pur senza mutare le tendenze programmatiche.
Da allora possiamo dire, è l’opinione di chi scrive, che quello della sinistra italiana sia stata la vicenda di chi cammina su di un piano inclinato.
Non possiamo adesso considerare questo concetto, ma quel che è sicuro è che perlomeno nel 2013 D’Alema e gli ex comunisti ebbero un ruolo cruciale nel fallimento della candidatura al Quirinale di Prodi.
Che infatti, adesso si vendica, esplicitamente, citando polemicamente coloro che nel Pd e dintorni contrastano Renzi e la sua riforma, con argomenti ” che vorrebbero strumentalizzare l’esperienza dell’Ulivo, dopo averne determinato a suo tempo il fallimento”.
Il Pd è la tomba della Sinistra italiana
Di sicuro, il risultato di questa vicenda ventennale che abbiamo appena tratteggiato, è che il Pd come erede dell’Ulivo, sia il risultato opposto a quello immaginato, così maldestramente, da D’Alema.
Infatti, esso è ormai un partito a guida democristiana e con un programma democristiano.
Se vincerà il Sì, e vincerà la leadership di Renzi, trionferà quel programma neoconservatore che in Italia assume la forma di una vera e propria rivincita della vecchia Dc.
Non che i democristiani avessero mai lasciato i posti di potere – basti pensare allo stesso Prodi, e a metà PdL e Forza Italia prima – ma adesso lo schema tripolare si verrebbe a configurare come una geometria in cui il partito più forte occupa saldamente il centro del proscenio.
Il Pd al centro del Sistema politico : garante della conservazione
M5S, aldilà della confusione ideologica, a sinistra; Lega e Fdi a destra; Pd al centro, coi suoi alleati/vassalli democristiani anche loro, e magari uno spezzono di ex-Sel per “coprirsi a sinistra”. Antico progetto già veltroniano, peraltro.
Il Pd si viene a presentare in tutto e per tutto come garante del sistema, protettore dell’ordine costituito, non ago della bilancia ma bilanciere di tutto il quadro politico.
Il ritorno della Dc è lungamente atteso ed evocato, e perlomeno dal 2010 è stato preparato ed annunciato con forza, ed astuzia.
Nessuno può negare che l’attuale Pd, risorto a guida Dc e con la vecchia sinistra totalmente emarginata, rappresenti l’unico argine e l’unico fulcro di azione politica, rispetto alla spinta alla disintegrazione e forse al collasso del sistema-Paese.
Lo dimostra anche la mobilitazione di elementi democristiani, del Pd come Delrio ma anche trasversali agli schieramenti, nonché presenti nelle istituzioni e nei centri di influenza, anche rispetto alle future mosse di Renzi.
Che se vincesse col Sì, potrebbe essere tentato di fare strike andando alle urne per raccogliere tutti i frutti del plebiscito che sta preparando.
Cosa che, producendo proprio l’uomo forte solo al comando, viene respinta con energia dalla tradizione Dc e in generale della politica italiana contemporanea.
Ma anche se Renzi, sconfitto dal No, lasciasse il suo posto, metterebbe a rischio la tenuta di tutto il sistema: per cui sono già in atto pressioni e raccomandazioni affinchè collabori alla formazione di un governo che tenga in mano le redini del sistema fino alle elezioni del 2018: evitando il precipitarsi degli eventi, che gioverebbe solo a Grillo e Salvini.
La Dc, l’Italia, l’Europa dell’austerity
Queste considerazioni devono essere legate al quadro internazionale, ed europeo.
C’è una crisi generale, e l’Euro stesso sarebbe a repentaglio se l’Italia votasse contro un esecutivo sostanzialmente europeista come quello di Renzi.
Anzi, sarebbe in pericolo l’accesso dell’Italia al futuro nucleo europeo rinforzato, che si preparano a varare Germania e Francia.
Paesi che presumibilmente avranno entrambi guida conservatrice-democristiana, e sostanzialmente pro-austerity, a partire dal cruciale 2017.
Fillon, della destra laica francese ma di ascendenze cattoliche conservatrici, se vincerà ha annunciato profondi e drastici tagli alla spesa pubblica.
La Merkel non si pensa al momento che possa, anche dopo una eventuale sua conferma al comando il prossimo anno, mutare le linee di fondo della sua politica per l’austery.
D’altronde, i democristiani hanno fondato l’Europa negli anni 50 con De Gasperi-Adenauer-Schumann.
Prodi ha contribuito decisamente all’Euro, ed al (disastroso) allargamento ad Est della Ue.
I democristiani e i cattolici conservatori si incaricano di rilanciare l’unita europea, ora in crisi come mai da 60 anni, nel prossimo futuro.
Su basi però liberiste, e non social-democratiche, in ossequio al trend del neocapitalismo dominante.
Potrà l’Italia del governo Renzi-Alfano-Verdini distinguersi, ed al contempo rimanere nella nuova Ue?
Possiamo immaginare un governo Renzi che, dopo il Sì, si porti talmente in contrasto con l’Europa dell’austerity, sino ad uscirne o farsene allontanare?
L’unica possibilità che l’austerity non continui a dominare le linne dei governi mondiali è che il programma di investimenti di Trump investa e muti anche il quadro economico e sociale del nostro continente.
Per altri aspetti, la tradizionale e comprensibile politica democristiana di approcciare le elezioni e i referendum con misure di spesa e di assistenza, quindi misure in senso lato sociali, e quindi anti-austerity, si conferma proprio adesso.
Nel momento della verità : in cui il No appare ancora in lieve vantaggio nel Paese.
Parliamo del rinnovo del contratto del Pubblico impiego – atteso da ben sette anni e guardacaso sbloccato solo alla vigilia del referendum – e di altre misure, talvolta di impronta schiettamente clientelare.
Questo, per inciso, come dimostrazione che il voto serve : visto che indirizza le scelte sociali dei politici, che quel voto chiedono.
Il Pd: una Dc che rinasce sulle ceneri della Sinistra
Insomma, nel momento decisivo : torna Prodi (che spera forse nel Quirinale per il 2022) tornano le politiche della Dc, e si prepara il plebiscito a favore di un leader che ha preso il Pd e lo ha svuotato della sua componente in origine maggioritaria- la Sinistra.
Bersani e soci si sono meritati, come D’Alema, un certo trattamento.
Ma non è questo il punto.
E’ la proposta della Sinistra che forse non si meritava certi dirigenti, come disse Nanni Moretti, e soprattutto questa fine patetica e ingloriosa.
Era prevedibile quanto sarebbe successo. Che il progetto, ideologicamente non solo confuso, ma opportunistico e insincero, dei vecchi comunisti di prendere le sembianze della Dc per restare al potere, alla fine avrebbe prodotto l’opposto.
Cioè una Dc che rinasce dalla sue ceneri, reincarnandosi sulle spoglie di una Sinistra umiliata e derisa.
Più che una Fenice, questa Dc è come il cuculo, che fa nascere i suoi figli nel nido delle specie altrui.
Ma c’è da credere che se la Dc di Gasperi fu ” un partito di centro che guarda a sinistra”, la Dc prossima ventura guida renziana sarà un partito di centro che guarda a destra : ad Alfano, magari ai berlusconiani.
Così come l’Europa dei fondatori fu un continente che guardava a sinistra e all’economia sociale di mercato; mentre quella che si configura è una Europa che guarda a destra, all’ austerity sostanzialmente neoliberale.
Prodi e il ricatto dell’austerity europea
D’altronde, come lo stesso Prodi oggi ha chiarito, ancora per giustificare il suo voto per il Sì, è necessario salvaguardare il sistema, e rimanere nell’Euro a tutti i costi : perché, parole sue, non si può desiderare troppo come fanno i grillini, si rischierebbe la fine della Grecia, ed ” è sempre meglio mordere un osso che mordere un bastone” e quindi accontentarsi di una riforma di mediocre spessore.
Dipende da chi morde l’osso, o il bastone : probabilmente sempre gli stessi.