Processo Regeni: nuove testimonianze sull’orrore della detenzione

Processo Regeni

Durante il processo Regeni, emergono nuove testimonianze che gettano luce sull’orrore vissuto dal giovane ricercatore italiano. Un ex detenuto ha raccontato in aula di aver visto Giulio, ammanettato e sfinito, mentre veniva trascinato dai carcerieri dopo essere stato torturato con scosse elettriche. Parallelamente, altri testimoni hanno ricostruito i movimenti sospetti dei servizi segreti egiziani, già settimane prima del suo sequestro, rivelando una rete di controllo intorno a lui. La ricerca di verità e giustizia continua, tra accuse, reticenze e un clima di paura che non si placa.


La drammatica testimonianza di un ex detenuto

Durante l’ultima udienza del processo a Roma contro quattro membri dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, è stato proiettato un video contenente la testimonianza di un cittadino palestinese ex detenuto. L’uomo, incarcerato nella stessa struttura in cui si trovava Regeni, ha descritto le drammatiche condizioni del ricercatore italiano durante la detenzione.

«Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, bendato e sfinito dalla tortura», ha riferito. Il testimone ha raccontato di averlo visto tornare in cella sorretto da due carcerieri. L’ex detenuto ha specificato che Regeni indossava pantaloni scuri e una maglietta bianca, e che le sevizie includevano l’uso di scosse elettriche. «I carcerieri insistevano su dove avesse imparato a resistere agli interrogatori», ha aggiunto. L’atmosfera nella prigione era descritta come quella di un “sepolcro”, senza contatti con il mondo esterno.

Gli imputati e le accuse

Il processo italiano vede imputati il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif, membri degli apparati di sicurezza egiziani. Secondo l’accusa, Giulio Regeni sarebbe stato sorvegliato già da dicembre 2015, alcune settimane prima del suo sequestro. Una rete di controllo era stata costruita intorno a lui, come confermato da diverse testimonianze.

La testimonianza della coinquilina e i sospetti sui servizi egiziani

Durante un’udienza precedente, la coinquilina di Regeni al Cairo ha fornito una ricostruzione in modalità protetta per garantire la sua sicurezza. La donna, che lavorava come insegnante, ha raccontato che intorno al 15 dicembre 2015 un presunto agente dei servizi segreti egiziani si era presentato nell’abitazione del ricercatore, chiedendo copia del suo passaporto. Questo episodio, riferito dal coinquilino egiziano di Regeni, Mohamed El Sayed, fu giustificato come parte di una “schedatura degli stranieri” nella città, ma sollevò timori tra i presenti.

Secondo la testimone, Mohamed El Sayed appariva visibilmente scosso e profondamente turbato dall’accaduto. Era convinto che il controllo effettuato nell’abitazione fosse stato orchestrato dalla National Security egiziana, l’apparato di intelligence incaricato di monitorare gli stranieri presenti sul territorio. L’uomo, che viveva insieme a Giulio Regeni, temeva le ripercussioni di quell’incursione, un episodio che aveva immediatamente interpretato come un segnale preoccupante della crescente attenzione delle autorità nei confronti del ricercatore.

Le indagini successive condotte dagli investigatori italiani, attraverso l’analisi dei tabulati telefonici, hanno poi confermato che vi erano stati contatti telefonici tra il coinquilino e un presunto agente dei servizi segreti egiziani il 26 gennaio 2016, un giorno dopo la scomparsa di Giulio. Questo dettaglio ha aggiunto ulteriore peso all’ipotesi di una stretta sorveglianza operata da agenti governativi sul giovane ricercatore già da settimane prima del tragico epilogo.

La testimone, nel suo racconto, ha inoltre ricordato che Giulio Regeni aveva lasciato casa il 25 gennaio intorno alle 19:30, comunicandole che sarebbe andato a una festa di compleanno organizzata dall’altra parte della città. Era una serata come tante, e nulla lasciava presagire il dramma imminente. Tuttavia, quella fu l’ultima volta in cui fu visto dai suoi coinquilini. Giulio non fece mai ritorno, e da quel momento iniziarono giorni di ansia e ricerche che culminarono nella tragica scoperta della sua sorte.

Una rete di inganni e intimidazioni

Le rivelazioni in aula hanno ulteriormente evidenziato come il giovane ricercatore fosse intrappolato in una “ragnatela” tessuta da elementi dei servizi segreti egiziani, supportati talvolta anche da persone apparentemente vicine a lui. Questa dinamica ha fatto emergere una realtà inquietante: il clima di controllo e paura instaurato dagli apparati egiziani non solo nei confronti degli stranieri, ma anche dei cittadini locali.

Per l’avvocata dei genitori di Giulio, Alessandra Ballerini, il fatto che i testimoni debbano essere ascoltati in modalità protetta è un segnale chiaro della situazione in Egitto: «Non è un Paese sicuro».

Una ricerca di giustizia ancora lunga

I genitori di Giulio Regeni, presenti all’udienza, continuano a chiedere giustizia per il figlio, sostenendo che il processo stia portando alla luce verità fondamentali, ma che restano ancora molte ombre da dissipare. Le testimonianze raccolte finora hanno confermato l’intensità delle pressioni esercitate da più fronti sul ricercatore e il brutale trattamento riservatogli fino alla tragica conclusione della sua vita.

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