Processo Maniaci: assoluzione e condanna

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Dopo due anni state depositate le motivazioni della sentenza del Processo Maniaci, con cui il giudice monocratico del tribunale di Palermo Mauro Terranova ha assolto il giornalista Pino Maniaci dall’accusa di estorsione condannandolo invece per diffamazione. A detta del giudice, nella ricostruzione dell’accusa allo storico editore e direttore dell’emittente “Telejato”, per il quale il sostituto procuratore Amelia Luise aveva chiesto una condanna a undici anni e mezzo di carcere, ci sono “vuoti probatori” e “incongruenze”

Processo Maniaci: dopo due anni le motivazioni della sentenza

Vuoti probatori” e “incongruenze”. Queste sono le ragioni per le quali Pino Maniaci, storico editore e direttore dell’emittente “Telejato” ed imputato di estorsioni e diffamazione in uno dei due tronconi del processo Kelevra, vicenda che ha portato inoltre all’arresto di 9 esponenti mafiosi, è stato assolto dalle accuse di estorsione dal giudice monocratico del tribunale di Palermo, Mauro Terranova, il quale ha depositato a distanza di oltre 2 anni le motivazioni della sentenza. Nonostante sia stato assolto dall’accusa di estorsione, Maniaci è comunque stato condannato per diffamazione lesiva della dignità delle persone offese, per la quale ha ricevuto una condanna a un anno e 5 mesi di reclusione e al risarcimento delle parti civili costituite. Depositando le motivazioni per l’assoluzione dalle pesanti accuse, Mauro terranova ha infatti sottolineato come: “Mai le sue “pressioni mediatiche” avrebbero raggiunto il livello della minaccia”.

L’inizio dell’indagine

Secondo le accuse, per le quali il procuratore Amelia Luise aveva chiesto una condanna a undici anni e mezzo di carcere, il giornalista di Partinico avrebbe utilizzato il suo potere mediatico facendo pressioni per ottenere regali e soldi da diversi esponenti politici. Nel 2016 infatti, anno in cui ha avuto luogo la vicenda, Pino Maniaci finì coinvolto in un’indagine della Dda sulla mafia di Borgetto, paese in provincia di Palermo, in cui venne chiamato a rispondere di tentata estorsione e diffamazione (senza l’aggravante mafiosa) e durante la quale vennero arrestati nove esponenti del clan. Maniaci fu accusato più precisamente di aver estorto 366 euro agli ex sindaci di Borgetto e Partinico, Gioacchino De Luca e Salvatore Lo Biundo, così non avrebbe mandato in onda servizi contro di loro. Durante il corso del processo si sono poi aggiunti altri particolari e sono venute a galla nuove informazioni, come ad esempio quelle riguardanti le relazioni tra Maniaci e l’ex assessore di Borgetto Gioacchino Polizzi. Secondo la Procura di Palermo Polizzi nel 2019 sarebbe stato costretto dal giornalista a cedere duemila euro di magliette brandizzate della sua emittente e a pagargli tre mesi di affitto per dei locali, accuse che sono successivamente cadute quando Polizzi, chiamato a testimoniare, negò tutto.

Assoluzione e condanna allo stesso tempo

Per quanto riguarda le diffamazioni invece, queste sarebbero state compiute verso l’ex presidente del consiglio di Borgetto Elisabetta Liparoto, Gioacchino De Luca e l’assessore di Borgetto Vito Spina, politici ai quali Maniaci attribuì fantomatici rapporti con esponenti della mafia. I politici non sono però l’unico bersaglio delle diffamazioni del direttore dell’emittente “Telejato”, ad essere stati diffamati sono stati anche il giornalista Michele Giuliano, l’operatore tv Nunzio Quatrosi e l’artista e docente Gaetano Porcasi, attaccati attraverso la tv gestita da Maniaci. Solo due anni dopo, gli avvocati Bartolomeo Parrino e Antonio Ingroia sono riusciti ad ottenere l’assoluzione per il proprio assistito, salvo per l’accusa di diffamazione in quanto, secondo il giudice, in questo caso Maniaci avrebbe fatto un “uso spregiudicato della sua attività giornalistica”.

Vuoti probatori e incongruenze

Mauro Terranova, giudice del tribunale di Palermo, ha affermato che l’ipotesi accusatoria sia stata “viziata da numerose incongruenze e vuoti probatori che l’istruttoria dibattimentale non ha colmato”. Secondo il giudice, infatti, le intercettazioni non sono sufficienti a confermare l’esistenza di minaccia con fini estorsivi. Nella sentenza si legge: “Le continue e pressanti richieste da parte dell’imputato, al di là delle colorite e vanagloriose espressioni di Maniaci nelle conversazioni con Candela, non hanno mai raggiunto il livello di minaccia perché manca del tutto la prospettazione di un male ingiusto che non è emerso. Gli esponenti politici, se da un lato subivano gli attacchi mediatici di Telejato, dall’altro avevano imparato a conviverci. E ad utilizzare anche come proprio tornaconto la cassa di risonanza costituita dall’emittente televisiva, secondo un gioco delle parti di cui tutti erano consapevoli”.

Simone Acquaviva

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