Il male assoluto imputato al processo di Norimberga

Norimberga

Il primo ottobre 1946 si concluse il processo di Norimberga, uno dei più famosi della storia. Un tentativo di riabilitare agli occhi della popolazione mondiale la legge, marionetta nelle mani della bestialità più oscura d’inizio secolo. Si disse per giustizia, si fece per ammonimento. Perché come disse Primo Levi, sopravvissuto al massacro ma non al peso dei ricordi: “E’ accaduto quindi potrebbe accadere di nuovo”.

Il processo di Norimberga

Bisognerà attendere gli atti finali della Seconda Guerra Mondiale perché la razionalità si desti dal letargo profondo durato quasi mezzo secolo; mentre la follia veniva incoronata al suo posto al comando del mondo. Il terrore si diradava ma restava l’angoscia e l’oppressione che avrebbero pesato per sempre su tutti coloro che, da protagonisti o spettatori, assistettero alla riproduzione più realistica mai inscenata del regno degli inferi.

I segni di una violenza innaturale freschi sui corpi, sui volti e negli sguardi. Impressi nella mente delle loro vittime come seconda parte di una condanna reiterata all’infinito, quella di non poter smettere di ricordare .

Nacque l’esigenza di lasciare un segno forte che potesse consentire di ripartire dalle macerie di un mondo ombra di se stesso. Accartocciato dal senso di colpa per non aver saputo (forse voluto) evitare la caduta del genere umano mai così tristemente unito. Queste sono le premesse in cui si sviluppò l’idea del processo di Norimberga a coloro che avevano tenuto sotto scacco il pianeta per una delle pagine più oscure della sua storia.

La rinascita con Norimberga

Come una fenice l’umanità dalle sue ceneri cercò di riaccendere la luce. Si fece strada il bisogno di ristabilire l’equilibrio delle cose, riportare la giustizia per troppo tempo  sacrificata sull’altare del desiderio di potere di pochi e del dissennato eco dei molti. Gli Stati Uniti (nell’intento di giustificare ai propri concittadini i milioni di soldati caduti in territorio nemico) insieme agli altri membri della Grande Alleanza consolidarono l’idea di perseguire i responsabili della tragedia. I processi, nonostante non vi fosse totalmente l’appoggio delle forze politiche, sembrarono la via migliore per evitare future accuse da parte della Germania.

Le attività giudiziarie iniziarono nei Paesi teatri delle atrocità. Dai soldati semplici ai medici. Si aprì l’era dei tribunali, un disperato tentativo di fare ammenda con vittime e sopravvissuti di una strage ingiustificata.

La necessità del processo di Norimberga

Furono tantissime le cause che si susseguirono negli anni successivi a quel 1945 che vide con il ritorno della democrazia anche quello della speranza. Il più celebre in assoluto fu però quello che si svolse a Norimberga. Nell’unico tribunale tedesco abbastanza grande per ospitare un evento dalla portata epocale. L’unico dove  giudici e pubblica accusa potessero essere a sufficienza da rappresentare i Paesi vincitori. In cui potesse esserci spazio per un pubblico chiamato ad essere testimone della storia che stava scrivendo un suo capitolo chiave.

Sedute al banco degli imputati le menti che avevano dall’alto della roccaforte di cristallo del potere contribuito, mattone dopo mattone, ai crimini più efferati. L’olocausto, gli esperimenti umani, le deportazioni e i lavori forzati, tutto orchestrato dagli stessi uomini sopravvissuti alla guerra e a se stessi posti lì uno accanto all’altro; costretti in quegli scanni a fare i conti con il prodotto delle loro malate ossessioni.

Il processo, oltre ad essere un lavoro di studiata complessità e di compromessi tra ordinamenti giuridici, fu anche laboratorio per la futura cooperazione internazionale e cantiere di conciliazione tra la giustizia tanto reclamata e il diritto esistente da rispettarsi.

Molte furono le questioni trattate da quella commissione unita da un comune senso del dovere, che per la prima volta dopo anni non era impostato sulle coordinate della crudeltà.

La mozione delle difesa

A molti potrà sembrare solo un disperato tentativo di difendere ragioni insostenibili; in realtà la mozione dell’avvocato Stahmes in altre sedi giudiziarie portò alla dolorosa assoluzione di molte delle mani di le stragi e i soprusi. Riproduce una delle domande a cui dalla notte dei tempi si cerca di dare invano una risposta.

L’avvocato rievocò in quel novembre del 1945 davanti al tribunale la lotta tra giusnaturalismo e giuspositivismo intestina al diritto dai tempi degli antichi greci. Afferma infatti di non potersi procedere nei confronti degli imputati in quanto questi agirono in conformità all’ordinamento giuridico riconosciuto come valido al tempo delle condotte.

Giuspositivismo e giusnaturalismo

Il giuspositivismo, relativamente più giovane, riconosce il solo diritto positivo, ossia quello vigente approvato dagli organi preposti seguendo le procedure stabilite dalla legge. Rispettate queste condizioni esso è valido e i comportamenti derivati ne sono conformi. Il giusnaturalismo per quanto non neghi il primo lo subordina all’osservanza dei principi naturali. Non è sufficiente il rispetto della forma, dovendo infatti riprodurre nella sostanza il concetto di giustizia corrispondente ai valori etici più sentiti.

Il secondo nasce per rimediare alla vaghezza del primo e consentire equità e uguaglianza d’applicazione, a cui la certezza è preordinata. Il grande giurista e filosofo Norberto Bobbio, cogliendo a pieno il fulcro della questione, così scrive: “Se caratteristica di un regime tirannico è l’arbitrio, quello retto dal diritto naturale è il più tirannico, perché questo gran libro della natura non fornisce criteri generali di valutazione, ma ognuno lo legge a modo suo”.

Le civiltà umane serpeggiano da sempre tra questi due concetti senza che possa essere proclamato il vincitore del duello. Prediligendo l’uno o l’altro a seconda della fiducia riposta nell’uomo e nel legislatore. Certo è che proprio la rigida obbedienza agli ordini aveva aperto un baratro di morte e violenza. Tali barbarie erano difficili da giustificare agli occhi del mondo con l’argomento del rispetto dei comandi dati.

Come superare l’impasse senza tradire la natura stessa della funzione dei giudici, braccianti della legge?

La risposta della Corte

In prima battuta la corte afferma la legittimità della sua giurisdizione, non arbitrario esercizio di potere dei vinti, ma espressione del diritto internazionale violato. Anche se i divieti al genocidio e al compimento di crimini contro l’umanità saranno inseriti tra le fonti scritte solo in seguito, erano già riconosciuti per consuetudine (anch’essa fonte del diritto transnazionale) e perciò vincolanti.

In quanto al rispetto del sistema giuridico del Terzo Reich come scriminante dei fatti, i giudici usarono l’unico argomento conciliatorio tra i due assunti. Fermo restando l’importanza del diritto vigente per la già menzionata sicurezza delle disposizioni, esistono tuttavia dei principi immanenti, condivisi dalla comunità umana, che non possono essere violati. Riemerge il diritto naturale come limite a comportamenti carichi di una brutalità difficile da concepire anche a distanza di tempo. Dove la rispondenza all’ordine costituito è messa in ombra dagli orrori commessi.

Il “dura lex sed lex” viene accarezzato dall’umanità che, nonostante le indelebili cicatrici, è finalmente liberata dall’abbraccio del freddo filo spinato.

Gli attori del capitolo precedente, immersi nel progetto visionario di un folle e persi per sempre nel labirinto del comando, furono incriminati dalle stesse prove che avevano contribuito a produrre durante la serrata propaganda. Vennero riconosciuti colpevoli e molti condannati anche all’impiccagione. Ancora una volta a Norimberga si scelse il sangue e la morte, in un ciclo senza fine di esistenze spezzate a rotazione.

La pena più severa sarebbe stata la vita nel corso della quale avrebbero dovuto prendere atto della malvagità di cui erano stati marionettisti. Il peso della tragedia restò sulle spalle di chi l’aveva vissuta dall’altra parte della rete. Morirono incapaci di capire lo straziante patimento che avevano causato e sordi al grido di dolore che ancora risuona tra gli stabili bui dei campi di lavoro deserti. Al cospetto del mondo intero dichiararono un’innocenza che credevano davvero di meritare.

Il genere umano ha ricominciato a respirare all’unanimità quel primo ottobre del 1946, nell’urgenza di giustizia e rinascita ha ottenuto il suo riscatto tra le possenti mura di un’aula di tribunale.

Sofia Margiotta

 

 

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