Nell’Europa asburgica del Settecento, tra leggende e superstizione, si diffuse la notizia di un processo senza precedenti: vampiri in Moravia. Tra i sospetti vi erano cadaveri accusati di tornare in vita per terrorizzare i vivi. La paura crebbe rapidamente, trasformando semplici riti funerari in scene di panico collettivo, fino a spingere l’imperatrice Maria Teresa d’Austria a inviare studiosi sul posto per fare chiarezza.
L’arrivo della notizia a Vienna e il caso dei “vampiri”
Il 30 gennaio 1755, Vienna venne sconvolta da una notizia incredibile: un processo in Moravia aveva avuto come imputati alcuni cadaveri, accusati di essere vampiri e di tornare dai morti per mietere nuove vittime. In diciotto mesi, ventotto corpi erano stati riesumati dal cimitero locale; di questi, nove furono “graziati,” mentre gli altri finirono nelle mani del boia per scongiurare ulteriori attacchi o il diffondersi della “piaga” della non-morte. Questo episodio, in realtà, non fu il primo né l’ultimo: episodi analoghi venivano segnalati in Europa orientale da decenni, tanto da richiamare l’attenzione di studiosi e giornalisti.
Si trattava di realtà o semplice suggestione? La questione era centrale in un’Europa divisa tra scienza e superstizione, e la controversia interessò persino la corte imperiale e l’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
L’origine del termine “vampiro” e la paura dei revenants
L’inquietudine verso i revenants (i morti ritornati) ebbe un ruolo centrale nel folklore slavo e in molte leggende popolari. La parola “vampiro” comparve per la prima volta attorno al 1730, in un articolo inglese dedicato all’“epidemia” di vampirismo nell’Europa orientale. Termini come “upìr” o “vampir” venivano utilizzati per nominare la paura di un ritorno in vita dei defunti. Nel folklore locale, le anime di chi non aveva esplicitamente espulso i propri peccati si credeva ritornassero dall’aldilà, spinte a vendicarsi o cercare nutrimento tra i vivi.
Questa credenza era strettamente connessa all’angoscia per le epidemie che, a quel tempo, si propagavano rapidamente. L’aumento improvviso della mortalità portava spesso le persone a individuare un “capro espiatorio” per spiegare ciò che sfuggiva alla conoscenza scientifica. In questo clima, le popolazioni adottavano riti macabri sui cadaveri sospetti, con il consenso di esponenti del clero e delle autorità locali.
Interpretazioni scientifiche e l’intervento delle autorità imperiali
Uno dei primi studiosi a cercare una spiegazione naturale al fenomeno del vampirismo fu il pastore luterano Michael Ranft. Nel suo trattato De masticatione mortuorum in tumulis (1725), descrisse il caso di Peter Plogojowitz, contadino di un villaggio serbo, accusato di essere tornato in vita per perseguitare i propri compaesani. Pare che i moribondi avessero raccontato di avere sognato Plogojowitz, in una sorta di tentativo di soffocamento, accrescendo così la tensione e alimentando il panico.
Secondo Ranft, il fenomeno poteva essere spiegato come un caso di “morto masticatore”, ovvero una credenza secondo cui il defunto “divorava” parti del proprio sudario, fino a riacquistare forza e uscire dalla tomba per nutrirsi tra i vivi. Questo mito nasceva da osservazioni equivocate su alcuni fenomeni post-mortem, come suoni o cambiamenti fisici, che la popolazione attribuiva a presunti vampiri.
L’interesse per queste vicende coinvolse anche Maria Teresa, che inviò in Moravia due “fisici” di corte per investigare. Gerhard Van Swieten, medico dell’imperatrice, raccolse i loro rapporti in un documento scientifico che spiegava i “sintomi” del vampirismo come normali effetti della decomposizione. Secondo Van Swieten, le credenze sui vampiri erano solo superstizioni che portavano a violare la sacralità delle tombe e la memoria dei defunti.
La lotta contro il vampirismo e le nuove leggi dell’impero
La tensione tra illuminismo e superstizione portò Maria Teresa a emanare una serie di decreti tra il 1753 e il 1756. Con questi, l’imperatrice mirava a frenare le credenze popolari sui vampiri e a imporre un maggiore controllo su riti e pratiche magiche.
Tra questi provvedimenti, il Rescritto sui Vampiri vietava severamente la riesumazione dei cadaveri e la loro mutilazione, affermando che nessuna indagine scientifica aveva confermato l’esistenza di creature soprannaturali. Con il Rescritto sulla Superstizione e la Magia, invece, l’imperatrice stabiliva che ogni fenomeno occulto fosse sottoposto all’approvazione delle autorità centrali e affidato a esperti.
La fine della leggenda e l’eredità culturale del vampiro
Con l’intervento dell’autorità centrale, i “focolai di vampirismo” diminuirono notevolmente, e la paura dei vampiri svanì gradualmente nella metà del XVIII secolo. Tuttavia, il mito continuò a vivere, ispirando opere letterarie e discussioni accese nei salotti europei. Decenni dopo, la figura del vampiro divenne protagonista di storie immortali, come quella del Vampiro di John William Polidori e del celebre Dracula di Bram Stoker.
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La paura dell’ignoto e il confine tra vita e morte, incarnati dai vampiri, rimasero temi profondamente radicati nell’immaginario collettivo, affascinando artisti, scrittori e studiosi e lasciando un’impronta indelebile nella cultura occidentale.