E’ la seconda volta in pochi mesi che la Commissione UE raccomanda l’avvio di una procedura di infrazione per l’Italia. La nostra colpa? Come sempre, non avere ridotto il debito. Riassumiamo insieme gli scenari economici e politici che si profilano per i prossimi mesi.
L’Unione Europea, nell’organo della Commissione, ha raccomandato ai governi l’avvio per l’Italia di una procedura di infrazione per deficit eccessivo causata dal non rispetto della regola del debito. Lo ha fatto tramite la diffusione di un report mercoledì 5 giugno. Nel documento si accusa il governo di non aver portato avanti misure allineate ai parametri europei per abbassare il debito pubblico nazionale, che risulta essere tra i più alti del pianeta.
Il Comitato economico e finanziario, cioè l’organo che accorpa i direttori generali dei ministeri delle Finanze, si riunirà per esaminare il dossier martedì 11 giugno. Il Consiglio UE, invece, convocherà i ministri dell’Economia degli Stati membri il prossimo 9 luglio. Sarà questa la sede in cui decidere l’avvio formale della procedura di infrazione, con una votazione a maggioranza qualificata.
Di fatto il governo ha un mese per provare a trattare con la Commissione, convincendola della buona volontà del nostro paese a ridurre il debito pubblico. L’Italia sarà facilitata in quest’opera di persuasione, probabilmente, approvando la legge di bilancio correttiva, di cui da tempo si parla. Se invece la Commissione non sarà convinta, il voto sarà affidato al Consiglio vero e proprio che, con tutta probabilità, approverà la procedura di infrazione, affibbiando all’Italia l’etichetta di “sorvegliato speciale”.
Come è messa l’Italia?
E’ la seconda volta che accade in pochi mesi. Nell’autunno del 2018 la Commissione aveva già raccomandato la richiesta di una procedura di infrazione. Sempre per il deficit altissimo previsto dalla legge di bilancio, la quale ha permesso al governo di introdurre il reddito di cittadinanza e la famigerata quota 100. Il governo a dicembre aveva però scongiurato la procedura, riducendo il rapporto tra il deficit e il PIL al 2,04 e promettendo alla Commissione di avviare a breve la progressiva diminuzione del debito pubblico.
Così come per l’iscrizione in palestra a giugno, ora ci si è resi conto di come le previsioni portate avanti questo autunno siano state troppo ottimistiche. La crescita promessa si è rivelata inferiore alle aspettative e la Commissione si è ripresentata alla porta, mettendo l’Italia di fronte ai numeri. Il debito pubblico dovrebbe aumentare ancora di 1,5 punti percentuali (dal 132,2 al 133,7% del PIL). Il deficit annuale del 2020 invece oltrepasserebbe il 3% (arrivando al 3,5% del PIL). Il problema starebbe principalmente qui: l’Italia ha sottoscritto dei vincoli europei relativi a questa soglia.
Ma la Commissione fa sul serio?
Sembrerebbe di sì. Qualche giorno fa la Commissione ha infatti indirizzato al governo una richiesta di spiegazioni, ma non ha ricevuto una risposta ritenuta adeguata. Sembra che la Commissione abbia lasciato all’Italia addirittura del tempo in più, prima di intervenire. L’obiettivo di questa dilatazione delle tempistiche sarebbe stato infatti quello di non condizionare la campagna elettorale per le elezioni europee.
Dal report pubblicato il 5 giugno emerge una valutazione anche politica dell’economia italiana. Qui si sottolinea come, dall’insediamento del governo gialloverde, lo spread sia salito di 100 punti in sei mesi. Un’altra osservazione riguarda invece l’esposizione dell’Italia a shock di fiducia sui titoli di Stato. Se il paese è meno stabile economicamente, deve infatti alzare gli interessi sui suoi titoli, per renderli maggiormente appetibili agli occhi degli investitori, in un circolo vizioso di indebitamento.
“La mia porta resta aperta, sono disponibile ad avere scambi e ad ascoltare”, così il commissario Ue per gli Affari economici Pierre Moscovici, in conferenza stampa a Bruxelles.
Le tappe che porterebbero a delle vere e proprie sanzioni sono comunque numerose e complesse. Nessun paese, infatti, finora è stato sottoposto a procedure di infrazioni risultate poi in sanzioni effettive. Molti, invece (tranne Estonia e Svezia) gli Stati che si sono visti recapitare la famigerata lettera della Commissione e attualmente è la Spagna a essere oggetto di una procedura, anche se dovrebbe uscirne già nel 2019.
Gli scenari interni
Il leader della Lega Matteo Salvini aveva promesso che, con la grande vittoria del fronte euroscettico alle elezioni, l’Italia avrebbe avuto un maggior potere negoziale con la Commissione. Cosa che però non è accaduta: gli euroscettici fuori dall’Italia hanno perso di fatto le elezioni e la reazione della Commissione non si è fatta attendere.
Ora sta al governo: da una parte, decidere di correggere i conti significherebbe adattarsi ancora una volta alle richieste dell’Europa, una mossa politicamente umiliante per Salvini e gli euroscettici. Questa correzione si tradurrebbe sicuramente poi in tagli di spesa pubblica e/o aumenti di tasse.
Rimarrebbe la strada del voto del Consiglio. Frequentemente quest’ultimo ha avviato procedure di infrazione, senza che però queste portassero a gravi sanzioni. Il timore per l’Italia è quell’etichetta di sorvegliato speciale che, però, di fatto le è già affibbiata da tutti i report internazionali.
Quindi: procedere sull’ostinata strada del debito e sfidare la Commissione oppure abbassare la testa e correggere i conti? In questo secondo caso si potrebbero prospettare mesi di dismissioni, privatizzazioni e tagli. Soprattutto a spese del programma dei Cinque Stelle, ora de facto azionisti di minoranza del governo, dopo lo schiaffo delle europee. La problematica quindi è squisitamente politica: probabilmente la scelta migliore per Salvini sarà quella della ritirata di compromesso, evitando la procedura e tagliando la spesa. Forte comunque della fiducia di un elettorato davanti al quale accuserà sempre l’Europa, Salvini userà a questo punto come parafulmine degli scontenti i Cinque Stelle e i loro programmi sociali.
Elisa Ghidini