Negli scorsi giorni la Commissione europea ha avviato la procedura d’infrazione per violazione dei valori Ue nei confronti della Polonia. La procedura d’infrazione colpisce la cosiddetta “lex Tusk”, ovvero la legge sulle influenze russe voluta dal presidente Andrzej Duda. La legge sancisce l’istituzione di un corpo speciale, esterno al corpo giudiziario, incaricato di indagare eventuali influenze russe sulla politica interna polacca.
La legge
La legge soggetta alla procedura d’infrazione, in vigore dallo scorso 31 maggio, che prevede l’istituzione di una commissione d’inchiesta che indaghi sull’influenza russa tra il 2007 e il 2022, appare notevolmente ambigua. Infatti, non vi è nessuna specifica circa i casi che rappresentano effettivamente “influenze russe”. Inoltre, vi è un’evidente violazione del principio di irretroattività, poiché la legge sarebbe in grado di colpire anche attività considerate legali prima dello scorso 31 maggio.
Meno ambigui appaiono i provvedimenti collegati all’accertamento di queste fantomatiche influenze russe: sanzioni che impediscono al pubblico ufficiale l’esercizio di funzioni connesse alla gestione di fondi pubblici per un periodo di tempo che può arrivare fino a 10 anni.
La legge, oltre a generare l’innesco della procedura d’infrazione da parte dell’Ue e ad attirare parole di condanna da parte degli Stati Uniti, ha visto la reazione della popolazione polacca, attraverso una protesta di strada considerata tra le più partecipate in assoluto dal rovesciamento del comunismo in Polonia nel 1989.
Le motivazioni dietro la procedura d’infrazione
La Commissione Ue ha avviato la procedura d’infrazione nei confronti della Polonia in base all’articolo 7 sulla protezione dei valori UE, introdotta dal Trattato di Amsterdam nel 1997. la Polonia è stata accusata dall’esecutivo europeo di “interferire indebitamente con il processo democratico”. In particolare, la legge sull’influenza russa è stata considerata in contrasto con la costituzione polacca e accusata di intaccare il pluralismo, annientando di fatto l’opposizione. Non è un caso infatti che la legge sia stata ribattezzata “lex Tusk”, dove il riferimento è al principale oppositore del partito “Diritto e Giustizia” (PiS) attualmente al governo , Donald Tusk. Infatti, la legge sulle influenze russe potrebbe permettere al PiS di mettere il leader dell’opposizione sotto processo, proprio poco prima delle elezioni di ottobre, eliminando di fatto un pericoloso avversario politico.
Donald Tusk è il leader del partito di centro/ centro destra “Piattaforma Civica” (PO), partito che a livello europeo aderisce al PPE, ovvero il partito che riunisce tutte le forze politiche di centro destra europeiste. Grazie alle sue posizioni europeiste, atlantiste e decisamente liberali, Donald Tusk è ben visto a livello europeo, tanto che dal 2014 al 2019 ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio europeo. Il suo partito, sotto la sua presidenza, ha accantonato politiche tendenzialmente populiste ed anti-establishment, attuando uno spostamento verso il centro, dimostrando il carattere di partito opportunista, in grado di accaparrarsi i consensi europei.
Nelle elezioni che si terranno in autunno in Polonia il partito di Donald Tusk appare come diretto oppositore del partito “Diritto e Giustizia” (PiS), di cui fa parte l’attuale primo ministro Mateusz Morawiecki. Il partito a guida Kaczyński rappresenta l’estrema destra del paese, portando avanti posizioni populiste, conservatrici, nazionaliste ed euroscettiche ; a livello europeo il PiS forma parte del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei con a capo Giorgia Meloni. “Diritto e Giustizia” ha ottenuto la guida della Polonia a partire dal 2017. Da quel momento è entrato nel mirino dell’opinione pubblica e in particolare delle istituzioni europee per le sue sistematiche violazioni dei diritti civili, come il divieto di aborto o le leggi contro la comunità LGBTQI+, oltre che per le violazioni del diritto di stampa e libera espressione, fino ad arrivare al revisionismo storico. Bisogna infine tenere presente che la Polonia era già stata soggetta ad una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea nel febbraio 2022, quando era stata accusata di un accentramento di potere nell’esecutivo e di attentare alla separazione dei poteri, anche in seguito al rinnegamento dell’autorità della Corte di giustizia dell’Unione Europea da parte del Tribunale costituzionale polacco. Tuttavia, lo scoppio della guerra in Ucraina aveva paralizzato il processo, anche in nome dell’importante posizione geopolitica occupata dalla Polonia in questo contesto.
Oggi la legge sulle influenze russe rende ancora più evidente lo svuotamento del potere della magistratura e l’accentramento di potere nell’esecutivo, grazie ai massicci interventi in ambito giudiziario. Insospettisce non poco che la legge Tusk preveda l’istituzione di un corpo speciale estraneo al corpo giudiziario, i cui membri verrebbero eletti, tra l’altro, dal parlamento a maggioranza PiS.
Presidenza del Consiglio Ue per Ungheria e Polonia nel 2024 e 2025
La questione della legge Tusk riapre la discussione sul ruolo di paesi che dimostrano una chiara deriva autoritaria, come Polonia ed Ungheria, nel contesto delle istituzioni europee. In molti hanno giudicato inaccettabile che nei prossimi anni la presidenza del Consiglio europeo finisca nelle mani prima dell’Ungheria e poi della stessa Polonia, paesi che negli ultimi anni sono stati soggetti a numerose procedure d’infrazione, oltre che essere finiti nel mirino di numerose organizzazioni internazionali per la violazione dei diritti umani. Per questo motivo, l’1 giugno scorso il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione non vincolante che chiede alla Commissione di prendere provvedimenti in grado di inibire all’Ungheria la possibilità di assumere la presidenza del Consiglio Ue nel secondo semestre del 2024.
La strumentalizzazione dell’anti-putinismo
Non stupisce che sia stata immaginata una legge contro le influenze russe per giustificare l’annientamento degli oppositori politici del PiS. Infatti, non è affatto la prima volta che in Polonia viene utilizza la retorica dell’anti-putinismo e della condanna all’invasione in Ucraina per giustificare politiche antidemocratiche o arresti immotivati di chi esprime opinioni scomode per il regime, come nel caso di Pablo Gonzàlez.
La strumentalizzazione dell’anti-putinismo di cui si sta servendo la Polonia dovrebbe far suonare un campanello d’allarme anche per quanto riguarda l’abuso di questa retorica da pare di altri paesi europei. In effetti, è proprio in nome della condanna all’invasione russa e dell’anti-putinismo che ad oggi si giustificano posizioni guerrafondaie ed anticostituzionali, politiche antipopolari o i profitti multimilionari di aziende specializzate nella produzione di armamenti.