Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
Il panorama economico globale sta attraversando una trasformazione notevole, con l’emergere di un nuovo termine: “derisking”. Questo concetto sta gradualmente soppiantando il precedente “decoupling”, che sottolineava la separazione tra le economie degli Stati Uniti e della Cina. Tuttavia, ora assistiamo a un nuovo approccio, soprattutto nell’Unione Europea, dove la Cina non è più vista semplicemente come un partner economico, ma piuttosto come un “rivale sistemico”.
Un nuovo termine sta sostituendo il “decoupling”, vale a dire il disaccoppiamento tra l’economia Usa e quella cinese, uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump quando era presidente. Il nuovo termine è “derisking”, ed è usato soprattutto dai Paesi dell’Unione Europea.
Con esso si intende il rafforzamento dei meccanismi di difesa dell’economia Ue, giacché ora la Repubblica Popolare non viene più vista alla stregua di semplice partner economico e commerciale, bensì come “rivale sistemico”. E, in questo, Bruxelles segue in sostanza l’approccio di Washington, vale a dire dell’amministrazione Biden.
La commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen, ha infatti invitato i Paesi membri della UE ad adottare un approccio più prudente con la Cina, In particolare, a comprendere che la nostra sicurezza dipende dalla capacità di ridurre i rischi economici e commerciale derivanti da legami che, in precedenza, erano considerati in termini pienamente positivi.
L’approvvigionamento di beni essenziali, che ha subito una drastica riduzione ai tempi del Covid, il boicottaggio di brand occidentali dovuto a motivi politici e, infine, l’invasione dell’Ucraina su cui la Cina continua a restare ambigua, suggeriscono secondo la Commissione Europea grande prudenza. Anche perché si sono moltiplicate le minacce per le catene di fornitura, nelle quali la UE è tuttora molto dipendente dalla Repubblica Popolare (certamente in misura maggiore rispetto agli Stati Uniti).
L’Europa, insomma, ancora una volta scopre la propria debolezza, scontando la natura farraginosa della propria impalcatura politica e burocratica, dovuta al fatto che gli Stati membri (e soprattutto i più importanti come Germania e Francia) tendono ad andare per conto proprio rifiutando qualsiasi tipo di strategia coordinata. Non è certo un problema nuovo, ma con la pandemia i nodi sono diventati più visibili ed evidenti.
L’Italia, tra l’altro, è in una posizione particolare e delicata, essendo l’unico Paese membro del G7 ad aver firmato l’accordo concernente la “Via della Seta”, con l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio che svolsero un ruolo chiave al riguardo.
E’ noto che l’attuale premier Giorgia Meloni vorrebbe disdire l’accordo, sostenendo che gli affari con la Repubblica Popolare si possono fare comunque, anche in assenza dell’accordo suddetto. Trascurando però il fatto che i cinesi sono molto sensibili, anche per ragioni derivanti dalla loro cultura millenaria, agli aspetti formali della diplomazia. Ragion per cui il nostro Paese potrebbe pagare cara l’eventuale disdetta.
La morale della favola è chiara. Come è già avvenuto per il “decoupling”, anche il “derisking” è più facile a dirsi che a farsi. L’interconnessione tra l’economia europea e quella cinese è troppo forte e non può essere cancellata a colpi di slogan. In questo senso gli americani hanno maggiori margini di manovra. I nostri, invece, sono molto ristretti, e di questo il governo in carca deve tenere conto.