È stato diffuso in questi giorni un report di ricerca del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) che prende in esame le politiche relative alla privazione della capacità giuridica adottate dai paesi europei. Il documento è intitolato “Rapporto sui diritti umani in Europa. Numero 8 – 2024. Capacità giuridica: scelta personale e controllo” e offre una panoramica preoccupante sui diritti violati delle persone con disabilità.
Cos’è la capacità giuridica
«La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita»
(Articolo 1 del Codice civile italiano)
Avere capacità giuridica, insomma, significa essere considerati pienamente, dal punto di vista legale, persone. Questo avviene automaticamente a partire dalla nascita. Esiste poi la capacità di agire, acquisita al compimento della maggiore età, che permette l’esercizio libero e autonomo dei propri diritti.
È dall’unione di queste due capacità che deriva la nostra libertà di prendere decisioni sulla nostra vita personale e di controllare il nostro corpo. Sembra essere un diritto così inalienabile da venire dato per scontato, ma non è così per tutti. Il report dell’EDF mostra come la privazione della capacità giuridica delle persone con disabilità sia una pratica diffusa in molti paesi dell’Unione Europea. In contrasto con l’articolo 12 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che afferma il diritto di ogni persona a decidere autonomamente.
A cosa porta la privazione della capacità giuridica
La capacità giuridica può essere rimossa da un tribunale, un’autorità tutelare o altro organismo ufficiale su richiesta di un terzo, come un familiare o lo stato. In questo modo il processo decisionale di un individuo viene delegato a qualcun altro, che ne diventa un tutore legale o un amministratore. Un’interdizione che, spesso, porta a violenze e abusi.
Molte persone subiscono terapie elettroconvulsivanti (elettroshock) non consensuali, sterilizzazioni forzate, trattamenti farmacologici non essenziali. In alcuni casi si arriva alle violenze emotive, fisiche e sessuali senza possibilità di fuga o denuncia e, ovviamente, di risarcimento. In alcuni paesi significa perdere il proprio diritto di voto, la possibilità di gestire il proprio denaro, di decidere dove vivere, chi sposare.
La situazione in Europa e nel mondo
Oggi, i paesi europei che ammettono la privazione della capacità giuridica e regimi di piena tutela sono dodici, l’Italia è tra questi. Altri nove ammettono una tutela parziale o sistemi simili e solo sei hanno abolito del tutto la possibilità.
Tuttavia, anche nei paesi che hanno adottato la possibilità di regimi di tutela parziale, l’interdizione continua a essere praticata, spesso per ragioni di tipo economico. Le risorse per implementare sistemi di supporto alternativi non sono sufficienti e mancano informazioni ed educazione a riguardo.
È il caso, per esempio, della Repubblica Ceca. Nonostante il paese abbia istituito sin dal 2014 forme diverse di tutela, ogni anno i tribunali approvano 10mila ordini di privazione della capacità giuridica, contro i 50 che prescrivono forme alternative di tutela e supporto decisionale per anziani e persone con disabilità.
La situazione in Italia non è diversa. Pur avendo introdotto l’amministratore di supporto, che dovrebbe offrire aiuto nell’esecuzione dei compiti quotidiani, ma senza limitare la capacità di agire della persona, l’interdizione è ancora ampiamente applicata. Secondo il rapporto, la ragione è nella mancanza di formazione professionale, carenza di staff e persistenza di pregiudizi sulla disabilità che influenzano amministratori e decisori.
Al di fuori dell’Europa, altri paesi stanno andando in direzione contraria, abolendo totalmente ogni forma di privazione della capacità giuridica. Si tratta di Colombia, Costa Rica, Perù e, appena qualche giorno fa, Messico.
«È per il loro bene»
L’infantilizzazione degli anziani e dei disabili è una pratica abilista ancora molto diffusa nelle società. Rischia di passare sottotraccia rispetto ad altre forme di discriminazione perché coperta da un alone di pietismo e buoni sentimenti. Le persone con disabilità vengono private del diritto di prendere decisioni sulla propria vita venendo, di fatto, trattate come bambini. Una consuetudine in palese contrasto con i trattati sui diritti umani.
Eppure, molte persone difendono la possibilità di interdire qualcuno, obiettando che, nel caso di disabilità psicosociali o intellettive, la capacità decisionale sia compromessa e un aiuto sia necessario per il loro bene.
Tutti adorano i bambini, ma nessuno si sognerebbe di dire che vengono privati della loro libertà solo perché qualcuno gli impedisce di buttarsi da una macchina in corsa: è per il loro bene. Questo è il parallelismo che sta alla base del paradigma del “miglior interesse” per la persona, su cui si basano le giustificazioni delle pratiche di interdizione.
Eppure, persone con disabilità (maggiorenni) e anziani non sono bambini, e la privazione della loro capacità decisionale non può essere giustificata dalla ricerca di un presunto miglior interesse. Tale interesse viene deciso dall’esterno, in modo paternalistico, con la presunzione di conoscere cosa sia bene per qualcuno e cosa no.
Allo stesso tempo non si può negare come in alcuni casi sia realmente necessario un supporto alla persona, per prendere decisioni informate ma senza perdere il controllo sulla propria vita. Servono modelli differenti.
Buone pratiche di tutela della persona: la capacità decisionale supportata
La capacità decisionale supportata è un modello di tutela che tiene insieme entrambe le esigenze: fornire un supporto a chi ne ha bisogno, lasciando però intatta la sua capacità di autodeterminazione. Questo modello assume forme diverse e si avvale di reti di supporto formali e informali.
Il primo passo è quello di permettere l’accesso alle informazioni alle persone con disabilità, informazioni in formato accessibile e semplificato che permettano di conoscere i propri diritti. Seguono i supporti alla comunicazione, l’assistenza personale per vivere il più autonomamente possibile, la possibilità (facoltativa) di scegliere un tutore fidato, sia esso un famigliare, un amico o una figura professionale.
Soprattutto, questo modello si basa sulla consapevolezza che il supporto non è sempre necessario continuativamente, ma può essere limitato a un periodo di tempo particolare, magari di maggiore difficoltà.
Con la capacità decisionale supportata è sempre la persona ad avere il controllo, non può essere una terza parte ad imporre una forma di supporto o tutela. I modelli di supporto decisionale impediscono i trattamenti sanitari non consensuali e garantiscono alla persona di essere informata sulla propria salute e sul proprio corpo.
La Svezia è uno dei paesi che ha adottato questo modello e gli studi recenti sulla sua efficacia ne dimostrano i benefici. Il benessere delle persone supportate è aumentato, così come la loro indipendenza, e contemporaneamente c’è stato un risparmio statale sui servizi sociali.
La Finlandia utilizza un sistema definito “del dialogo aperto”, indirizzato a persone con disabilità psicosociali e sofferenze psichiche. È un programma di salute mentale basato sulla comunità, che pone al centro la trasparenza del rapporto di cura. La persona è sempre tenuta al corrente di ogni cosa che la riguarda ed è libera di scegliere e di opporsi, decidendo anche la frequenza e il luogo degli incontri.
Altri paesi, come l’Italia, l’Irlanda e la Spagna, prevedono un budget di assistenza personale. Una somma di denaro data dallo stato alla persona, che può decidere liberamente come utilizzarla. Tuttavia, i frequenti tagli ai servizi sociali pubblici minacciano questa iniziativa, rendendola insufficiente o inapplicabile.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che i paesi che assumono modelli di tutela della capacità giuridica registrano ampi miglioramenti delle condizioni di vita delle persone con disabilità, ma anche delle loro famiglie, comunità e della società nel suo complesso.
Contrariamente all’interdizione, che isola e controlla la persona, gli approcci che si basano sulla speranza e l’ottimismo per il futuro, sulla costruzione di un’identità positiva e una vita significativa, pongono l’accento sulla comunità e sulla dimensione sociale della disabilità. Sono modelli che hanno dimostrato la loro efficacia. Costosi da implementare in fase iniziale, ma che portano un risparmio costante e a lungo tempo.
L’EDF conclude il suo report richiamando gli stati membri all’azione, fornendo una lista di punti da sviluppare per adempiere ai loro obblighi di garanzia e protezione dei diritti di tutti i cittadini. Nella speranza che la privazione della capacità giuridica delle persone divenga sempre più un’eccezione, chiudiamo con le parole di Tamara Byrne, membro del comitato giovanile dell’EDF e prima donna con disabilità intellettiva a farne parte:
«Se ho bisogno che le informazioni siano spiegate in modo diverso, ciò non significa che non debba avere il diritto di fare scelte sulla mia vita. Significa solo che le informazioni devono essere accessibili. Se non sei d’accordo con le mie scelte, non significa che puoi privarmi del mio diritto di scegliere, così come io non posso dirti cosa fare della tua vita»