Raccontare gli orrori di Auschwitz ai propri cari, incontrando solo indifferenza. È questo l’incubo di Primo Levi raccontato ne “Le nostre notti”, un capitolo di Se questo è un uomo.
Levi morì esattamente 30 anni fa, l’11 aprile 1987, a 67 anni. La sua morte è ancora oggi circondata dal mistero. In molti, infatti, pensarono ad un suicidio. Ed è per questo che alcuni lo considerano una vittima tardiva della Shoah. Primo Levi non riuscì mai a liberarsi completamente dal tormento di Auschwitz.
Proveniente da una famiglia di origine ebraica, lo scrittore e chimico torinese fu deportato nel lager nazista nel 1944. Trascorse un anno in quello che viene chiamato “anus mundi”. Per un anno sopportò il freddo, la fame, la sete, la stanchezza e le percosse. Fu privato della sua identità: ad Auschwitz non esisteva Primo Levi, ma solo Häftling 174.517.
Levi vide andare incontro alla morte tantissimi compagni di prigionia, tra cui il suo migliore amico Alberto. Ma lui riuscì ad assistere all’arrivo dell’Armata Rossa. Dopo un lungo viaggio, tornò a Torino, dalla sua famiglia. Nessuno lo aspettava, pensavano che fosse morto. Finalmente trovò “la gioia liberatrice del raccontare”.
Nel 1947, fu pubblicata l’opera memorialistica Se questo è un uomo, in cui Primo Levi racconta la sua esperienza ad Auschwitz. Un resoconto crudo, che non indulge in sentimentalismi. Il romanzo è ancora oggi una delle più solide testimonianze della Shoah.
Nonostante la spersonalizzazione attuata dalle SS nei confronti dei prigionieri, la dignità umana è ancora presente ad Auschwitz. L’autore ci racconta di Steinlauf, che lo incita a lavarsi affinché l’obiettivo del lager – trasformare gli uomini in bestie – fallisca. Ci racconta dell’amicizia con Alberto, basata su rispetto e aiuto reciproco. Ci racconta anche di Jean (il “Pikolo”), con il quale condivide uno dei momenti più belli del romanzo: “Il canto di Ulisse”. Sprazzi di umanità nell’inferno.
Anni dopo, nel 1963, fu pubblicato il seguito di Se questo è un uomo. La tregua narra il viaggio lungo e travagliato di Levi dalla Polonia all’Italia.
Perché fu scelto questo titolo? La “tregua” è il lento reinserimento di Levi nella società, una pausa tra gli orrori del lager e il ritorno al quotidiano.
Forse, però, Levi non tornò mai completamente dal campo di concentramento.
“[…] Sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno […]”
Primo Levi (La tregua).
Veronica Suaria