Fallimento del No way? Per la prima volta dal 2014, in Australia è arrivato un peschereccio con a bordo un gruppo di profughi, nella zona di Port Douglas, nello stato del Queensland.
Il natante è affondato, mentre i naufraghi si sono dileguati all’interno di una foresta d mangrovie, purtroppo per loro infestata di coccodrilli. Tuttavia, non tutti i profughi sono riusciti a fuggire, e alcuni di loro invece sono stati arrestati dalla polizia del Queensland.
Il commento del ministro dell’Interno Peter Dutton
La notizia è stata confermata dalle autorità australiane che sono al lavoro per rintracciare il gruppo di profughi naufragato e disperso nella fitta vegetazione di una zona abitata da colonie di coccodrilli d’acqua salata, nella foresta pluviale di Daintree. Anche il ministro dell’Interno Peter Dutton ha confermato: “E’ arrivato il primo caso di traffico di persone da oltre 1.400 giorni, lavoreremo con le agenzie per garantire il rimpatrio di queste persone nel loro Paese di origine, una volta che avremo accertato i fatti“.
Tuttavia, non è ancora stato ufficialmente confermato né la nazionalità dei profughi – secondo alcuni vietnamiti – né quante persone fossero a bordo al momento dell’arrivo nel nord-est dell’isola.
L’opinione del politologo australiano Chandran Kukathas
Il No Way è quindi una politica fallimentare? L’Operazione Confini Sovrani (Operations Sovereign Borders), è un’operazione politico-militare attuata negli ultimi anni dal governo australiano per difendere le coste dall’arrivo di imbarcazioni con a bordo immigrati clandestini che, per la prima volta dopo 4 anni, sembra non aver funzionato.
Chandran Kukathas, 60 anni, è a capo del dipartimento di Scienze Politiche della London School of Economics (LSE), dove coordina un corso master in studi dell’immigrazione internazionale e, di recente, è stato intervistato in merito alla politica del No Way.
Da australiano, trovo questo modo di pensare estremamente deludente. Credo che la politica di deterrenza contro l’arrivo delle imbarcazioni, così da impedire le richieste di asilo, vadano completamente contro lo spirito di umanitarismo alla base della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, che il governo australiano, proprio guidato da questo spirito, ha allora sottoscritto.
Questo il primo commento del politologo australiano che ha aggiunto che i centri di detenzione delle isole di Manu e in quelle di Nauru, in pieno Oceano Pacifico, non solo non sono una misura necessaria con costi elevati – ben 314 mila euro l’anno per ciascun migrante, quattro volte il costo di un detenuto in prigione – ma anche una vergogna per un Paese democratico dato che le condizioni di vita nei centri siano comunque disumane e crudeli – condizioni che il governo australiano ha tentato di nascondere.
Inoltre, questo tipo di politica ha avuto un impatto negativo nella comunità australiana: “Sicuramente ha inasprito le ostilità nei confronti di alcuni gruppi, visti come una minaccia invece che come individui che meritano compassione. Questo ha reso ancora più difficile i rapporti tra le comunità che compongono la società australiana, notoriamente multiculturale“.
Nell’intervista non è mancato un accenno ad un’eventuale introduzione di questa politica di gestione dell’immigrazione in Europa, fortemente voluta dal nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini. A tal proposito, Chandran Kukathas è chiaro: applicare il medesimo modello in Italia non funzionerebbe perché l’Australia è “una realtà molto diversa da quella dell’Italia, che confina con molti Paesi europei ed è vincolata dalla libertà di movimento prevista dal trattato di Schengen. L’Australia non ha invece alcun vincolo di questo tipo“.
Domenico Di Maura