BUFERA IN SENATO: LA NOMINA DI SALVATORE TORRISI ALLA PRESIDENZA DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI ALTERA I FRAGILISSIMI EQUILIBRI DEL PD
La settimana prima di Pasqua al Senato è arrivata una sorpresa non tanto buona per i dem. Con voto segreto, è stato eletto il presidente della Commissione Affari Costituzionali: il centrista di Ap (“Alternativa Popolare”) Salvatore Torrisi, con 16 voti su 17.
Piangono gli esponenti del Pd che parteggiavano per Giorgio Pagliari, il quale ha ottenuto 11 voti su 17. Ma prendiamo la macchina del tempo e torniamo indietro a quattro mesi fa, quando l’idea della scissione del Partito Democratico era ancora fresca di trovata (mentre oggi, sembra una routine. Della serie: Che fai oggi? Mah, il solito. Prendo un caffè, vado a lavoro e poi mi scindo da quelli del mio partito), Anna Finocchiaro, esponente del Pd, dava le dimissioni per diventare ministra dei Rapporti con il Parlamento, creando una lacuna risolta solo oggi, con la nomina di Torrisi, candidato sostenuto dall’opposizione.
Eppure, a ben guardare, la polemica dei democratici in merito all’elezione di Torrisi non sembrerebbe del tutto priva di fondamento. “Secondo gli accordi di maggioranza” , afferma Angelino Alfano, leader del nuovissimo partito Ap,“spettava al Pd esprimere il presidente al posto della senatrice Finocchiaro e poco importa se, come pare, all’interno del Pd vi siano stati voti in dissenso all’indicativa ufficiale”. Da queste parole si evince che la votazione segreta abbia dato un risultato completamente sbagliato. Renzi, e così tutti i deputati del Pd, sarebbero andati a votare il presidente che avrebbe dovuto sostituire la Finocchiaro in un’atmosfera di quasi completa certezza sulla natura della votazione. Giorgio Pagliari. Immaginate lo shock quando è stato votato un membro dell’opposizione. Ora che il Pd ha perso la maggioranza, la nomina di Torrisi mirerebbe a spostare le influenze, creando un Senato delle larghe intese. E inevitabilmente tale blitz politico va ad indebolire l’importanza non solo del Pd in toto, ma soprattutto di Matteo Renzi.
Immediatamente dopo la scoperta dell’elezione di Torrisi, Pd e Ap hanno infatti dato avvio ad una reciproca azzuffata verbale. Il Pd ha accusato Ap per la mancanza di correttezza dimostrata e quelli di Ap hanno puntato il dito contro gli scissionisti di Mdp: perché i voti a favore di Torrisi sono arrivati da Forza Italia, Lega, M5S, e da 6 franchi tiratori, tra cui 2 di Mdp. In risposta, Speranza commenta “cripticamente”: “Se fossi nel Pd, guarderei dentro casa mia: mi pare che lì ci siano problemi più grandi”.
Il senatore Andrea Marcucci, intervistato dal Corriere della Sera, afferma: “Oggi sono nate le larghe intese in Senato per non fare la legge elettorale… Quelli di MdP, Forza Italia, M5S, hanno eletto il loro presidente nella Commissione Affari Costituzionali con l’obbiettivo di consegnare l’Italia al proporzionale.”
Ad ogni modo, la perdita di maggioranza del Pd genera una crisi difficile da sanare.
E di certo il negazionismo inutile di Renzi, che minimizza la portata della cicatrice all’interno del suo partito, non aiuterà a ricucire gli screzi.
In barba alle frizioni e alle polemiche sollevate in seguito alla nomina di Salvatore Torrisi, il diretto interessato non pare avere alcuna intenzione di mollare l’incarico. Si dichiara: “Molto infastidito” dalla reazione dei colleghi e aggiunge: “Se Renzi apre la crisi per la mia elezione, il Paese gli ride dietro”.
Non si sposta di un centimetro, Torrisi. E questa presa di posizione lo fa scontrare direttamente con Angelino Alfano, il quale ora ne domanda le dimissioni e la cacciata dal partito, per dare prova al Pd della propria coerenza. Ma è lecito dubitare che questa richiesta di dimissioni sia qualcosa di più di una mera minaccia, in quanto la Commissione Affari Costituzionali, tra le aree di propria competenza, è anche responsabile della presentazione delle leggi elettorali. Avere un membro di Ap come presidente della commissione tornerà sicuramente utile al ministro Alfano. Senza contare che l’Italia necessita fortemente di una legge elettorale, dopo la bocciatura dell’ Italicum sponsorizzata da Renzi, e definita in un’ultima analisi incostituzionale.
LE PRIMARIE DEL PD FANNO DA PARAFULMINE ALLA CRISI DEL PD
C’è maretta nel Pd, e non serviva certo sbirciare i voti in Senato per saperlo: bastava volgere lo sguardo alle Primarie per la Segreteria del Partito. Il 30 aprile si contenderanno la carica che fu di Matteo Renzi, lo stesso Renzi (altresì noto come “il Matteo nuovo, quello 2.0, innovatore, che non commetterà gli errori del passato”), il Guardasigilli Andrea Orlando e il Governatore pugliese Michele Emiliano. Insomma, da una parte, Renzi e dell’altra, due non più Renziani, da un paio di mesi.
Ieri, 8 aprile, Orlando è stato a Napoli per esporre la mozione con cui si candida alle Primarie, e non si è potuto fare a meno di constatare il netto cambio di registro del Guardasigilli, il quale, più agguerrito che mai, si è calato in una lunga digressione sulle mancanze del Segretario uscente, Matteo Renzi. E non gliene ha risparmiata neanche una, rimproverandogli le promesse mancate verso i giovani, i lavoratori, la scuola, e la politica fallimentare sia in Italia che all’estero, col 40% alle europee. E aggiunge enfaticamente:“Senza Napoli”, e anzi, “Senza il Sud, il Pd sarà perduto”.
Un attacco, quello mosso da Andrea Orlando, scagliato contro un Renzi che si trovava a Bari, città di Emiliano. Il Governatore pugliese è momentaneamente costretto a riposo, per via di un incidente al tendine d’Achille, mentre ballava la tarantella. E Renzi non si è fatto sfuggire l’occasione per una battuta: “Io ho un’alibi di ferro: ero a distanza di chilometri.”
La convention “#noi che” è stata aperta dal sindaco di Bari Antonio Decaro e dal segretario regionale del Pd, Marco Lacarra. Tra i vari temi, l’ex Premier ha sostenuto la tutela della Buona Scuola e della legge sul caporalato, che a suo dire sono propositive, ma senz’altro migliorabili. Ha parlato di Taranto, in cui il governo Renzi ha investito. E si è rivolto ai 5MS, che si chiudono -sbagliando- a testuggine nei confronti degli altri partiti.
Infine, ai pugliesi, che possiedono un mare così bello, rivolge la preghiera di“fare squadra per valorizzare le risorse”.
Appare carismatico, Matteo Renzi. Sorride alla platea venuta ad accoglierlo nel capoluogo pugliese, e sembra quasi che questa pubblicità in vista delle elezioni del 30 aprile, in cui l’ex Premier appare splendidamente se stesso, pronto a offrire garanzie di coesione, di scelte mirate, in linea con “Italy first” piuttosto che con “Renzi first” -in un contesto altamente dissociativo come quello che sta vivendo il Pd- non siano altro che un bell’ombrellino, un parafulmini di sorrisi e promesse, dietro cui si agita un Paese alla deriva e un Partito sempre più disgregato e confuso. Alla stessa stregua di quella parte di elettorato che andrà a votare a fine aprile.
Non è nascondendo la polvere sotto al tappetto che Renzi potrà riguadagnare l’opportunità concessagli dagli italiani nel 2014.
Chiara Fina