All’inizio di giugno in Venezuela sono stati arrestati due asini davanti alla sede del Cne, il Consiglio Nazionale Elettorale, condotti da alcuni manifestanti di Prima Giustizia, il partito dell’ex candidato presidenziale Henrique Capriles, che protestavano contro le autorità per il ritardo delle procedure relative al referendum revocativo nei confronti del presidente Nicolas Maduro.
Il loro slogan era: “REVOCATE L’ASINO!”.
La polizia antisommossa ha disperso la protesta catturando gli innocenti somarelli e portandoli via.
Maduro è stato sconfitto alle elezioni del dicembre scorso per il rinnovo del Parlamento, ora in mano all’opposizione. Dispone dell’appoggio del Tsj, il Tribunale Supremo di Giustizia, che sta bocciando tutte le riforme approvate dall’organo eletto dal popolo, neutralizzandone i poteri.
Il presidente del Venezuela cerca d’impedire l’attuazione del referendum previsto dalla Costituzione contestando la validità delle firme raccolte. Lo rallenta perché se la consultazione popolare si svolgesse entro gennaio 2017 e vincesse l’opposizione si andrebbe a nuove elezioni mentre, se avvenisse dopo, il capo dello stato sarebbe solo formalmente sostituito dal vice.
Ma qual è la situazione del paese?
Nel 2013 Maduro è succeduto a Chavez che aveva sviluppato un’economia basata sul centralismo statale e sull’autarchia. Questo era possibile grazie al fatto che il Venezuela possiede una delle maggiori riserve di greggio al mondo, anche se di bassa qualità.
Negli ultimi tempi il prezzo del petrolio è però crollato e, non avendo il governo diversificato il sistema produttivo e ammodernato le infrastrutture energetiche, la nazione è sprofondata in una drammatica crisi.
L’inflazione, inarrestabile, viene prevista per quest’anno dal Fondo Monetario Internazionale attorno al 700/800%; nei supermercati mancano le merci e nelle farmacie le medicine; i blackout paralizzano ospedali e servizi essenziali; le fabbriche sono ferme anche per mancanza di materie prime e la polizia ha l’ordine di arrestare gli imprenditori che “boicottano il paese”; la carenza di elettricità ha fatto introdurre a fine aprile la settimana corta con due giorni lavorativi per i servizi statali non essenziali.
Il Venezuela è rischio di default finanziario e i debiti, che non possono più essere pagati col petrolio, continuano ad aumentare.
Chavez cercò di dare una svolta incisiva a un paese in cui anni di corruzione e politiche neoliberiste avevano creato povertà e diseguaglianza tra le classi sociali. I proventi derivanti dalla vendita del greggio furono investiti per aumentare la spesa pubblica del welfare, migliorare istruzione e sanità prendendo a modello Cuba: l’effetto fu una diminuzione di povertà e divario sociale.
Purtroppo la redistribuzione delle rendite petrolifere ha fatto crescere la domanda di beni senza un parallelo aumento della produzione interna a cui si è risposto ricorrendo a una massiccia importazione dall’estero. Non si è incentivata l’iniziativa privata né investito su fonti diverse di energia per cui il 70% di essa dipende dalle centrali idroelettriche.
Ora è accaduto che, oltre al crollo del prezzo del petrolio, il paese sia stato attraversato da emergenze climatiche portatrici di una grave siccità e di una drastica riduzione del livello dei laghi che ha paralizzato il funzionamento delle centrali.
La volontà di mantenere i prezzi controllati per rendere i beni accessibili a tutti ha portato a calmierarli e a stabilire il tasso di cambio del denaro, vista l’abitudine a pagare in dollari.
La diminuzione delle importazioni e i blackout che limitano l’attività industriale hanno rivelato le carenze del sistema economico: quando i prezzi vengono fissati a un valore più basso del costo di produzione le merci scompaiono dagli scaffali dei negozi e molte aziende, lavorando in perdita, sono fallite. Quelle nazionalizzate dal governo non riescono a produrre più di un quarto della loro capacità.
La popolazione si ritrova così a trascorrere sei o sette ore al giorno in fila davanti ai supermercati per acquistare generi alimentari e scoprire che molti sono esauriti. Quando i camion vengono scaricati buona parte del contenuto prende la strada del mercato nero dove è venduto al quintuplo del valore.
Si è formata una nuova professione, quella dei “bachaqueros”, dal nome di una vorace formica rossa: pensionati e disoccupati si mettono in fila alle quattro del mattino per essere i primi ad acquistare e poter rivendere i prodotti al mercato nero.
Per controllare la distribuzione dei beni, il governo ha limitato gli acquisti a un giorno alla settimana a persona sulla base dell’ultima cifra presente nel documento di identità e nelle farmacie può anche essere chiesto il riconoscimento dell’impronta digitale. Ma i “bachaqueros” hanno falsificato i documenti e riescono a fare la fila tutti i giorni con diverse carte d’identità.
La banca centrale, a corto di fondi, immette sul mercato molta moneta ma così facendo diminuisce il valore di quella in circolazione e l’inflazione aumenta, creando un circolo vizioso senza fine. Sembra che le tipografie abbiano smesso di stampare banconote solo perché sono finiti i soldi per pagarle!
Il Venezuela è uno dei paesi con la più alta percentuale di violenza e omicidi. La disperazione e l’esasperazione porta a saccheggi e furti. Sono frequenti incidenti con ferite di arma da fuoco: la situazione negli ospedali è drammatica e i pazienti si trovano costretti a pagare l’occorrente per le cure.
Scarseggiano antibiotici, guanti sterili e tubi endotracheali; i defibrillatori e le incubatrici per i neonati non funzionano; i medici usano i loro smartphone per guardare le lastre non essendoci computer a disposizione; i chirurghi si lavano le mani con acqua gasata o seltz, arricchita con bicarbonato o acido citrico, operando talvolta in una sala sporca del sangue del paziente precedente. Sembra di trovarsi catapultati nel Diciannovesimo secolo e molti bambini muoiono per mancanza di medicine o macchinari e gli anziani per malattie croniche.
A maggio Maduro ha prorogato lo stato d’emergenza proclamato a gennaio, attribuendo la colpa della crisi nazionale alle ingerenze straniere, in primis quella americana, minacciando la chiusura del Parlamento, piena di “fascisti”, e dichiarando la non validità dei due milioni di firme raccolte per il referendum.
Sicuramente l’influenza delle potenze straniere e dell’oligarchia economica esiste: a febbraio 2014 si svolsero le “Guarimbas”, rivolte popolari con parecchie vittime, nascondendo dietro alla protesta spontanea l’azione di gruppi paramilitari in un tentativo di colpo di stato finanziato e sostenuto da qualcuno all’esterno.
In questo contrasto tra fazioni di sinistra e destra che si attribuiscono reciproche colpe, alla fine chi ci rimette è sempre il cittadino qualunque che vive situazioni drammatiche.
Mi viene in mente la canzone di Giorgio Gaber dal titolo “Destra-Sinistra” in cui ironicamente sottolineava come le differenze ideologiche fossero solo esteriori.
“Tutti noi ce la prendiamo con la storia
Ma io dico che la colpa è nostra
È evidente che la gente è poco seria
Quando parla di sinistra o destra.
Ma cos’è la destra cos’è la sinistra…”
A giugno i dipendenti pubblici sono tornati a lavorare cinque giorni la settimana: la situazione è leggermente migliorata perché il livello dell’acqua nella diga della principale centrale idroelettrica è tornato nella norma.
Il segretario di stato americano John Kerry ha annunciato che riprenderà i contatti con le autorità venezuelane per allentare le tensioni sorte tra i paesi.
Si tratta dell’effettiva volontà di aiutare un paese in crisi o di manovre finalizzate alla realizzazione di interessi nascosti?
Quello che alla fine sembra identico a destra e a sinistra è il valore attribuito al Potere e al Denaro, come l’egocentrismo che ne è alla base.
Paola Iotti
INTERESSANTE MA PURTORPPO CHI PUO FARE QUALCOSA HA SEMPRE LE MANI LEGATE. PENSIAMO AI RIGORI O CALLA MODA MA I PROBLEMI SONO MOLTO PIU GRAVI.