Nel 1944, un gruppo di soldati italiani prigionieri in un campo in Germania del Nord fece l’impensabile nelle condizioni disumane in cui versavano. Diedero vita, cioè, alla natività con materiali di fortuna: nasceva così il presepe di Wietzendorf, rimasto un insuperabile simbolo di speranza.
Nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano è custodita un’opera dal valore simbolico e morale enorme: il presepe di Wietzendorf. Composta di figure rozzamente sbozzate e stracci, questa natività ha una storia stupefacente. Tanto che, per le condizioni in cui è stata realizzata e le motivazioni, si potrebbe equipararla per valore ai presepi della tradizione napoletana.
Origini del presepe di Wietzendorf
La genesi del presepe di Wietzendorf iniziò nel tardo autunno del 1944 in un campo di prigionia nel cuore della Germania del Nord. Era il secondo anno in cui seimila soldati italiani si preparavano ad affrontare un lungo inverno in un campo dichiarato inabitabile da due commissioni sanitarie. Originariamente destinato a Russi e Polacchi, il campo ospitava le forze dell’esercito ‘traditore’ nelle peggiori condizioni possibili. Le baracche erano buie, umide, troppo piccole e le misure igieniche erano terrificanti. Ce n’era più che d’avanzo, insomma, per abbrutirsi. Ma al colonnello Pietro Testa venne un’idea.
Se qualcosa poteva alimentare le capacità dei prigionieri di resistere in quel contesto, quelli erano i beni dello spirito. La fede, anzitutto. E poi, la dignità. Quella dignità, ragionava il colonnello, che si avverte fortissima nel creare qualcosa traendola da una materia bruta. E anche nel lasciare un segno del proprio passaggio in un luogo che pur grida tutta la propria indifferenza. Perciò, Testa cominciò ad adoperarsi affinché per il Santo Natale di quell’anno il campo avesse un proprio presepe attorno cui raccogliersi in preghiera. Per prima cosa, affidò l’incarico a un buon artigiano e collaboratore fidato, il sottotenente d’artiglieria Tullio Battaglia. E poi esortò ciascun soldato a contribuire.
Il lavoro dietro questa natività
Per farsi un’idea del lavoro che ha reso possibile il presepe di Wietzendorf, basti un resoconto dei materiali di lavoro di Battaglia. E cioè un coltellino scout con due lame e un punteruolo, una forbicina robusta e un cardine tolto a una porta come martello. Poiché le giornate erano brevi e condizionate dai ritmi del campo, inoltre, l’artigiano doveva pur in qualche modo farsi luce. Allora, a turno, i soldati donavano un grammo di margarina della già scarsissima razione giornaliera (15 g), che finiva in una lattina con uno stoppino. Ci vollero quasi due mesi, dal 3 novembre al 23 dicembre. Ma la sera della Vigilia di Natale il presepe di Wietzendorf era stato allestito, con il contributo di tutti.
I materiali e le figure
A rendere tanto notevole il presepe di Wietzendorf è il fatto che rappresenta uno straordinario spaccato dell’Italia dell’epoca. Tra le figure, infatti, si contano la contadina lombarda, lo zampognaro abruzzese, il pastore calabrese e una tessitrice che cuce una bandiera italiana. Sono presenti anche un frate, un soldato prigioniero e addirittura un longobardo con tanto d’armatura. Figure familiari, che rimandavano alla storia e alla tradizione nostrana per far sentire tutti i soldati un po’ più a casa. Era, insomma, un presepe in cui ciascuno poteva ritrovarsi.
Non solo dal punto di vista culturale, ma anche sul piano materiale. In molti, infatti, avevano messo a disposizione i propri poveri averi per la creazione delle figure. Per esempio, il bambino è fatto di un fazzoletto di seta del tenente Bianchi di Milano. I pizzi dei vestiti vengono dai fazzoletti ricamati dono delle fidanzate agli uomini che partivano per la guerra. Le aureole sono fatte con le corde della chitarra del tenente Zoffoli di Forlì. Capelli e barbe sono stati ricavati dal pelo del pastrano del capitano Bertolotti di Como.
Ancor più straordinario appare il presepe di Wietzendorf, del resto, se si guarda alla struttura stessa delle figure. Le parti lignee, cioè volti e mani, sono state ricavate dalle assi irregolari su cui i soldati dormivano. A tenerle in piedi, invece, è un’ossatura di filo spinato. I prigionieri lo staccarono a mani nude dai reticolati di notte, privandolo poi delle spine prima di utilizzarlo per realizzare i personaggi. In loro ricordo, a Wietzendorf resta ancora una sola figura del presepe: il bue, che veglia coloro che non poterono tornare.