Preistoria del complottismo in attesa del buon senso
Io non ho nulla contro i complottisti, perché bisogna imparare a non buttar via niente. E’ necessario considerare e rispettare tutto e tutti, nei limiti del possibile, e anche esser rispettati però; e infine – più che arrivare a conclusioni – fare una tara e prendere una strada, qualunque essa sia, ma che sia almeno frutto delle proprie idee, avendo l’accortezza di non ostacolare in qualsiasi modo la ricerca e gli studi scientifici. Quindi non posso non rispettare anche coloro che hanno idee diverse, anche se non le condivido.
Va però detto che anche il complottista non è affatto una figura recente. Da sempre, “dacché epidemia è epidemia”, è anche esistito un controcanto complottista. Anche durante la peste di Atene, nella quale morì lo stesso Pericle, c’era chi gridava al complotto e chi, vista la maledizione che aleggiava sulla famiglia degli i Alcmeonidi, sospettò una fatale resa dei conti col fato che coinvolse l’intera Polis. Insomma non esistono novità, al massimo adattamenti. Per fortuna a raccontarcelo ci ha pensato Tucidide e non un trisavolo del generale Pappalardo.
Quindi dalle piaghe d’Egitto alle Dicerie di un untore dello straordinario Bufalino la via dell’ attribuzione di colpa, tanto occulta quanto intenzionale, dei mali collettivi è da sempre compagna fedele della storia delle disgrazie umane.
Ma volendo si può andare anche oltre, ripercorrere fantasiosamente il tempo sino agli esordi dell’umano e troveremo sempre e comunque qualcuno che darà la colpa a un altro.
Ora immaginiamo la scena: alcuni nostri antenati in una qualsiasi caverna, una caverna che chiameremo “Slap”. E’ inverno, fa terribilmente freddo e il fuoco (scoperto l’altro ieri) langue pericolosamente. Intanto la fame assale tutti: se si è raccoglitori non è proprio periodo, se si cacciatori peggio che andar di notte. Allora che fare? Il capo famiglia si guarda intorno affamato e disperato, getta il gatto tra le fiamme per ravvivarle un po’ e punta con uno sguardo di inquietante languore l’ultimo nato in braccio alla sua compagna … e pensa: “ma quasi, quasi! In fondo ho 32 figli sparsi nella valle, ominide più, ominide meno …” Signori la fame è una brutta bestia che ci fa bestie! A quel punto la donna lo guarda e digrigna i denti contro il padrone di casa stringendo il pargoletto a sé. Non si capisce se per difenderlo o per voler dire: “se permetti caro, visto che l’ho partorito io … se c’è qualcuno che ha la prelazione sulla creatura, è la sottoscritta!” La fame fa sragionare, ma alla fine, dentro quella caverna, ora meglio illuminata da una fiamma ravvivata che ha smesso di miagolare, il cavernicolo adocchia – appeso a testa in giù – un sorcio con le ali che ronfa per i fatti suoi, e pensa di nuovo: “ ma quasi, quasi! Certo bello non è, fa anche un po’ impressione! Però…! Oh, l’inverno scorso ho mangiato mio cugino ed era una carogna, quindi che vuoi che sia quel coso orribile?”
Così il cavernicolo commette l’errore più grande che la sua giovane specie abbia mai commesso …, un errore che segnerà tutte le generazioni a venire. Passi che a quei tempi i nostri antenati digerivano anche le pietre però… eh però! Va infatti specificato che – se cucinato male – il sorcio con le ali è una disgrazia! E’ un ricettacolo nefasto di malattie nuove e devastanti! Ma vallo a sapere! Basta! La frittata (magari!) è fatta! Si pasteggia “alla male e peggio” e dopo qualche giorno di panza dolente, e senza uno straccio di probiotico in giro, al nostro cavernicolo accade una cosa inedita, una cosa in apparenza innocua e curiosa. Starnutisce! Una volta, due, tre! Tira su col naso, comincia a sentirsi spossato, affaticato, tutto dolente e sempre più febbricitante. A distanza di qualche giorno tutti gli Slap iniziano ad avere gli stessi sintomi, sono segnati. Ovviamente non vuoi che nei giorni di incubazione gli inconsapevoli condomini della caverna Slap non abbiano avuto a che fare con quelli delle caverne del circondario? Un baratto di bestie qua, di figli là, uno scambio di affilate punte di selce per una pelliccia di giaguaro, una “visitina” alla compagna di quel cornuto del cavernicolo accanto mentre lui era a caccia di bisonti… insomma, in men che non si dica la piaga si sparge e infetta tutti. A quel punto succede un parapiglia! In piena epidemia tutti pensano a una maledizione, ad un castigo del dio “roccia-spuntone” che campeggia minaccioso, sospeso come un drago, sulla valle. Così i sopravvissuti cominciano a credere che l’antro e la famiglia Slap siano maledetti! Convinti che dietro quella piaga vi sia un’ intenzionalità divina e maligna danno fuoco a quel luogo dimenticato dal dio con tutti dentro e vanno via, portando inconsapevolmente dentro di loro – ormai – un patogeno che li accompagnerà per sempre! Nessuno lo sa, soprattutto loro, ma ovunque andranno, qualunque luogo sceglieranno come nuova dimora tornerà ad esser maledetto, e così come loro hanno creduto che la colpa fosse di altri, così, d’ora in poi, altri crederanno che la colpa sarà la loro. E’ assurdo vedere come in millenni e millenni non sia cambiato niente, forse ora è solo più veloce, molto più veloce – forse troppo – e … di portata planetaria!
Insomma trovare un “colpevole”, qualcuno o qualcosa che abbia “volontariamente” generato un male collettivo è insito nella natura umana, esattamente come è insito nella natura umana violare per i propri scopi i raffinatissimi equilibri che la natura ha prodotto in miliardi di anni di tentativi.
Il complotto accompagna da sempre le epidemie, e scoppia esattamente come loro. Nega, cerca e trova nuovi collegamenti che portano a tracciare disegni criptici e, nel suo tortuoso squadernarsi in una logica occulta, ha una sua precisa funzione: dare un senso, una giustificazione, una ragione – fantasiosamente alternativa ma con una sua coerenza interna – a ciò che sta accadendo e che è difficilissimo, se non quasi impossibile, da accettare: il totale stravolgimento della vita come la conosciamo. Non può essere tutto così casuale, è assurdo!, no… non può e non deve esserlo! E’ impossibile! C’è una ragione dietro, una ragione che non conosciamo e che ci viene nascosta, un disegno preciso – e quindi non casuale – che ha sconvolto il nostro mondo, casomai un gruppo di persone, di potenti, che – al posto dell’antico dio roccia-spuntone-drago che campeggia sulla valle – vogliono il nostro male e dominarci!
Quindi anche il complottismo non è una novità, esattamente come non lo è il dover affrontare ciclicamente lo stravolgimento delle nostre certezze e delle nostre abitudini. E sfido chiunque – davvero chiunque – a non aver fantasticato almeno una volta, durante questo terrificante periodo, sulla eventualità che vi fosse un disegno di qualsiasi tipo dietro.
Ovviamente col tempo – spero presto – inizierà a riprender piede “il buon senso”, ciò che ci porta ad una distensione dei nostri giudizi, qualcosa che ancora non c’è, persino in questa smaniosa e isterica voglia di riversarsi per strada come formiche che scappano da un formicaio in fiamme; non c’è mai nulla di sano nell’isteria, anche in quella dettata dall’ottimismo: e spero che presto eviteremo di ritenere essenziali dei falsi problemi.
Uno fra tanti è quello degli asintomatici. Questione annosa e dibattuta negli ambienti scientifici ma che non ha un impatto realmente essenziale nel quotidiano. E’ facile sui social crear partiti dei pro e dei contro, soprattutto se abbiamo un’organizzazione mondiale della sanità che sembra esser padrona dell’argomento come lo sarebbe Salvini in un convegno su Hegel; è facile dire, protetti da uno schermo, che l’asintomatico non trasmette il virus e gridare al complotto, ma nella vita reale? Anche se fosse vero (e purtroppo non lo sappiamo con certezza), nella vita reale come reagiremmo se incontrassimo un asintomatico? Se fossimo del partito del “è tutto falso e gli asintomatici non trasmettono il virus”, e quella persona (per sua fortuna sana anche se contagiata) ci venisse incontro dicendo: “Ciao, sono un asintomatico e l’Oms ha detto che “assai probabilmente” non sono contagioso”, noi come ci comporteremmo? La butto lì, di primo acchito non credo affatto che gli chiederemmo di limonare con lui/lei o di farci scaracchiare tutti come se non ci fosse un domani!” Anzi, credo proprio che gli diremmo: “Bene, sono contento per te perché non hai sintomi, però resta a due metri … anzi, facciamo cinque per sicurezza!” E di certo gli chiederemmo la cortesia di restare a casa finché non si è negativizzato/a. E questo non perché lo odiamo, o perché pensiamo sia il male personificato, ma semplicemente perché dentro di noi “non sappiamo” qual è la verità, quella stessa verità che a “ distanza di schermo” crediamo di avere, ma che in realtà non esiste. Rassegniamoci, noi ancora non sappiamo molto di quello che ci sta accadendo, e le verità che ci costruiamo per deduzione o ipotesi, purtroppo, non sono certezze. Possiamo far finta di convincerci e abbracciare le ipotesi più rosee per sopportare l’assurdità di tutto questo, ma dentro di noi sappiamo benissimo che non rassicurano, perché restano solo ipotesi. Fare due conti con una ritrovata e traumatica impotenza in un mondo che, fino a pochi mesi fa, credevamo di dominare senza sforzo, è forse la cosa più difficile, ma anche la più sana, che possiamo fare.
Poi Bill Gates col vaccino vuole inserirmi un chip capace di controllarmi? Oh… diciamo le cose come stanno, bisogna essere onesti e pensare al futuro: mi sto avvicinando a un’età che – ahimé – tenderà (spero non presto) al declino. Se fra trent’anni saranno in grado di rintracciarmi mentre deliro a chiappe al vento in tangenziale mi fanno pure un piacere.