In Italia, poveri si nasce, e lo si rimane. Con il rischio che le generazioni future trovino l’ascensore sociale bloccato, e non riescano a liberarsi della povertà ereditata
La povertà in Italia è ereditaria, molto più di quanto lo siano i patrimoni. E la scalata sociale è molto difficile.
Questo è il quadro del nostro Paese che si osserva nell’ultima indagine di Eurostat, dove siamo terzultimi (superati solo da Romania e Bulgaria) nella classifica dei Paesi UE dove la povertà si trasmette di generazione in generazione.
Inoltre, la ristrettezza economica ha raggiunto quest’anno livelli da record, colpendo 5,7 milioni di persone, tra cui 1,3 milioni di minori.
La povertà, dunque, si attesta come una delle sfide più importanti per l’Italia.
Dati Eurostat: Italia terzo Paese per trasmissione di povertà
Secondo l’indagine di Eurostat, in Italia, coloro che nascono in una famiglia povera difficilmente riusciranno a migliorare il loro tenore di vita.
I dati mostrano che il 34% degli italiani che hanno segnalato una difficile situazione finanziaria durante l’infanzia è a rischio povertà. Ossia, circa una persona su tre che nasce povera, condurrà una vita povera. Mentre, solo il 14,4% di chi è nato in una famiglia benestante rischia la ristrettezza economica.
Un dato che, stando alle analisi Eurostat, è peggiorato nell’ultimo anno.
Nel 2023, il 20% degli adulti di età compresa tra i 25 e i 59 anni nell’Ue che hanno riferito di avere una cattiva situazione finanziaria nella propria famiglia intorno ai 14 anni era a rischio di povertà, rispetto al 12,4% di coloro che hanno descritto come buona la situazione finanziaria della propria famiglia a tale età.
Questi dati mostrano che la situazione socio-economica e finanziaria durante l’adolescenza potrebbe influenzare il tenore di vita in età adulta
Nella media europea, il tasso di trasmissione della povertà si ferma al 20%. Dunque, una persona su cinque eredita le difficoltà economiche della famiglia.
A superare il dato italiano ci sono solamente Romania e Bulgaria, rispettivamente con tassi del 42,1% e 48,1%.
In fondo alla classifica, invece, c’è la Danimarca, dove solo l’8% delle persone con alle spalle una famiglia povera rimane povera. Per di più, si tratta dell’unico Paese in classifica dove il dato di coloro che ereditano una difficile situazione economica (8,5%) è più basso di quello che riguarda gli adulti poveri provenienti da contesti agiati (8,9%).
Povertà in Italia: perché è un problema sempre più dilagante
Il disagio economico in crescita tra le famiglie italiane è legato a molti fattori sia sociali, che politici.
La sua ereditarietà dipende principalmente da: abbandono scolastico precoce, precarietà lavorativa, nascita di figli, difficoltà nel settore degli affitti, e la condizione di cittadinanza straniera.
Dal punto di vista politico, l’abolizione del Reddito di cittadinanza, e la sua sostituzione con l’Assegno di inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), ha avuto un effetto drastico su molte famiglie.
Secondo il Rapporto ASviS 2024 (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) l’ADI ha coperto solo la metà di coloro che, nel 2023, erano beneficiari del Reddito. Il SFL, invece, ha raggiunto solo un quinto delle persone in grado di lavorare.
Come emerge dai dati Istat del 17 ottobre, e come ribadito dal governo, il mercato del lavoro sta avendo un andamento positivo. Ma questo non esclude il fatto che anche il tasso di povertà assoluta, che oggi colpisce 5,7 milioni di italiani, stia crescendo in tutto il territorio.
Il Nord-ovest ha visto un aumento del fenomeno, passando dal 8,2% del 2022 al 9,1 del 2024%. Il Sud, invece, registra un dato maggiore, ma in diminuzione, dal 13,3% al 12% nello stesso lasso di tempo.
A spiegare questo fenomeno è la statistica Linda Laura Sabbadini su La Repubblica, che invita a osservare “che tipo di lavoro cresce, in quali segmenti della popolazione, con quali retribuzioni e in quali tipologie di famiglie”.
Difatti, come ha dichiarato il Presidente Mattarella, l’occupazione è cresciuta nella fascia degli ultracinquantenni e tra i dipendenti.
Ripercuotendosi sulla coesione sociale del Paese.
L’occupazione si sta frammentando tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di elementi preoccupanti di lacerazione della coesione sociale
Gli italiani hanno paura di “non avere abbastanza soldi per vivere”
Questi dati preoccupano gli italiani, come dimostra il report dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza: “Il tempo della paura fluida”, realizzato da Demos & Pi e Fondazione Unipolis.
Secondo l’indagine, il 30% degli italiani teme di “non avere abbastanza soldi per vivere”.
Mentre il 25% ha paura di “non avere o perdere la pensione“.
Secondo ASviS, per far fronte al problema della povertà in Italia – che è anche uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 – è necessario intervenire sugli strumenti di supporto, sull’occupazione giovanile, e sulla qualità del lavoro.
Tema sottolineato dal caporedattore di Avvenire, Francesco Riccardi.
Si è tutti d’accordo che istruzione e occupazione rappresentino gli assi portanti su cui è possibile costruire il percorso di uscita dalla povertà, la formazione e le politiche attive del lavoro dovrebbero diventare le priorità sulle quali investire, la lotta allo sfruttamento un impegno serrato e il recupero degli esclusi dalla scuola, dal mercato del lavoro e dalla società una preoccupazione costante. Assieme a strategie di ‘contorno’ che riguardano anzitutto le politiche per la casa e il diritto all’istruzione, temi finora trascurati.
Quella che occorre èuna vera e propria ‘presa in carico dei poveri’ che finora non si è avvertita
Una presa in carico che, osservando il Piano strutturale di bilancio di medio termine, approvato il 27 settembre dal dei ministri, non sembra ancora rientrare tra le priorità del governo.