Visto dall’Africa, il Piano Mattei, messo a punto dal Governo italiano per rilanciare il continente nero, continua ad essere fonte di preoccupazione e incertezza. Il testo di legge che norma la cooperazione tra l’Italia e il continente nero è un elenco di buoni propositi ma resta privo di contenuti concreti, evitando di fare chiarezza su questioni cruciali come il focus sui combustibili fossili e il coinvolgimento diretto della popolazione africana nei progetti di collaborazione e sviluppo.
Visto dall’Africa, il Piano Mattei, voluto dal governo italiano per promuovere la cooperazione con i paesi del continente nero, desta più preoccupazioni che entusiasmi. Dal Mozambico alla Tunisia, passando per la Nigeria e la Repubblica del Congo, il sentimento comune sembrerebbe essere unanime nei confronti del progetto geopolitico lanciato dal Governo Meloni.
I contenuti veri e propri del provvedimento non sono ancora noti e si sa soltanto che il Piano avrà durata quadriennale e sarà coordinato da una cabina di regia che farà capo allo stesso Premier.
In buona sostanza, il Piano, che porta il nome di un grande manager di stato che voleva cambiare l’Italia, continua a fare affidamento sulla solita retorica del ‘più gas meno migranti’. Per questa ragione, al di là del Mediterraneo non hanno mai preso la questione troppo sul serio, consapevoli che non ci sono mai stati esempi virtuosi di paesi occidentali che hanno effettivamente inteso costruire la loro cooperazione con l’Africa sulla base di un rapporto alla pari.
Le complesse relazioni tra Italia e Africa
Sul piano degli obiettivi, il Piano Mattei si basa sulla “straordinaria necessità e urgenza di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e gli Stati del Continente africano, al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale e di prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari”. In realtà, sullo sfondo di questi importanti risultati da centrare, restano, però, le numerose crisi politiche e sociali africane, che si uniscono alle nuove sfide internazionali poste dai conflitti in Medio Oriente e in Ucraina.
L’Africa è sempre più sotto l’influenza di attori internazionali del peso di Cina e Russia, ragion per cui in questa fase la sfida dell’Italia dovrebbe essere quella di dimostrare ai partner africani che l’approccio di Roma è diverso da quello delle ex potenze coloniali europee come la Francia, in rovinosa ritirata dal continente. Se non altro perché il Piano Mattei sulla carta rappresenta il provvedimento bandiera del Governo Meloni in politica estera attraverso cui l’Italia ambisce a ricostruire una postura autorevole nel Mediterraneo allargato alla luce dell’instabilità che ormai domina lo scenario internazionale.
Ad oggi, però, l’assenza di legami diplomatici stabili con i Paesi africani riduce enormemente le possibilità di riuscita del Piano Mattei. Inoltre, la scarsa dotazione di personale della rete diplomatica italiana in Africa, virtualmente in prima linea nella presunta implementazione del Piano Mattei, rischia di rallentare ulteriormente le iniziative di ampliamento nei rapporti diplomatici con partner chiave per l’Italia sul piano delle risorse energetiche.
Il caso del Mozambico
Meno di un mese fa, nel corso della sua visita in Mozambico, il Presidente Meloni aveva dichiarato che il Piano Mattei sarebbe stato sostenuto con il Fondo Italiano per il clima, di cui il 70% sarebbe stato investito in Africa, per una cifra di 3 milioni di euro su un totale di 4,2 miliardi, invitando i partners africani ad avere pazienza perché il provvedimento era ancora tutto da scrivere.
Insieme all’Egitto, il Mozambico è uno dei paesi del continente africano in cui l’Italia ha investito maggiormente per quanto riguarda il settore estrattivo, specialmente attraverso la sua azienda principale l’ENI, capofila di progetti per la produzione e l’esportazione di gas naturale liquefatto nella provincia settentrionale di Cabo Delgado.
E infatti non è un caso se in diverse trasferte il Premier italiano sia stato accompagnato proprio dall’amministratore delegato di ENI, Claudio De Scalzi, che negli anni ha dato una nuova spinta alla campagna africana della multinazionale italiana, mettendo a segno alcune delle più importanti scoperte di gas al mondo. Uno dei fiori all’occhiello della gestione Descalzi è rappresentato dalle immense scoperte di gas realizzate in Mozambico, che hanno trasformato il Paese nell’ultima grande frontiera estrattiva del continente.
Il ruolo di ENI nel continente africano
Ma il tanto decantato approccio anti-predatorio dell’Italia in Africa, palcoscenico designato di un nebuloso Piano Mattei, per il momento sembrerebbe non coinvolgere il Mozambico che continua a guardare alle mosse geopolitiche italiane con sospetto e preoccupazione.
Lo scetticismo dello stato dell’Africa orientale trova una sua giustificazione nei contratti siglati proprio con l’ENI e nei quali è scritto nero su bianco che qualora il governo di Maputo provasse a introdurre dei correttivi legislativi relativi alla crisi climatica e riguardanti l’estrazione di gas e petrolio, le eventuali perdite per la multinazionale italiana dovranno essere compensate dallo stato mozambicano.
Secondo un’analisi condotta nel 2020 dall’ Ong francese Friends of the Earth, il 90% della produzione di gas mozambicana è stata già destinata all’export attraverso accordi di lungo termine con operatori asiatici ed europei. Tuttavia, questi investimenti avranno un impatto minimo per i quasi 20 milioni di mozambicani che ancora oggi non hanno accesso all’energia.
Per quanto riguarda il nostro Paese, invece, non è detto che i progetti di ENI in Mozambico serviranno da soli a garantire in futuro l’approvvigionamento energetico nazionale, nonostante le garanzie da oltre 1,5 miliardi di euro poste dal Ministero dell’Economia attraverso Sace (società per azioni partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze).
A questo primo aspetto se ne aggiunge subito un altro, l’instabilità dovuta alla guerra. Da sei anni la regione di Cabo Delgado nella quale vi sono i principali stabilimenti ENI è vessata da un conflitto con milizie armate che ha provocato la morte di circa 4mila persone e che vede il coinvolgimento delle forze armate rwandesi e di un contingente della Comunità degli stati dell’Africa australe (SADC), alleate dell’esercito di Maputo.
Il vero volto del Piano Mattei visto dall’Africa
Per il momento, il cambio di passo nella diplomazia energetica italiana, pronta a “guardare all’Africa con occhi africani” – come dichiarato dal Ministro degli Esteri, Antonio Tajani – non c’è ancora stato e il Mozambico ne è la dimostrazione. L’opinione pubblica europea e italiana non conoscono ancora la crisi in corso nel nord del Paese e ignorano il fatto che l’espansione dell’industria del gas nella provincia di Cabo Delgado equivalga a una vera e propria maledizione per la popolazione che vive in quei luoghi.
Negli anni, sono state migliaia le persone costrette a lasciare i propri villaggi e le loro terre per far spazio alle infrastrutture dell’industria degli idrocarburi, mentre ampi tratti di mare sono stati dichiarati off-limits, privando intere comunità dei loro mezzi di sussistenza.
In un tale contesto, il risentimento verso il governo di Maputo e le multinazionali occidentali è cresciuto a dismisura, creando terreno fertile per l’avanzata del gruppo di miliziani d’ispirazione jihadista, al-Shabaab e proveniente dalla vicina Somalia. Per capire la gravità della situazione, è sufficiente pensare che nella sola provincia di Nampula, nel nord del Paese, si contano 67mila sfollati quando l’unico centro di accoglienza può accoglierne solo 7mila.
E nel futuro, il contributo dell’industria del gas per l’economia di molti stati africani, compreso il Mozambico, è destinato a ridursi sempre di più. Secondo alcune analisi indipendenti, realizzate da OpenOil e da Oxfam America, il Mozambico non solo incasserà meno della metà dei ricavi previsti dalle vendite di gas, ma la gran parte di questi saranno disponibili soltanto a partire dal 2040. E come se non bastasse, questa situazione rischia di essere ulteriormente aggravata da meccanismi fiscali che permettono alle aziende e alle multinazionali come ENI di non pagare le loro tasse nel Paese africano.
Pertanto, se in futuro il Governo italiano vorrà costruire davvero rapporti duraturi con l’Africa nel segno di una cooperazione alla pari come quella ventilata dal Premier Meloni, dovrà impegnarsi per interrompere questo circolo vizioso rafforzando contestualmente l’interrelazione tra diplomazia, politica e imprese. Soltanto così il modello inseguito da Enrico Mattei, dell'”Africa per l’Africa”, sarà forse realmente perseguibile.
Tommaso Di Caprio