Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
La prospettiva di una nuova guerra in Caucaso getta un’ombra tetra su questa regione, già segnata da conflitti passati. Mentre il mondo è alle prese con una serie di gravi crisi globali, è fondamentale esaminare attentamente i fattori e le dinamiche che potrebbero scatenare un nuovo conflitto tra Azerbaigian e Armenia.
Quasi non bastassero gli innumerevoli conflitti che affliggono il mondo, ora viene prospettata la possibilità di una nuova guerra tra Azerbaigian e Armenia, dopo quella che ha condotto all’occupazione azera del Nagorno-Karabakh, ex enclave armena in territorio azero.
A parlarne è stato il segretario di Stato Usa Antony Blinken, durante un’audizione con i parlamentari americani. Non è ancora chiaro fino a che punto la notizia sia fondata, e il Dipartimento di Stato si è affrettato a smentire. Vi sono tuttavia alcuni fatti inquietanti.
Nessuno si è commosso per il grande esodo di profughi armeni, a parte generiche dichiarazioni di solidarietà. E, in effetti, la piccola Armenia non ha molte carte da giocare, a differenza dell’Azerbaigian che è un grande fornitore di gas e petrolio ai Paesi occidentali. Gli azeri si fanno forti del totale appoggio che loro offre la Turchia di Erdogan, legata a Baku da affinità etniche e linguistiche.
Dal canto suo l’Armenia ha cercato di giocare la carta americana organizzando manovre militari congiunte con gli Usa. Questo ha irritato Vladimir Putin che, pur non potendo più aiutare l’Armenia come i russi facevano in precedenza, ha fatto notare che considera ancora il Caucaso come propria zona d’influenza. La mossa americana, quindi, è stata vista come un’indebita interferenza Usa in territori ex sovietici che Mosca considera tuttora di sua competenza.
Il risultato è che l’Armenia è sempre più isolata, e le dichiarazioni di Blinken possono essere lette come un avvertimento alla Russia affinché garantisca l’indipendenza di Erevan. C’è tuttavia un altro (e grosso) problema. Washington teme molto di inimicarsi la Turchia che, nonostante la politica ondivaga di Erdogan, resta pur sempre un importante membro della Nato.
Non si può insomma escludere che Baku punti a indebolire il tradizionale nemico occupando parti di territorio armeno. Gli americani sono distanti, con l’anziano Biden alle prese con il dossier ucraino da un lato, e con quello israelo-palestinese dall’altro. Neppure Putin è disposto a inimicarsi Erdogan, che ha più volte utilizzato come mediatore in Ucraina. In ogni caso lo zar moscovita, impegnato allo spasimo proprio nella guerra con Kiev, non può impegnarsi a favore degli armeni.
Questi ultimi non possono contare su appoggi significativi visto che anche l’Unione Europea ha bisogno del gas e del petrolio azeri, come dimostrato dalla visita ufficiale di Ursula von der Leyen a Baku per firmare un protocollo d’intesa. Si può solo sperare che gli azeri non facciano scoppiare un altro (e pericoloso) focolaio di guerra. Tuttavia l’immagine del presidente azero Ilham Aliyev, che si è fatto riprendere in un video in cui calpestava la bandiera del Nagorno-Karabakh, non lasciano molto spazio all’ottimismo.